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Mentre un leggero vento mattutino autunnale faceva cadere alcune foglie dai rami, il clochard senza nome fu sistemato sull'ambulanza. Aveva la mascherina sul volto ed era ancora intubato a dei macchinari. Corelli aveva visionato tutto controllando che fosse tutto a posto. L'ospedale aveva deciso che quel barbone dovesse essere trasferito in una struttura idonea e attrezzata a prendersi cura di soggetti che vivevano ormai in stato vegetativo. Il coma in cui era piombato quell'uomo sembrava irreversibile. Corelli aveva provato a far cambiare idea al direttore ospedaliero, ma tutto si era dimostrato inutile. Il costo per tenere in vita quell'uomo non era sostenibile per quella struttura. Considerava quella vicenda una sconfitta per l'ospedale in cu lavorava, ma non era servito a nulla. Lo guardò sdraiato su quel lettino inerme e immobile prima di chiudere il portellone dell'ambulanza per farla partire. In una tipica mattina autunnale, l'ambulanza a sirene spente percorse il vialetto alberato dell'ospedale scomparendo dopo poco dalla visuale del medico. Corelli restò ancora qualche secondo a scrutare il vuoto, poi si girò per tornare dentro e riprendere il suo lavoro.

***

Con un programma che utilizzava tecniche di elaborazioni digitali delle immagini, si concentrarono sulle linee del viso eliminando tutto quello che faceva da contorno all'immagina stessa. Il programma modellava la faccia come fosse un oggetto in tre dimensioni tenendo come punti fermi la posizione degli occhi, del naso, la bocca e l'attaccatura delle orecchie. Nel momento che si vedeva il riflesso, il viso dell'uomo era ruotato di lato e il programma quindi ridisegnò la parte mancante del volto in modo specchiale a quella che si intravedeva. Alcuni algoritmi tipo il PCA (Principal Component Analysis) permettevano di ottenere da uno spazio ad alta dimensionalità (con un numero di pixel elevato relativo all'immagine), la possibilità di riempire anche un sottospazio vuoto (la parte mancante del volto) utilizzando lo stesso numero di pixel ai fini del riconoscimento. Nel giro di meno di due ore avevano ricostruito l'identikit del volto del presunto assassino preso dal riflesso su un finestrino e inserito la foto nel server della polizia in attesa di un riscontro compatibile con i volti di persone già segnalate alla giustizia. Martinel era soddisfatto dell'operato del suo agente. Per la prima volta avevano una pista da seguire e questo grazie alle capacità di quel ragazzo. Jean si era dimostrato meticoloso e attento, esattamente il contrario del suo atteggiamento da sbruffone farfallone che lo caratterizzava. Ma in fondo, lui lo sapeva, aveva sempre avuto un ottimo fiuto nel pesare la capacità degli uomini che aveva in squadra. Per questo lo aveva voluto a lavorare con lui. Jean era ancora giovane e ben presto con gli anni la sua baldanza si sarebbe attenuata lasciando il posto ad un'ottima attitudine investigativa. Ne era convinto. Jean Dubois sarebbe diventato un ottimo detective. Ora però dovevano solo attendere, attendere e sperare che a quel volto corrispondesse un nome. Guardò l'orologio da polso che gli aveva regalato Sofie qualche anno prima: era quasi ora di pranzo. La scoperta di quel volto lo aveva reso raggiante, ma siccome non poteva fare altro che aspettare in quel momento, decise di andare a casa da sua moglie. Sperando di fare una sorpresa piacevole a Sofie le inviò un messaggio: "non preparare nulla prendo qualcosa strada facendo e vengo a casa". Si alzò dalla scrivania avviandosi verso l'uscita. Era parecchio tempo che non si sentiva così bene, forse con un po' di fortuna sarebbero finalmente venuti a capo di quella maledetta vicenda. Sospirò infilandosi il cappotto.

Forse tutto si sarebbe risolto.

Forse...

***

La porta si aprì.

«Ciao» la voce di Eliane era raggiante

«Ciao dottoressa» sorrise

«Dai entra»

Passò davanti alla donna per entrare in casa e lei chiuse la porta. Prendendogli il braccio lo condusse attraverso l'ingresso fino alla sala «la mia coinquilina è via per una settimana» disse

«Interessante» rispose lui ammiccando allusivo

Eliane sorrise «non ci provare poliziotto, è solo un pranzo» e poi aggiunse «ricordati che le cure del dottore non si discutono mai, quindi mangiamo e basta» anche se nemmeno lei era molto convinta di quello che stava dicendo

«Dottoressa è da quando ti conosco che ho smesso di combattere» rispose alzando le mani in segno di resa

Lai rise «stavo pasticciando in cucina, vieni»

Jean la seguì. Prendendo uno sgabello si sedette a guardarla. Lei andò verso i fornelli. Gli dava le spalle e stava frullando una specie di salsa. La guardò attentamente, era indaffarata e leggermente ansiosa. Indossava un jeans abbastanza attillato da far risaltare un notevole lato posteriore e due gambe lunghe. Un maglione a collo alto chiaro con le maniche leggermente grandi, coperto da un grembiule da cucina che la rendeva decisamente sexy. Era una bellissima immagine pensò Jean desiderandola fortemente.

«Vuoi bere qualcosa?» chiese lei versando il composto di colore senape sulle fette di arrosto che aveva tagliato precedentemente «c'è del vino in frigo»

«Sinceramente è altro quello che vorrei» senza smettere di guardarla.

Eliane sentiva i suoi occhi anche senza vederli. Li sentiva sulla schiena procurarle dei brividi lungo la spina dorsale. Cercò di rimanere controllata anche se il cuore sembrava impazzito. Lui si alzò dallo sgabello avvicinandosi. Eliane si bloccò sentendo la sua presenza così vicina. Aveva le palpitazioni e il respiro decisamente affaticato. Cercò di concentrarsi su quello che stava facendo ma il suo respiro così vicino a lei la stava destabilizzando. Non voleva arrivare a quello. Ma nel momento stesso che lo pensava, una parte di lei andava in contrapposizione con quei pensieri. In realtà ci aveva sperato, era inutile nasconderlo Jean le piaceva più di quanto lei stessa avrebbe mai ammesso.

«Girati per favore» sussurrò Jean

Lei aveva paura di voltarsi, ma lasciò cadere le mani sul piano di lavoro e, con il cuore in gola, lentamente si voltò trovandolo ad un palmo dal suo viso, dannatamente troppo vicino a lei. Deglutì. Jean cercò i sui occhi e nell'istante in cui li trovò si perse in lei. Erano così vicini che i loro respiri si mischiavano in un unico sospiro. Per qualche secondo rimasero così, persi e sospesi in un desiderio che li avvolgeva. Era inutile cercare di soffocarlo, era inutile nascondere la voglia che entrambi avevano. Spesso l'unico modo di combattere è la resa. L'unico modo per liberarsi da una tentazione è cedervi. Le loro teste si inclinarono leggermente e le loro labbra si cercarono e trovarono avide nel dissetarsi l'una nell'altra. E fu una sensazione meravigliosa, baciare qualcuno per la prima volta quando inconsciamente desideravi baciarlo da molto tempo. Fu liberatorio. Come una scarica elettrica. Come se attraverso le labbra, erano le loro anime che si toccavano, cercandosi e avvinghiandosi. Aggrappandosi l'uno all'altro nel tentativo di prolungare quel momento all'infinito. Eliane gli buttò le braccia al collo mentre sentiva il cuore esploderle nel petto e Jean la stringeva sempre di più.

***

Sul monitor comparivano volti di uomini al quale il programma di ricerca, in modo automatico, sovrapponeva l'identikit che avevano fatto. Un volto dietro l'altro. In tutti, fino a quel momento, la scritta rossa "No match si sovrapponeva al volto. Fino a quando, dopo quasi due ore di ricerca, l'immagine sul monitor si fermò sul volto di un uomo illuminandosi di verde con la scritta "Found".

Ora avevano un nome.

© Dan Ruben

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