Raro, nella sua mente di bambino, equivaleva a speciale e per diverso tempo, aveva desiderato svilupparsi in un Omega, per poter diventare raro.

Gli era bastato un solo giorno di scuola elementare, per cambiare totalmente opinione.

La sua aspirazione a diventare Omega era stata accolta con un coro di risate generale, da parte degli altri bambini del gruppo, che l'avevano scambiato per uno scherzo. Eren non aveva avuto il coraggio di replicare e poco a poco, si era abituato all'idea che fosse più giusto aspirare alla forza degli Alpha, piuttosto che all'unicità di un Omega.

In quel momento, gli sarebbe andato bene diventare qualsiasi cosa, pur di smettere di essere l'unico ragazzo senza una dinamica definita.

Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse di aver raggiunto la scalinata. Abitava in un posto molto particolare. Pittoresco, l'avrebbero definito le riviste di cultura popolare. La casa di Eren faceva parte di un grande gruppo di edifici che erano stati costruiti lungo una parete verticale, in un disordinato tentativo di sfruttare più spazio possibile in quella città sovraffollata. Erano tutti collegati tra loro da un labirinto di scalinate e discese, corrimani e tappetini. C'erano fili per stendere, tesi tra i vari balconi, che creavano archi sopra alle viottole di vecchi ciottoli e reti che coprivano le sezioni più pericolanti, perché non crollassero per le intemperie. Era come una piccola città nella città, dove tutti si conoscevano a vicenda. D'altra parte, come potresti non imparare a conoscere qualcuno, quando cammini ogni giorno all'ombra della sua biancheria stesa ad asciugare?

Eren risalí saltellando i gradini che lo separavano da casa propria. C'erano una decina di rampe da superare, prima del piccolo spiazzo a cui si affacciava la porta. Arrivato alla settima, si fermò.

La finestra di Ackerman era aperta e dall'interno usciva il rilassante suono della musica classica. Eren si appiattì contro il muro, sbirciando all'interno. L'uomo era seduto su una poltrona e leggeva, dando le spalle alla finestra così che la luce colpisse le pagine. Dal riflesso di una credenza a vetri, Eren vide che teneva la guancia appoggiata al pugno chiuso e sembra totalmente assorto in qualsiasi cosa i suoi occhi stessero scorrendo. Indietreggiò, prese un respiro e superò la finestra aperta camminando spedito, ma solo per un paio di passi. Impegnato a guardare indietro, non vide un vaso appoggiato a terra e inciampò. Entrambi, Eren e la pianta, finirono a terra con un gemito.

Il ragazzo si girò subito a controllare che la ceramica del vaso fosse rimasta intatta e sospirò di sollievo, quando vide che l'unico danno evidente era un po' di terra finita sul vialetto. Sarebbe bastato rimetterlo in piedi e tutto sarebbe stato come prima.

Si accucciò a terra ed afferrò il vaso.

«Cosa credi di fare?»

Eren ritrasse le mani in fretta, come se il vaso scottasse quanto il sole. Alzò lo sguardo ed i suoi occhi verdi incrociarono lo sguardo severo e sospettoso di Levi Ackerman, in piedi sulla soglia della porta. Aveva le mani sui fianchi, gli ultimi bottoni della camicia slacciati ed un paio di occhiali stretti, d'argento. Il vetro che copriva le iridi non attenuava per niente la furia che le accedeva.

Eren deglutì, perdendo le parole. Restò in silenzio un istante di troppo ed Ackerman fece un ulteriore passo fuori di casa, verso di lui.

«Allora?»

«Niente!» gridò, sollevando il vaso in tutta fretta, prima di scattare in piedi. «Avevo solo fa-»

«Sparisci da qui.»

Lo sguardo di Eren si indurì.

«Questa è una strada pubblica e posso starci quanto mi pare e piace.»

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