GABRIELE

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"Finisca quello che sta facendo e poi può andare, dottor Rossi." Sento dire alle mie spalle e la paziente a cui ho appena ricucito una ferita alla gamba ridacchia di fronte all'espressione di sollievo che non riesco a reprimere. Sono qui dentro da trentasei ore.
Trentasei ore senza dormire né mettere qualcosa nello stomaco diverso da un caffè.
A volte mi chiedo se la figura degli schiavi non si sia evoluta in quella degli specializzandi in medicina.
Nonostante i pensieri che mi ronzano in testa, mi costringo a fare un sorriso convincente verso il mio capo.
"Sì, grazie, dottor Marcelli."
"E' stanco, vero?" Mi chiede la ragazzina ancora seduta sul lettino.
"Un pochino sì, lo ammetto. Siamo esseri umani anche noi." Dico, facendole un sorriso. "Allora, deve disinfettare la ferita una volta al giorno e tornare qui tra un paio di settimane a togliere i punti. Se avverte dolori troppo intensi può prendere un analgesico. Ah, e ovviamente non può fare ginnastica."
Lo sguardo della ragazza si spegne. "Quasi speravo che mi dicesse di sì." Alzo le spalle. "La ferita è profonda e potrebbe infettarsi, causando conseguenze più gravi, e io immagino che un paio di settimane di astensione siano meglio di mesi, no?"
Lei annuisce subito. "Sì, assolutamente."
"Bene, allora lo prenda per una piccola vacanza." Dico, facendo un occhiolino. "Può andare."
"Okay, grazie dottore, buona giornata."
"Grazie." Dico, aspettando che lei esca per andare a prendere le mie cose e a togliere un camice.
Sono tentato di annullare la seduta con la psicologa, visto il mio stato, ma mi rendo conto che avvisarla con così poco preavviso non sia esattamente educato.
Perciò mi dirigo in caffetteria, ordino un caffè espresso e mi siedo ad aspettarla, sperando che la caffeina faccia il suo dovere.
"Ciao, scusami il ritardo, ero con una paziente."
Alzo lo sguardo sulla ragazza affannata che si sta sedendo di fronte a me, togliendosi il giubbotto.
Indossa un vestitino blu scuro con delle sottili linee verdi che si incrociano a formare dei quadrati, calze nere e un paio di stivaletti.
Non è truccata come lo scorso sabato sera, ma il poco trucco che ha mette in risalto gli occhi chiari, il cui colore è ancora più accentuato dal fatto che i suoi capelli siano tirati all'indietro in una coda alta, lasciandole libero il volto.
Senza neanche volerlo, guardo i miei jeans e la mia maglietta che risalirà almeno a cinque anni fa, sentendomi un gradino più in basso di lei.
Non che sia importante, dato il nostro tipo di rapporto.
"No, scusami tu, ho già ordinato, ma volevo evitare di crollare sul pavimento."
"Figurati, non siamo qui per bere qualcosa insieme." Sottolinea subito. "Comunque la stanchezza si nota, forse dovresti usare un po' di fondotinta per coprire le occhiaie." Dice, nascondendo un sorriso.
Si diverte, la stronza. Non era lei quella che diceva che non dovesse esserci più di un rapporto professionale? Da quando prendere in giro i pazienti sul loro aspetto lo è?
"Sono in piedi da trentasei ore."
"Io sono rimasta in piedi per tre giorni di seguito, una volta. Il mio cane era scappato e rifiutavo di dormire, perché temevo potesse tornare da un momento all'altro e trovare la porta chiusa." Il modo in cui sorride al ricordo, distende il suo volto e, per qualche strana ragione, io mi ritrovo a serrare le mani per trattenere l'impulso di toccare il piccolo incavo sulla guancia sinistra.
"E' tornato, alla fine?"
"No." Dice semplicemente, alzando le spalle. "Allora, torniamo a noi. Hai portato fuori a pranzo la tua ragazza, domenica."
"Sì e tu sei stata davvero poco carina con me. E Elisa non è la mia ragazza, non ancora."
"Io sono stata professionale, con te. E non è importante, è come se lo fosse."
"No che non lo è. Se fosse la mia ragazza dovrei portarle delle rose il giorno del nostro anniversario, inviarle il buongiorno ogni mattina e comprare dei cioccolatini a San Valentino."
La vedo alzare gli occhi al cielo, esasperata, e reprimo una risata.
"Non è questo il punto. Non mi interessa la vostra relazione romantica, ma solo la vostra relazione in quanto input per l'autoconsapevolezza e per la risoluzione delle tue problematiche emotive." Mi spiega, con il tono che di solito si usa con i bambini di cinque anni. "E comunque, non tutte le ragazze vogliono il buongiorno ogni mattina e rose e cioccolatini, a volte potreste risultare appiccicosi."
"A te non piacciono? Davvero?"
Lei sbuffa. "Non è questo che ci interessa!"
"A me interessa, invece. Potrebbe aiutarmi a capire come comportarmi con Liz." Dico, ma la verità è che mi sto solo divertendo a vederla cercare di trattenere qualche risposta molto poco professionale.
"Il punto è che non è importante il tuo comportamento in questa fase del tuo percorso, ma quello che senti. Domenica sei andato a pranzo con lei. Come ti sei sentito? Ti rendeva felice essere lì?"
Sto per tentare un'altra battuta, perché rispondere alla sua domanda mi costa un po' di fatica, ma poi ricordo il motivo per cui sono qui e provo a fare uno sforzo.
"E' stata una bella giornata. Abbiamo chiacchierato, ci siamo baciati un paio di volte e abbiamo bevuto champagne..."
"E questo vuol dire che vi siete divertiti, cosa che mi fa piacere ma che non è esattamente quello che ti ho chiesto. Sapresti dirmi cosa provavi, mentre pranzavi con lei, mentre le parlavi e mentre la baciavi?"
"Niente cuore in gola e strani insetti nello stomaco."
"Quello è uno stereotipo da film, l'amore non si manifesta sempre così."
"E che razza di amore è?" Ribatto, facendola ridere.
"L'amore è senso di protezione, voglia di trascorrere il proprio tempo assieme a quella persona, immaginando e pianificando un futuro con lei. Le farfalle nello stomaco e tutto il resto sono un'aggiunta di poco conto."
"Sei sicura di essere stata innamorata?" Le chiedo, sinceramente scettico. Sicuramente non sono avvezzo all'amore, ma descritto così non è poi così invitante.
"Qui non si parla di me, ma dell'amore in genere."
"E allora perché la gente lo cerca così tanto?"
"Perché arriva un certo momento, come nel tuo caso, in cui si sente il bisogno di non essere più soli."
"Io non voglio solo questo. Io voglio riuscire ad emozionarmi, voglio toccare una ragazza e sentire che vale qualcosa, che la mia vita è cambiata da quando c'è lei. Voglio sentire che per i momenti con lei vale la pena sopportare i momenti brutti, perché saranno ripagati da un suo abbraccio e voglio che quell'abbraccio valga più di tutto il male che c'è stato prima." Quando finisco di parlare, sul nostro tavolo aleggia un'atmosfera strana.
La ragazza di fronte a me resta in silenzio e io vorrei tanto dire a me stesso che nella mia mente ho dedicato quelle parole a Liz, ma mi accorgo che l'unica cosa che stavo guardando erano un paio di occhi del colore del cielo.
Distolgo subito lo sguardo, schiarendomi la voce. "E vorrei che questa ragazza fosse Liz, ovviamente." Aggiungo subito.
Lei ci mette un attimo ad annuire. "Sì, sì, naturalmente. Beh, sarà una ragazza fortunata, allora." Dice in fretta. "Comunque, dicevamo... Hm... Domenica..." Noto che sembra a disagio e mi chiedo per quale motivo tenga lo sguardo basso.
"... I tuoi sentimenti. Hai provato qualcuna delle cose di cui parlavi un minuto fa?"
"Onestamente no." Ammetto. "E per quanto sia triste e brutto dirlo, sento che se Liz se ne andasse la mia vita non cambierebbe un granché, nonostante tutti i miei buoni propositi."
"Tu pensi che lei possa andar via? Che possa lasciarti e incontrare un'altra persona?"
"Penso che una persona abbia bisogno di essere amata e io non le sto dando più di un rapporto instabile e altalenante, perciò..."
"Ma se tu riuscissi ad amarla, pensi che potrebbe comunque andare via?" Capisco dove vuole andare a parare. La mia paura dell'abbandono.
"Non è detto che un rapporto duri per sempre..."
"Vero, ma quando si intraprende una relazione il per sempre è un obiettivo. Se poi non si riesce a raggiungerlo, allora si cerca un altro compagno con cui riprovarci. Non ha senso legarsi a qualcuno se si pensa che prima o poi ci lascerà soli, sarebbe come farsi del male. Ed è da questo che ti sta proteggendo la tua mente. Tu non pensi che una persona possa amarti davvero o almeno quanto tu vorresti amare lei. E allora il tuo inconscio ti impedisce di affezionarti."
"Io non penso che nessuno possa amarmi. So di non essere male." "Che cosa intendi per non essere male?"
"Non ho un brutto aspetto e sono sulla strada per diventare un buon medico..."
"Aspetto, carriera e portafoglio pieno. Quanto durerà un amore che si basi su questi fattori, secondo te?"
Resto in silenzio, messo con le spalle al muro.
"In realtà potrebbe anche durare una vita, ma noi non stiamo cercando una relazione poligama, per dirla in maniera elegante."
Sorrido appena.
"Devi pensare che meriti di essere amato. Che non necessariamente verrai piantato in asso da un momento all'altro e che c'è gente lì fuori che sa voler bene a qualcuno e dimostrarglielo. Che poi vada bene oppure no, è un fattore secondario."
"I miei genitori non mi hanno mai trattato come se fossi parte essenziale della loro vita, perché dovrebbe farlo una persona che non ha nessun legame con me?" Ammetto, dandole ragione su quale sia il vero problema. "Proviamo a guardare la situazione da un altro punto di vista. Sei un uomo adulto e immagina che tu incontri la persona che senti sia quella giusta per te. La sposi e avete un bambino, ma poi vi rendete conto di non andare bene l'uno per l'altra, il che può succedere. Magari arriveresti a lasciarla, ma c'è quel bambino lì che vi chiama mamma e papà. Lui rappresenta il simbolo di quell'amore in cui hai creduto e rappresenta la famiglia che siete, a prescindere da tutto. Non faresti un altro tentativo per questa famiglia?"
"Non è una famiglia, se ci sono solo litigi, è un ambiente ostile che non fa bene a nessuno."
"Ma tu pensi che possa diventare un ambiente migliore. Che col tempo, le cose miglioreranno e che se ci riproverai, quel bambino potrà avere la sua mamma e il suo papà. Davvero non faresti nessun tentativo?"
Stringo i denti. "Forse sì."
Lei annuisce. "E con lo stesso meccanismo a quel tentativo ne seguirà un altro, e un altro ancora. Chiuderai gli occhi di fronte a tuo figlio che piange perché voi due litigate, perché continuerai a chiedere che quando quella situazione passerà lui sarà felice. E ci riprovi ancora e ancora, ma i litigi sono troppi e alla fine, per sopportarli, passi meno tempo a casa e più a lavoro, perché così forse il vostro bambino sentirà meno la tensione." "Non è così che si risolvono i problemi." Mormoro.
"No, infatti non lo è. Ma è quello che pensa spesso una coppia che mette al primo posto il bene del suo piccolo. Anche se in realtà quello non è il suo bene. Cosa è successo dopo che si sono separati?"
"Sono andato a vivere da mia madre. Mio padre mi spediva inutili regali costosi e mia madre mi presentava tutti i suoi nuovi fidanzati. Io li odiavo tutti. A poco a poco ho iniziato a dormire più a casa di amici che a casa mia e appena ho potuto mi sono trasferito lontano da lì."
"Vedi, gli inutili regali costosi di tuo padre erano probabilmente il suo modo di chiederti perdono e i nuovi fidanzati di tua madre erano probabilmente il suo tentativo di darti una famiglia. Che poi fossero tentativi corretti è discutibile, ma se guardi la questione dal loro punto di vista quanto puoi essere sicuro che non ti amassero a modo loro? Tu eri un bambino, un ragazzino e la tua rabbia e la tua amarezza sono più che comprensibili. Ma ora sei un adulto e se vuoi vivere bene con te stesso devi arrivare a perdonarli e, soprattutto, a capire che quello che loro hanno fatto non centrava con te. Non avevi niente di diverso dagli altri bambini e meritavi il loro stesso amore."
Sento un nodo in gola e tengo lo sguardo sulle mie mani intrecciate. Le sue parole fanno male e allo stesso tempo sono una specie di balsamo per una ferita che non sapevo fosse ancora aperta.
"Quando hai detto che essere un buon medico ti permetta di essere amato non dicevi un qualcosa di sbagliato, ma non dovresti guardare il medico come una professione prestigiosa e ben retribuita. Prova a guardarlo dall'interno. Tu sei un medico, salvi vite, passi trentasei ore in ospedale senza dormire per poterti prendere cura di chi sta male. Lì fuori c'è gente che uccide o, se non vogliamo essere così estremi, c'è chi guarda una persona stramazzare a terra e non sbatte ciglio. Tu hai un dono, puoi accettare che qualcuno ti ami per questo. E per tutto il resto."
"Qual è il resto? Non c'è nient'altro oltre il camice bianco."
"Io ho conosciuto un ragazzo spiritoso, anche se un po' rompipalle. Un ragazzo che sa come far star bene una ragazza." Dice con un sorriso, per poi aggiungere subito: "Mi riferisco alla tua Liz, al vostro pranzo insieme e a quando sei andato da lei per farti perdonare. "
"Okay, sta diventando imbarazzante." Dico, con una risata.
"Hai bisogno di credere in te e nel fatto che puoi trovare qualcuno che ti ami e che non ti getti via come un oggetto rotto. E' su questo che dobbiamo lavorare. Vorrei che tu facessi una cosa per la settimana prossima, anche se so che il tuo lavoro ti porta via diverso tempo."
"Mi stai dando un compito a casa?" Chiedo, divertito.
"E allora? Per quanto mi riguarda, a prescindere dal tuo fisico scolpito, sei ancora un ragazzino fragile e indifeso che ha bypassato parecchie fasi della sua vita."
Devo ammettere che il suo complimento non mi è proprio indifferente.
"Io sarei fragile e indifeso?"
Lei alza gli occhi al cielo. "Chiedo perdono, non volevo offendere la tua virilità."
Scoppio a ridere. "Per quella ho abbastanza testimoni anche senza la tua approvazione."
"Perciò i rapporti stabili no e i rapporti di una notte invece sì?"
"Stai parlando da psicologa o c'è un interesse personale?" Dico, ammiccando.
"Dio, ti strozzerei se la mia professione non mi obbligasse a prendermi cura dei miei pazienti."
Di nuovo, qualcosa dentro di me si contrae in modo spiacevole e mi ripeto ancora una volta che le do dei soldi perché lei sia gentile con me. Non è una cosa che fa perché le sono simpatico. Lo fa con chiunque glielo chieda e le dia del denaro. E' la sua professione, essere gentile e mettere a suo agio i suoi pazienti. E' una cosa stupida che una parte di me sia risentita quando lo esprime ad alta voce.
E poi io ho Liz. E' lei quella che prova genuinamente qualcosa per me ed è per lei che sono qui.
"Ehy, mi ascolti o pensi di addormentarti proprio ora?"
Scuoto la testa, liberandomi dei miei pensieri.
"Il mio cervello sta per disconnettersi, scusami. Trentasette ore cominciano ad essere troppe."
"Voglio che per la prossima settimana tu annoti tutte le volte in cui fai una cosa che ti sembra carina verso qualcuno e che non sia strettamente collegata all'ambiente medico."
"E' davvero necessario?"
"Io trovo che possa aiutarti. Ovviamente, non posso metterti un brutto voto se non lo fai." Dice, praticamente sbattendo le ciglia.
E ci riesce talmente bene...
Sbuffo. "Okay, lo farò, se mi guardi in quel modo."
Lei ride. "Ora sono seria, se non ti va di farlo troveremo un modo meno... scolastico. Ma se riesci, provaci."
Annuisco.
"E ora credo che tu abbia bisogno di riposare. Informami per la prossima seduta." Dice, trattenendo a stento uno sbadiglio.
Ora che ci faccio caso, noto che anche i suoi occhi sembrano stanchi, nonostante il fondotinta.
"Lo farò. Serve un passaggio?"
Lei esita prima di scuotere la testa, mostrando che l'idea l'alletti non poco. E per quanto la mia domanda sia stata un mero gesto di gentilezza, all'improvviso ho davvero voglia di darle un passaggio.
Perché è stanca e la parte altruista di me non riesce a restare indifferente, si intende.
"Sicura? I tram a quest'ora sono affollati, dovrai sopportare l'aria soffocante e probabilmente impiegherai il doppio del tempo di quello che impiegheresti se ti accompagnassi io."
"Come fai ad essere certo che io non abbia un'auto?"
Alzo le spalle. "Ci hai messo qualche secondo, prima di rifiutare la mia offerta."
La vedo aggrottare la fronte. "Sei sicuro di non avere anche la laurea in psicologia?"
"Quella in medicina basta e avanza." Dico con un sorriso. "Dai, andiamo, cosa vuoi che sia un passaggio."
Ancora un po' indecisa mi segue fuori dal locale e fino all'Audi.
"Gli uomini e le loro macchine." Commenta, guardandosi intorno nell'abitacolo spazioso con un sorriso.
"Se quella sera non fossi scappata avresti conosciuto prima questo gioiellino." Le dico, lasciando trasparire un po' di disappunto. Non ho cambiato idea sul suo gesto poco carino di andarsene senza neanche dirmi grazie.
"Io non sono scappata, ero in grado di camminare da sola e ti ho evitato il disturbo. Pensa se avessi continuato a svuotare il mio stomaco qui dentro." Arriccio il naso al pensiero. "Il tuo stomaco era già vuoto."
La mia psicologa alza le spalle. "E chi può saperlo. Ho ingurgitato una quantità notevole di alcool, per essere una non abituata a bere."
"E io ti ho retto la testa nonostante tu avessi rovesciato l'alcool sui miei pantaloni. Di solito le persone si ringraziano, sai?"
"Ti ho lasciato la mia giacca, era il mio modo per ringraziarti." Fa lei, facendomi l'occhiolino.
"No, quella l'hai lasciata a me perché eri troppo impegnata a scappare con il mio maglione preferito!"
"Che dolce, hai anche un maglione preferito."
"Mi stai prendendo in giro per caso?"
Gaia fa un sorriso innocente che le fa brillare gli occhi e io mi trattengo dalla stupida tentazione di allungare la mano a toccare la piccola fossetta sulla guancia sinistra.
La guardo con la coda dell'occhio e mi rendo conto di quanto sia diversa dalla persona che ho conosciuto in quel pub.
Non c'è più traccia della ragazza che avevo etichettato come irresponsabile e forse un po' idiota.
Gaia è in gamba, è professionale, intelligente e simpatica. Non è una di quelle che incontrano ubriache in un pub.
"Era una persona molto vicina a te?" Le chiedo, prima di riuscire a fermarmi.
La vedo deglutire con la coda dell'occhio e chiudere gli occhi per un attimo. "Scusami, non avevo il diritto di chiedertelo."
Lei scuote la testa. "Non è mai facile parlarne."
Alzo le spalle. "Allora non farlo." Dico, con tono rassicurante. "Però devi ammettere che quest'anno il destino ti ha fatto una bella sorpresa, permettendoti di conoscermi." Aggiungo dopo un attimo di silenzio.
Gaia alza un sopracciglio. "Se avessi un briciolo dell'autostima che mostri ti risparmieresti le sedute."
"Magari mi piace stare in tua compagnia." Le faccio l'occhiolino e lei rotea gli occhi.
"Sono in pena per la tua ragazza."
Rido. "Con Liz sono sempre molto dolce. E sono contrario ai tradimenti, perciò, il tuo sogno di una metaforica fuga romantica con il sottoscritto è appena andato in frantumi."
"Sto per strapparmi i capelli."
"Scommetto che non lo faresti mai, Raperonzolo."
Lei sorride. "Sai che quando ero piccola ripetevo continuamente a mia madre che li avrei fatti crescere quanto i suoi? Gli altri bambini andavano nel panico per una visita dal dentista, io per una dal parrucchiere."
Rido e lei si morde il labbro, scuotendo la testa con un sorriso.
Per qualche strano motivo, mi ritrovo a deglutire più volte.
"Dove vado?" Chiedo dopo qualche secondo.
"Naviglio Piccolo."
"Bella zona. Un po' rumorosa di venerdì sera, ma bella."
"Sì, non è male. E poi il Naviglio è la cosa più simile al mare, qui."
"Ti piace il mare?"
"Molto. Abitavo in un paesino sulla costa."
"Fammi indovinare, Sud Italia?"
"Sì, da cosa l'hai dedotto?"
"L'accento. Non è molto marcato, ma si sente che non sei di qui."
Lei sorride. "A quanto pare continua a tradirmi. Il tuo invece è quasi inesistente. Sempre stato qui?"
"No, ma sono qui da dieci anni ormai. Come mai hai scelto proprio Milano?"
"I miei zii si sono trasferiti a Verona poco prima che io iniziassi l'università, così li ho seguiti e ne ho approfittato per studiare qui."
"E i tuoi genitori? Immagino sentano la tua mancanza."
Ma perché le fai tutte queste domande? Che ti importa della sua vita? "Diciamo che ho una famiglia un po' complicata. E tu di dove sei?"
"Un paesino molto vicino a Roma."
"Sei Romano? Davvero?"
"Perché, non si vede che spruzzo simpatia da tutti i pori?"
Lei alza gli occhi al cielo. "In realtà no, per niente. Io amo Roma, comunque. Penso che sia una delle città più belle del mondo."
"Sì, lo credo anch'io. Un po' mi manca l'atmosfera calda di casa. Milano sarà anche bella, ma è quasi impossibile non sentirsi soli."
"Hai ragione." Mormora, guardando lontano oltre il parabrezza. "Non sei tornato neanche una volta a trovare i tuoi genitori?"
"Mi stai ancora psicanalizzando?" Chiedo divertito.
"No, me lo stavo solo chiedendo. Ma se non vuoi rispondermi non importa." Fa lei, alzando le spalle.
"No, non ci sono tornato. Anche se un lato di me ha nostalgia di casa, l'altro lega la mia città a un'infanzia e un'adolescenza non troppo felici." Gaia annuisce. "Capisco perfettamente cosa vuoi dire." Dice, e i suoi occhi diventano cupi.
Nonostante la sua costante prontezza di spirito, l'oscurità che questa ragazza si porta dentro sembra così profonda da farmi chiedere come faccia a non annegarci.
"Magari un giorno potrò psicanalizzarti anche io." Le dico, con un sorriso.
"No, grazie, quello lo faccio da sola. E comunque mi dispiace dirlo, ma gradirei non dover richiedere le tue prestazioni, dato che significherebbe correre in ospedale. Gli ospedali non mi piacciono molto."
"Immagino non piacciano a nessuno, quando sei dalla parte di chi viene curato."
"Penso che neanche a te piacciano, quando vedi morire delle persone." "Diciamo che, anche se è brutto da dire, mi ci sono abituato." Mento, scrollando le spalle.
Lei mi fissa. "Vuoi davvero prendere in giro una psicologa su quello che provi?"
"Hai una laurea o la sfera di vetro?"
"Entrambe." E ride. "Però la sfera non me l'hanno data all'università, l'avevo anche prima."
"Buono a sapersi."
"Puoi fermarti qui, casa mia è proprio qui davanti. Grazie per il passaggio e..."
Per un attimo, uno solo, ho l'impressione che il suo sguardo si fermi sulle mie labbra. Ma l'attimo svanisce in fretta. "... per la chiacchierata. Buona dormita."
Le faccio un sorriso. "Non c'è di che, e grazie."

Prova a salvarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora