EPILOGO

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Lo stesso giorno che Eliane uscì dall'ospedale il clochard senza nome si risvegliò dal coma. Scoprirono che si chiamava Beltran Fernandez, era di origini Spagnole, nato a Berga piccolo comune in provincia di Barcellona, era arrivato a Parigi da quasi cinque anni e il giorno stesso dell'arrivo, aveva perso i documenti. Non aveva presentato nessuna denuncia di furto o smarrimento e non si era mai registrato a nessuna anagrafe. Il nome usato per iscriversi al centro trasfusioni, Vincent Bouff, era un nome inventato che gli aveva dato l'uomo che lo aveva accompagnato quella mattina. Un medico distinto che rispondeva al nome di Carlo Corelli. Nei giorni a seguire Beltran detto il principe, avrebbe iniziato la lenta riabilitazione con sedute fisioterapiche, incosciente del fatto che aveva rischiato di rimanere sepolto nel buio per l'eternità, prima da vegetale, fino a quando i suoi organi non sarebbero serviti per qualcuno pronto a pagare migliaia di euro pur di averli, poi da defunto, il cui corpo sarebbe sparito in un inceneritore a pochi chilometri da Parigi.

Due giorni dopo che fu dimessa dall'ospedale Eliane in compagnia di Jean andò a trovarlo per accertarsi delle sue condizioni. Beltran parlava lentamente, ma era una prassi normale dopo quel lungo periodo di buio. Ma nonostante questo, Eliane poté constatare che era sveglio e si stava riprendendo bene.

Nel tragitto di ritorno verso casa, sotto un sole radioso e non comune per quella stagione, lei sentì dentro una sensazione di euforia. Guardando Jean che guidava era felice. Stavano andando a casa di Jean. Quando lui andò a prenderla, il giorno delle dimissioni, la portò direttamente a casa sua. Per la prima volta lei aveva la possibilità di vedere dove lui viveva. Ma entrando in casa rimase sorpresa di trovare le sue cose, alcune ancora inscatolate, altre invece già sistemate per casa. Si girò verso di lui con lo sguardo perplesso

«Ho traslocato tutte le tue cose da me» disse lui «spero di non aver fatto un errore»

«Perché lo hai fatto?» chiese lei vedendo in quel momento la sua piccola piantina di cactus sul tavolinetto del salotto

«Perché non voglio più stare lontano da te e poi così risparmi i soldi dell'affitto» accennò un sorriso cercando di scrutare gli occhi di lei. Forse aveva esagerato, forse avrebbe dovuto avvisarla, ma voleva farle una sorpresa. Ora però aveva il sospetto che lei potesse interpretare male il suo gesto «se non vuoi riporto tutto indietro» aggiunse continuando a guardarla.

Eliane si guardò intorno, vagò per le stanze lasciandolo in ingresso senza dargli una risposta. Era una bella casa, ben esposta al sole e con delle camere grandi e spaziose. Pulita e decisamente ordinata per essere un'abitazione vissuta solo da un uomo. Tornò verso di lui e gli si fermò di fronte. Alzò lo sguardo leggermente per guardare i suoi occhi, Jean era più alto di lei «prima di decidere voglio sapere una cosa da te» disse

«Dimmi»

«Quante donne hai avuto?»

Lui rimase leggermente stupito dalla domanda ma rispose immediatamente con sincerità «qualcuna di cui non mi importava nulla, poche che mi importavano»

«Quante di queste donne hai portato in questo appartamento?»

Jean fece finta di contare sulle dita delle mani, vedendo lo sguardo di delusione sul volto di lei, poi sorrise «mai nessuna, ho sempre preferito vivere la solitudine della mia casa almeno fino a quando non ti ho conosciuta»

Eliane ebbe un tuffo al cuore «vuoi dire che sono la prima donna che entra in questa casa?»

Jean cambiò espressione diventando improvvisamente serio «se devo essere onesto non sei la prima»

Lei sentì una fitta di delusione

«Circa un paio di anni fa» continuò lui con sincerità «per due settimane c'è stata mia madre di ritorno da un viaggio» sorrise

Lei gli tirò un pugno sul braccio «idiota» poi sorrise «e dopo tua madre?»

«Dopo mia madre, tu, se deciderai di fermarti qua con me»

Lei gli mise le braccia al collo e si alzò sulle punte «non hai paura delle mie spine poliziotto?» Avvicinandosi alle sue labbra

«Le tue spine mi hanno già trafitto il cuore dottoressa» baciandola con passione.

E così, davanti a una piantina di cactus posata al centro di un tavolino, due persone fondamentalmente diverse, differenti per la vita che avevano vissuto, in contrasto caratteriale e dal modo di vivere completamente opposto, si ritrovarono uniti più che mai in modo indelebile, da un collante universale chiamato amore. Un clochard coinvolto in uno strano incidente li aveva fatti incontrare tra milioni di persone. Era bastato solo uno sguardo, una frazione di secondo. Perché è esattamente così che funziona l'amore. Incontri migliaia di persone, le tocchi, ci parli e non succede nulla. Poi ne incontri una che solo con lo sguardo ti cambia la vita per sempre.

fine

© Dan Ruben

Ringraziamenti

Quando arrivo all'ultimo capitolo e scrivo la parola fine, torno ad essere un uomo quasi comune, che fa le stesse cose di molti altri uomini. E siccome sono egocentrico, megalomane, irrazionale e probabilmente un po' folle, la cosa mi fa soffrire. Non riesco a staccarmi dalla scrittura perché è lì che veramente vivo, è lì che mi sento veramente forte e che ogni mia inibizione si annulla. L'unica cosa che mi ha sempre fatto impazzire, che mi rallegrava e mi faceva sentire vivo era la scrittura. Da sempre. L'unica vera fonte che mi dava energia. Basta poco: un fatto successo, una foto vista, una notizia letta e subito la mia mente parte. Inizio a pensare alla trama che devo creare, il ruolo che devono assumere i miei personaggi, l'intrigo che devo costruire, le scene da sviluppare ... i protagonisti a cui devo riuscire a far emergere ogni lato intimo, profondo, umano.

Che devo far vivere donando loro un'anima. Tutto questo che magari per molti di voi è follia per me è vita. E scrivo. Le dita sulla tastiera si muovono veloci quasi inconsciamente.

Alla fine, quando l'ultima parola è stata scritta, quando come in un teatro si chiude il sipario, ci sono i saluti con i complimenti veri o falsi di chi ha letto condiviso e amato con te la storia, che, con sudore hai messo nero su bianco. Ma soprattutto ci sono i miei doverosi ringraziamenti ad alcune persone che in questo viaggio mi sono stati particolarmente vicino fin dall'inizio.

In doveroso ordine alfabetico

@AlexaTagliaventi grazie

@AretusaSkyler grazie

@DaniloDuranti grazie

@dolcelory1 grazie

@ElisaSavoldelli grazie

@giorgiamuscas grazie

@Irisblu079 grazie

@Ludocarli grazie

@manu76ela grazie

@Manuelamaranzan grazie

@Marinella2608 grazie

@MariaPalmalazzarino grazie

@M4nu1991 grazie

@PaolAmici grazie

@riccardofrey grazie

@sempremiasempre grazie

@SoShady grazie

.... Il silenzio cala, il sipario si chiude, mi guardo e sono solo.

Poso la maschera e piango.

(Anton Vanligt)

Grazie

Dan Ruben

IL CLOCHARD Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora