9. Leggenda del Matagot o solitudine?

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Passo la notte completamente sveglio, a fare su e giù per la stanza mentre Alex dorme sotto a un cumulo di lenzuola e garze, circondato dall'odore pungente della pomata che gli ho spalmato sul busto.

Millie è accoccolata ai piedi del letto e anche lei sta dormendo profondamente, proprio come un'altra dozzina di gatti.

Io, invece, non sono mai stato così nervoso, nemmeno prima di andare a stringere la mano al Presidente degli Stati Uniti o quando ho provato il mio primo microscopio elettronico a trasmissione.

Se provo a ripensare a tutto quello che sta succedendo in questi pochi giorni, quasi non riesco più a distinguere il momento da cui è scaturito tutto. è stato quando ho incontrato la sorella di Alex-Alexander, quando lui si è introdotto in casa mia per rubare la mia gatta o quando poche sere fa mi sono fermato a chiacchierare con lui sotto al cono di luce di un lampione? Come mi sono ritrovato così coinvolto in una situazione che non mi appartiene? Ma soprattutto, perché mi sto facendo carico dei problemi di colui che ha sequestrato la mia Millie? è una specie di variazione animale della sindrome di Stoccolma?

- Consumerai il pavimento a forza di camminare avanti e indietro.- la rauca voce assonnata di Alex interrompe il mio flusso di pensieri e mi riporta bruscamente alla realtà.

Mi volto verso di lui e lo vedo sdraiato su un fianco, le mani congiunte tra la guancia sinistra e il cuscino e lo sguardo puntato su di me.

Alzo un sopracciglio e rimango in silenzio, mentre anche l'espressione di Alex si fa più seria.

- D'accordo, d'accordo, non sei da biasimare.- si corregge.- Immagino tu abbia delle domande.

- Ne ho talmente tante che a confronto il numero delle stelle visibili è uguale a quello dei denti di un neonato.

- Ma un neonato...

- Appunto. Comunque,- sospiro e mi fermo in mezzo alla stanza.- per quale strano, perverso e malato motivo sei entrato in casa mia per rubare la mia gatta?

- Questa è una bella domanda.- si complimenta Alex con un sorriso, che si trasforma ben presto in una smorfia di dolore.- Cavolo, più passano le ore più sento male dappertutto.

- Non divagare e rispondi alla mia domanda.- lo rimbecco.

- In realtà la questione è abbastanza semplice.- inizia a dire dopo qualche attimo di silenzio.- Ognuno ha le proprie ossessioni, no? Posso essere più o meno strane, evidenti o che passano inosservate. Possono essere oggetto di scherno, preoccupazione, divertimento, invidia. A me piacciono tanto i gatti, talmente tanto che li voglio tutti per me. Appena ne vedo uno in una casa, in un giardino o per strada faccio il possibile per appropriarmene.

- C'è una storia dietro a questa ossessione?- lo interrompo incuriosito.- Voglio dire, c'è un motivo particolare?

- C'è un motivo dietro ad ogni cosa, quindi direi di sì. Da piccolo ho letto che secondo una leggenda francese esiste un gatto randagio, il Matagot, che porta fortuna e che è alla ricerca di un padrone. Per conquistarsi le sue grazie occorre offrirgli in pasto del pollo arrosto ed invitarlo poi in casa. La prima sera che il Matagot è in casa deve avere il cibo proveniente dallo stesso piatto del padrone. Come ricompensa il Matagot donerà all'umano delle monete d'oro e tanta fortuna.

- Mi stai dicendo che credi a una leggenda così stupida per un po' di denaro?- domando sbigottito.

- Guarda come mi sono ridotto.

Lo guardo attentamente negli occhi. Sento che non mi sta dicendo tutta la verità.

- E c'è anche il fatto che mi sento tremendamente solo.- ammette.- Non ho contatti con nessuna persona al di fuori di qualche spacciatore, sento mia sorella sempre meno spesso perché sta diventando rischioso, non posso nemmeno uscire da questa cazzo di topaia. E in più mi sento stupido e inutile, perché tutti là fuori vivono una vita abbastanza serena, circondati da persone che li amano, mentre io sembro l'unico emarginato sociopatico che se ne sta...

- Isolato.- concludo io per lui.- è quello che provo anch'io e penso sia anche il motivo per cui ho deciso di aiutarti.

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Quando il sole inizia a sorgere, io ho già cambiato ad Alex le bende sporche di sangue e gli ho disinfettato con cura tutte le altre ferite. Gli ho fatto tenere del ghiaccio sull'occhio, il che in questo caso è l'unica cosa che possiamo fare.

- Torno dopo le lezioni, quindi verso le quattro.- lo informo prendendo il suo mazzo di chiavi e avvicinandomi alla porta d'ingresso.

- D'accordo.- risponde Alex con voce flebile.

- Proverò a chiedere in segreteria se mi possono dare qualche informazione su tua sorella.- aggiungo.

Saluto Alex e faccio per aprire la porta.

- Edward?- mi chiama dal letto con voce incerta. è la prima volta che lo sento pronunciare il mio nome. Un rapido guizzo mi pervade all'altezza del petto.

- Sì?- rispondo.

- Grazie.

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Per la prima volta, le ore di lezione mi sono sembrate infinite e nemmeno poi così interessanti, eppure il professore dell'ultima ora ci ha fatto uscire mezz'ora prima perché aveva un appuntamento dal medico.

Ora sono nella saletta d'attesa antistante alla segreteria e sto aspettando che si liberi uno dei tre sportelli dedicati agli studenti.

Sto fissando il muro bianco davanti a me da circa un quarto d'ora. Per essere una sala d'attesa, non c'è granché da fare per ingannare il tempo: niente tavolini con riviste e quotidiani, niente televisione alla parete, niente quadri di arte moderna da osservare per cercare di capire il significato profondo di un pallino colorato al centro di una tela bianca. Solo una fila di poltroncine bianche di plastica disposte ad elle di fronte agli alti banconi dietro cui si trovano le segretarie.

Finalmente lo sportello accanto alla finestra si libera, così mi alzo e mi affretto a raggiungerlo prima che lo faccia qualcun altro venuto dopo di me.

- Come posso aiutarti, giovanotto?- mi chiede una donna di mezza età, la voce annoiata e piatta attutita dal vetro divisorio.

- So che qualche giorno fa è venuta qui la figlia del rettore e vorrei sapere se mi può dare un recapito.- provo a chiedere cercando di distogliere lo sguardo dal grosso neo nero accanto alla bocca della donna.

- Sono informazioni personali, non posso aiutarti.

- Giusto, ha ragione.- la assecondo.- Immagino che non tradirebbe mai così il suo capo, che a quanto pare sembra pagarla molto bene.

Mentre parlo, lancio un'occhiata alle mie spalle per accertarmi che non ci sia nessuno nella sala. Quando anche l'ultima ragazza se ne va dallo sportello accanto al mio, mi metto una mano in tasca e sfioro con le dita la mazzetta da cinquecento dollari. Odio quello che sto facendo e ancora di più odio quello che sto per fare. Eppure, se non allungo questi soldi alla segretaria per farmi dire il numero o l'indirizzo della sorella di Alex, le cose si potrebbero mettere molto male. È questione di priorità, no?

Faccio scivolare la mazzetta sul lucido piano del bancone, verso la donna.

- È più o meno metà del suo stipendio, giusto?- bisbiglio.- Chissà come ci si deve sentire a vedere tutti questi figli di papà che per studiare qui pagano tasse universitarie pari al quadruplo, se non quintuplo del suo stipendio.

La donna mi fissa con gli occhi ridotti a due fessure. Riesco a vedere il dubbio nei suoi occhi: è tentata dall'accettare tutto questo denaro in cambio di una semplice informazione, ma teme anche le conseguenze del suo gesto.

- Fila via, marmocchio, e riprenditi i soldi. Se sparisci subito non dirò a nessuno ciò che hai appena fatto.- borbotta poco convinta.

- Se cinquecento dollari la rendono dubbiosa, forse mille la convincerebbero di più.- replico facendo scivolare verso di lei una seconda mazzetta.

Come previsto, la segretaria si china verso di me e abbassa la voce.

- Come posso avere la certezza che non combinerai guai?- bisbiglia allungando una mano verso la pila di soldi.

In tutta risposta, le mostro la mia carta d'identità. Lei riconosce subito il mio cognome. Sa che se mi mettessi nei pasticci, recherei danno anche a mio padre, uno degli avvocati più pagati d'America e volto della copertina di Forbes di gennaio.

- Greenholm Street, 28.

Catnapping [sospesa]Where stories live. Discover now