6. Solitudine e soccorsi

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Per il resto della settimana non faccio altro che studiare. Esco di casa solo per andare all'università e passo persino il tragitto con gli appunti in mano.

Il fatto è che mi sto rendendo conto troppo tardi delle innumerevoli distrazioni in cui mi sto lasciando coinvolgere e ho... paura. Per esempio, ieri stavo cenando seduto sul divano di fronte ad un bel documentario. La televisione è posta davanti ad una finestra piuttosto grande, rivolta a ovest. Mi sono ritrovato quasi per caso a scrutare il tramonto, come se non fosse più solo l'istante in cui il Sole scompare sotto l'orizzonte per effetto della rotazione della Terra. Ero come catturato dalle sfumature rosse, gialle e rosa, come se le osservassi per la prima volta. Non ho idea di quanto sia durato questo momento- forse pochi secondi o magari alcuni minuti. Fatto sta che ad un tratto mi sono come ridestato dopo un sogno e ho provato una sensazione di vuoto nello stomaco. Ho cercato su Internet i miei sintomi e il risultato che ho ottenuto è stato peggiore di qualsiasi malattia: secondo una certa micettapoeta, amministratrice di un forum in cui si parla principalmente di relazioni terminate, io mi sento solo.

Ora, la mia prima reazione è stata quella di chiudere la schermata e spegnere il computer. Come mi sono ridotto a cercare informazioni su dei forum femminili? Ma soprattutto, come ho fatto a ridurmi così a causa della mia gatta? Alla fine non è altro che un animale, particolarmente intelligente, pulito e ordinato, ma è pur sempre un animale.

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Il lunedì successivo le cose sembrano essersi finalmente decise a tornare alla normalità. Innanzitutto il caldo tremendo che ha caratterizzato il weekend ha lasciato il posto ad un bel temporale, che mi ha messo subito di buon umore. A lezione il professore di meccanica quantistica mi ha proposto di partecipare ad un corso tenuto da lui con i suoi allievi migliori, studenti del quarto e quinto anno. Inutile dire che mi sono sentito più che lusingato.

A pranzo ho fatto una capatina in centro e mi sono regalato una fetta di torta di carote, la mia preferita, quindi quando sono ritornato in facoltà ero ancora più contento. Ora la lezione di meccanica quantistica è quasi terminata. Il professore ci avvisa che domani e il giorno successivo non ci sarà, perché deve presenziare ad un congresso a Washington. Ha aggiunto che l'anno prossimo sarà contento di portare un suo allievo, se questo congresso verrà tenuto nuovamente e mi è sembrato che il suo sguardo abbia indugiato su di me.

A quanto pare questo è stato notato anche da altri studenti, perché non appena esco dall'edificio e faccio per incamminarmi verso casa, vengo raggiunto da un paio di ragazzi che mi chiedono se qualche volta mi andrebbe di studiare con loro. Rispondo loro che ci penserò, che ultimamente sono un po' impegnato e tiro dritto per la mia strada. Non voglio più interazioni umane di quante ne abbia già al momento, per cui l'idea di passare delle ore dopo le lezioni a parlare con delle persone mi dà i brividi.

Sono quasi arrivato a casa, quando la mia attenzione viene catturata dalla pubblicità di una marca di cibo per gatti. Questo mi porta involontariamente a pensare alla mia Millie. Sospiro e rimetto le chiavi in tasca. Proverò a cercarla un'ultima volta. Se non salta fuori, giuro su che non penserò mai più a lei, non la cercherò più e non comprerò altri gatti.

Continuo a camminare in direzione del centro, soffermandomi a scrutare ogni tanto l'ingresso di qualche vicolo. In fondo, molto in fondo, c'è ancora un piccolo barlume di speranza che mi porta a controllare un'ultima stradina, attigua a quella di Alex.

Una volta constatata nessuna traccia felina, mi volto per andarmene. Ad un tratto, però, sento una specie di rantolo provenire dal fondo della via. Incuriosito e anche un po' intimorito, avanzo per cercare di capire la fonte di questo lamento sempre più straziante.

Accucciata sull'asfalto in posizione fetale c'è una figura scomposta. Mi avvicino ulteriormente e riconosco subito la camicia rossa di Alex e i suoi capelli ricci tutti arruffati e incrostati di sangue secco. Con il cuore in gola, punto lo sguardo sul suo volto tumefatto e costellato di graffi sanguinolenti. Un occhio è completamente chiuso e sta virando verso una inquietante colorazione violacea, mentre il labbro inferiore è spaccato e non smette di sanguinare, sporcandogli il mento e il collo.

Un altro rantolo esce dalle labbra sottili di Alex, poi inizia a tossire e l'asfalto intorno a lui si macchia di piccole gocce di sangue.

- Che diavolo è successo?- domando sgomento, non aspettandomi però una risposta viste le sue condizioni.

- Adesso chiamo l'ambulanza, d'accordo?- dico, cercando di regolarizzare il mio respiro. Credo di non sentirmi troppo bene.

Alex sussulta e sgrana gli occhi. Scuote la testa furiosamente e apre la bocca per dire qualcosa, ma esplode in una tosse che lo piega in due e gli fa sputare altro sangue misto a saliva.

Cosa faccio adesso? Lasciarlo qui è impensabile, ma se non vuole nemmeno essere portato in ospedale...

Mi inginocchio su di lui e gli tasto le tasche dei jeans con delicatezza. Estraggo il mazzo di chiavi che speravo di trovare e poi provo invano a sollevarlo.

- Ho bisogno del tuo aiuto, non riesco a tirarti su.- lo guardo negli occhi e lui annuisce piano.

Posiziono le mani sotto alle sue ascelle e lo sento spingersi con le gambe. In qualche modo riesce a mettersi in piedi, così mi affretto a mettergli un braccio sulle mie spalle mentre gli stringo la vita in modo da sorreggerlo. Iniziamo a camminare con una lentezza estenuante e più volte sento la sua presa farsi più debole, come se stesse per svenire. Un po' barcollando e un po' trascinandolo, riesco ad uscire dalla via e dirigermi verso il vicolo accanto, dove abita lui.

Per fortuna il suo cancello è a metà della via, così lo raggiungiamo in fretta. Lo faccio sedere con cautela sul bordo del marciapiede e nel frattempo mi affretto a provare tutte le chiavi per trovare quella giusta. Una volta aperto il cancello, la stessa storia vale per la porta d'ingresso. Una volta aperta quest'ultima, mi rendo conto che non so dove sia il suo appartamento. Mi copro il naso con la manica della giacca perché l'aria qui è irrespirabile: il pesante odore di cibo fritto e di fumo di sigaretta impregna i muri ed è insostenibile. Curioso un po' in giro, ma poi decido di tornare fuori per chiedere a lui dove sia l'appartamento.

Grazie a Dio non è al quinto o sesto piano, ma in una specie di sotterraneo. Come prima, gli metto un braccio attorno alle mie spalle e lascio che mi usi come stampella mentre percorriamo il viottolo d'ingresso e scendiamo piano le scale alla nostra sinistra. Ci mettiamo più tempo di quanto ne abbiamo impiegato ad arrivare fin qui, ma alla fine ce la facciamo.

Continuando a sostenerlo, provo ciascuna delle tre chiavi rimanenti nel mazzo e al secondo tentativo la chiave gira nella toppa con un clic. Con la mano libera mi asciugo il sudore dalla fronte e respiro a fondo, visto che a causa dello sforzo ho il fiatone. Non sembra, ma anche un ragazzo esile come lui diventa pesantissimo da spostare quasi a peso morto.

Spalanco la porta con un calcio e avanzo nell'abitazione con Alex, i cui piedi stanno ormai letteralmente strisciando sul pavimento.

Niente, però, mi ha mai preparato a ciò che mi ritrovo davanti.

Catnapping [sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora