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Senza una ragione plausibile e soprattutto senza nemmeno volerlo, grazie a quel caffè e alla presenza discreta di quel poliziotto lei scoperchiò il vaso. Senza più nessun limite si sfogò buttando fuori tutto. Se inizialmente aveva qualche remora, a mano a mano che parlava si rendeva conto che diventava tutto più facile, più raccontava più leggera si sentiva come se farlo le servisse a scaricare la tensione accumulata da tutte le avversità che le erano capitate. E cazzo se le erano capitate di cose negative nell'ultimo periodo. Quando arrivò alla fine si sentiva come svuotata. Aveva gli occhi rossi di pianto e di rabbia. Dopo qualche secondo di silenzio si rese conto che aveva praticamente raccontato i drammi della sua vita ad un perfetto sconosciuto, e lui era rimasto lì di fronte a lei ad ascoltarla e ad incitarla assecondandola a proseguire nello sfogo. Jean, seduto accanto a lei, le passò un pacchetto di fazzolettini di carta e alzandosi le tocco la spalla stringendola delicatamente come ad imprimerle forza «quindi tutte le tue cose sono ancora da lui?» chiese tornando dietro la scrivania.

«Si, senza auto non posso recuperare nulla» si asciugò una lacrima prendendo un fazzolettino dal pacchetto che lui le aveva dato.

Jean prese un mazzo di chiavi dal cassetto della scrivania «vieni andiamo a recuperare le tue cose» ritornando verso di lei che lo guardava sbalordita.

«Adesso?» chiese stupita, non si aspettava questo, non era preparata alla possibilità di vedere Bernard in quel momento, non dopo quello che ancora le aveva fatto.

«Avevi altri impegni per la mattina?» chiese Jean sorridendo leggermente con un sottile velo di ironia

Lei ebbe un sussulto di paura «no, ma francamente non so se me la sento» sussurrò.

Lui si accovacciò esattamente di fronte a lei per guardarla negli occhi «Vedi dottoressa tu puoi mentire a te stessa se credi ma non riuscirai a mentire a me» sorrise catturando i suoi occhi e l'attenzione completa della donna «ho una capacità alquanto unica di capire molto bene le donne» alzò un sopracciglio sornione «e io so con assoluta certezza che tu sei più forte di quanto tu stessa credi. Fidati di me»

Lei percepì in modo quasi viscerale quello sguardo, ma l'arroganza che stava mostrando in quel momento quel ragazzo le stava dando fastidio «così tu credi di conoscermi?» chiese sentendo improvvisamente una sensazione di caldo. Si stava innervosendo.

Jean si spalancò in un sorriso, e fu un sorriso sincero e spontaneo «vedi basta poco per accendere il fuoco che hai dentro»

Eliane era spiazzata, non riusciva più a capire se quell'uomo la stesse prendendo in giro o se davvero si stava preoccupando per lei, però doveva ammettere che quel sorriso era contagioso e lentamente servì a placare il fuoco che aveva dentro.

«Dottoressa Fontaine fidati di me» aggiunse lui prendendole una mano per farla alzare «andiamo a prendere le tue cose»

***

Quando arrivarono davanti alla sua ex casa Eliane sentì i battiti del cuore aumentare all'impazzata. Jean fermò l'auto e l'aiutò a scendere, lei sembrava quasi essere in trance. Era agitata e stava cominciando a tremare leggermente per la tensione, Jean le prese la mano e insieme si avviarono verso l'ingresso. La palazzina era una piccola villetta di due piani composta da quattro appartamenti. La casa che era stata la sua casa era al primo piano e si affacciava sulla strada. Nell'avvicinarsi al portoncino d'ingresso lei, alzando gli occhi vide dietro i vetri del balcone la figura di una donna. Avrebbe preferito per come si sentiva in quel momento, che in casa ci fosse solo Clodette. Lo sperava con tutta se stessa "per favore Dio fa che non veda la sua faccia"

«Tutto bene?» Jean interruppe i suoi pensieri entrando nel portone e avvicinandosi alle scale.

Lei voltò lo sguardo verso l'uomo che aveva al suo fianco «no» rispose decisa «ma qualcuno che crede di conoscere le donne dice che sono forte» aggiunse cercando di essere ironica.

Jean sorrise «dottoressa lascia fare a me» aggiunse arrivando al pianerottolo.

«Ora fai un bel respiro» le consigliò lui prima di suonare il campanello della porta d'ingresso. La porta si aprì.

Al poliziotto l'uomo che comparve sulla soglia dette subito l'aria di un intellettuale leggermente retrò, gli occhiali scesi sul naso, un maglioncino a collo alto e un portamento di chi crede di sapere tutto. Arrogante. Eliane stava per aprire bocca con un fortissimo desiderio di scagliarsi contro quel figlio di puttana ma fu anticipata da Jean «con questo te la facevi?» Il tono di scherno la fece immediatamente diventare rossa.

Lei si sentì mancare, come se quella frase fosse stata una sberla in pieno volto, mentre uno sbigottito Bernard li guardava esterrefatto. Jean, sempre trascinando Eliane per mano, entrò in casa facendosi largo con autorità.

«Do... dove state andando?» Biascicò Bernard leggermente intimorito mentre veniva raggiunto da una spaventata Clodette.

«A prendere ciò che ci appartiene» rispose pronto Jean, poi voltandosi verso Eliane «dove sono le tue cose?» il tono con il quale si era rivolto a lei era gentile a differenza di prima con l'uomo sulla porta.

«Nel ripostiglio» indicò lei, con sorpresa, una porta chiusa.

Jean si avviò verso il ripostiglio.

«Aspetta! Dove pensi di andare?» Bernard gli si parò davanti «non puoi entrare là» continuò cercando con lo sguardo quello di Clodette come a prendere coraggio anche da lei.

Jean si fermò guardandolo negli occhi «hai ragione, non possiamo entrare» sorrise «quindi vai tu a prendere tutto quello che appartiene a Eliane e lo porti in macchina» agitandogli le chiavi dell'auto davanti al viso dell'uomo.

«Cosa?» Si tirò su gli occhiali che gli erano scivolati sul naso «non ci penso nemmeno, non sono il vostro facchino» aveva le vene del collo gonfie

Jean non batté ciglio «vedi Bernard» tirò fuori il distintivo della polizia «o porti le cose in macchina o sarò costretto ad arrestarti per aver presentato una denuncia di furto d'auto falsa»

Bernard guardò prima il distintivo poi l'uomo e infine capito che non aveva né il coraggio né nessuna possibilità di rifiutarsi abbassò lo sguardo e si avviò al ripostiglio.

Jean sorrise «noi ti aspettiamo seduti sul divano» gli urlò voltandosi verso Eliane e facendogli l'occhiolino.

Lei gli si avvicinò tirandolo per un braccio e cercando di non farsi sentire gli sussurrò all'orecchio «non ti sembra di avere esagerato?»

Per tutta risposta lui indicò un quadro alla parete «per caso quello è tuo?» le sorrise «perché è bello, se lo vuoi possiamo prenderlo» disse alzando la voce in modo da farsi sentire da Bernard che stava uscendo dalla porta portando uno scatolone pieno di ricordi di una vita ormai passata.

Lei era paonazza. Da una parte tutta questa situazione l'infastidiva, l'arroganza di Jean non le piaceva e nemmeno quella forma di persuasione quasi violenta che aveva utilizzato. Ma d'altra parte sedendosi sul divano accanto al poliziotto, non poteva non provare una certa dose di soddisfazione nel vedere Bernard che portava fuori le sue cose. In effetti pensandoci attentamente, era decisamente gratificante tutto questo mentre inavvertitamente si ritrovò così vicina a lui da sentire il calore della spalla dell'uomo che toccava la sua.

© Dan Ruben

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