01│Yankees cap & black haired boy

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❝ The truth is that I'm sorrythough I told you not to worryI'm just some dumb kidtrying to kid myselfthat I got my shit together ❞。lost boy,, Troye Sivan

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❝ The truth is that I'm sorry
though I told you not to worry
I'm just some dumb kid
trying to kid myself
that I got my shit together ❞
。lost boy,, Troye Sivan

« Tyler! » mia madre quel giorno era indaffarata a preparare qualcosa di speciale da mangiare, come se dovesse avvenire qualcosa di diverso dal solito, lo avevo intuito dal fatto che avesse i nervi a fior di pelle, da come la mattina avesse strattonato la tenda, permettendo ai raggi troppo luminosi del sole di gettarsi a peso morto su di me, facendomi mugolare in disapprovazione. Scesi al piano di sotto di corsa, quel sabato mattina c'era qualcosa che non andava, forse aspettavamo qualcuno, dato che mia madre stava agitando energicamente il mestolo dentro la pentola, mentre di tanto in tanto si asciugava una mano sul grembiule e cambiava braccio « dimmi »

« puoi andare a comprare delle uova? oggi viene zia qui, ha detto che vuole darti una cosa, ti ricordi, no? » disse, rivolgendomi il suo sguardo, per poi spostare nuovamente l'attenzione, soffermandosi a guardare, con un cipiglio indaffarato in viso, la pentola ed il suo contenuto. Annuii, anche se ero consapevole che non mi potesse vedere, zia si sarà stancata di aspettare, adesso mi sento in colpa per non aver deciso prima di andare da lei « non dimenticarti il sale »

Le strade erano deserte, forse era una caratteristica del mio quartiere, dato che non era la prima volta che in giro ci fossi solo io. Le mani nelle tasche dei miei black jeans, delle vans nere ai piedi, una cuffietta nell'orecchio destro e l'altra che penzolava lungo la spalla sinistra. Faceva più caldo del solito, ma quell'anno fu il primo nel quale non attesi l'estate con frenesia o ansia, più aumentava il caldo e più si avvicinavano gli esami.

Guardavo le mie scarpe divorare il marciapiede, il sole mi accarezzava i capelli con dolcezza, forse per farsi perdonare del risveglio brusco di quella mattina, il minimarket non era molto lontano, ma casa mia era più isolata rispetto alle altre, quindi avrei dovuto camminare per ancora una quindicina di minuti. Senza farci caso, iniziai a pensare a Louis, voltai il viso di lato e quasi lo vidi camminare al mio fianco, con le braccia dietro la nuca e il viso rivolto verso il sole.

Louis amava tanto l'estate ed io avevo imparato ad amarla proprio grazie a lui, diceva che in giro si respirasse aria più serena quando giungeva la stagione calda e per certi versi era proprio così, le persone sembravano spogliarsi dalla fatica e immergersi nel sole rovente. Louis era stato il mio maestro, oltre al mio migliore amico, mi aveva insegnato ad apprezzare molte cose, a cui io prima non davo importanza, come le giornate passate al parco, con le nostre dita intrufolate nell'erba oppure le sere trascorse in giro per il quartiere a guardare le stelle, i pomeriggi a pedalare sulle nostre bici, sfrecciando sulle strade deserte dei nostri quartieri.

Louis era stato l'unica persona che mi avesse reso felice in un modo tutto suo, più il tempo passava, marciando nell'aria con passo pesante e quasi arrogante, più capivo cosa la vita mi avesse tolto, qualcosa di prezioso. Mi risvegliai dai miei pensieri nostalgici quando sentii un rumore di rotelle di skateboard graffiare la strada, i miei passi rallentarono, la mia mano tirò giù la cuffietta, dimenticandomi di spegnere la musica. Ascoltai quel rumore farsi più vicino, non capivo se provenisse da dietro o davanti, non capivo neanche se si stesse veramente avvicinando, sembrava quasi che stesse percorrendo sempre lo stesso tratto.

Scrollai le spalle, continuando per la mia strada, non potevo perdere altro tempo, mia madre aveva bisogno delle uova ed io avevo bisogno di tornare a casa, di stendermi sul letto e chiamare Louis. Era da due giorni che non ci sentivamo, avrei voluto dirgli ancora una volta quanto mi mancasse la sua presenza, i suoi abbracci, i suoi sorrisi, il suono della sua risata. Il rumore si fece più vicino, proveniva da destra, così mi voltai, ancora una volta i miei passi rallentarono.

Da uno stretto vicolo comparve un ragazzo con i pantaloni grigi larghi, aveva indosso una maglia nera a maniche lunghe, le quali presentavano una fantasia a strisce grigie, era sullo skateboard, i capelli corvini gli solleticavano la fronte, una mano intrufolata nella tasca, un'altra alzata a mezz'aria reggeva un berretto degli Yankees e lo aiutava a tenere l'equilibrio.

Non lo avevo mai visto prima, aveva una fisionomia del viso che ricordava vagamente quella asiatica, gli occhi a mandorla, scuri, il corpo atletico segnalava una gran passione per le attività sportive. Aveva un certo fascino, che fosse il suo aspetto o il fatto che sapesse andare maledettamente bene sullo skateboard a renderlo così carismatico e magnetico, non so ben dirlo. Quel ragazzo dai capelli neri continuò a fare giri sullo skateboard dinanzi ai miei occhi, stentavo a credere che non mi avesse notato, forse non gli importava avere uno spettatore che lo analizzasse con cura. Ethan, tu sei sempre stato diverso dagli altri.

Ammetto che il nostro incontro non fu nulla di eclatante, tu andavi sullo skateboard facendo la mia stessa strada, impegnato a fare acrobazie, saltando sul marciapiede opposto al mio e facendo giri su te stesso, mentre io cercavo di aumentare il passo ed ignorarti. Fu esilarante poi, non lo credi anche tu?, come ci ritrovammo entrambi a guardare gli scaffali dello stesso minimarket.

Presi velocemente le uova, tu ancora ti piegavi per guardare la merce di uno scaffale quasi a terra, nel mentre ero arrivato alla cassa, pagai ed uscii, con una certa fretta a caratterizzare i miei movimenti, solo in quell'istante ti vidi afferrare un pacco di sigarette, uno di gomme alla fragola e l'altro di patatine classiche. Avevi appoggiato distrattamente il tuo skateboard al muro del minimarket, mettendo le rotelle sporche in mostra, anche se dubito che l'avessi fatto di proposito, forse andavi di fretta come me.

Non ti avevo mai visto in giro, quindi supposi che tu fossi nuovo. Ripresi a camminare, ripercorrendo i miei passi a ritroso, cancellando le orme dei miei piedi, sostituendole con altre. Rimisi la cuffietta, accorgendomi solo in quel momento che la musica fosse ancora accesa, sospirai, afferrando il cellulare e scorrendo sulla playlist. Selezionai la canzone che ormai mi era entrata in testa, intrufolando le mani nelle tasche.

Passarono pochi minuti prima che il rumore del tuo amato skateboard cominciasse a risuonare per la strada, non era fastidioso ma, essendo il quartiere deserto, rimbombava, saltellava da una casa all'altra, facendo capire a tutti che qualcuno stesse fuori, sotto i tiepidi raggi del sole. Giungemmo vicino al vicolo da cui ti avevo visto spuntare e da cui poco dopo ti vidi sparire. Non avrei mai immaginato che due giorni dopo ti avrei ritrovato a scuola, nella mia stessa classe, nell'ora di matematica.

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FRAGOLE & SIGARETTEWhere stories live. Discover now