Gabriele.

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Quando apro la porta di casa, non riesco neanche a prestare attenzione alle feste di Ares, il che è forse l'indice più attendibile della mia stanchezza. Per quanto io ami il mio lavoro, alle volte mi chiedo se una scelta diversa mi avrebbe reso la vita più facile.
La conclusione è sempre che una vita facile non sarebbe stata bella quanto una vita piena e soddisfacente, nonostante la vita appena citata mi faccia tornare a casa più simile ad uno zombie che ad un essere umano.
Dicono che dopo la specializzazione andrà meglio, comunque.
Verso una dose di croccantini nella ciotola del mio cane, facendogli una carezza quasi ad occhi chiusi, prima di crollare sul divano senza neanche riempire il mio stomaco, altro indice della mia immensa stanchezza.
Il cibo e Ares sono sempre al primo posto, nella mia vita.
                                   **
Il suono insistente del mio telefono mi costringe a sollevare le palpebre. Non esiste qualche regola implicita che inviti a non insistere quando una persona non risponde alle prime dieci telefonate?
Allungo un braccio alla ricerca del mio cellulare e quando lo trovo nella tasca dei miei jeans, me lo porto all'orecchio senza neanche guardare il mittente della chiamata.
"Pronto?"
"Ti ho svegliato?" Mi chiede la voce di Elisa, quasi sorpresa.
"Ho avuto un turno pesante." Mi giustifico.
"Ah. Perciò... niente cena, stasera?"
Scosto il cellulare dall'orecchio per guardare che giorno sia, e mi ricordo della cena che le avevo promesso.
Per quanto la mia voglia di rimanere a poltrire qui sia indescrivibile, immagino che dover elemosinare il tempo della persona con cui esci, anche se a causa della sua professione, non sia per niente carino, perciò mi metto in piedi e lancio un'occhiata all'orologio in cucina.
"Ma sì, ovviamente ci sono. Mi sono solo addormentato per un attimo. Passo a prenderti tra mezz'ora?"
"Sì, sì, va bene. Sono quasi pronta." Dice Liz, riacquistando il suo solito entusiasmo.
"Bene, a tra poco."
"A tra poco."
Mi fiondo sotto la doccia, poi infilo un paio di jeans e una camicia bianca, il tutto con gli occhi di Ares puntati addosso.
"Sì, sto facendo questo per Liz. Hai visto che mi importa davvero di lei?" Gli dico, ma mi sembra che lui mi guardi per niente convinto, o forse sono solo i miei dubbi.
Mentre infilo il giubbotto, lo sguardo mi cade sulla giacca nera appesa all'appendiabiti.
E' lì da una settimana e ancora non ho avuto notizie della ragazza ubriaca in cui mi sono imbattuto in una delle mie rare serate tra amici. Una parte di me ha ancora paura che le sia successo qualcosa di brutto, ma il fatto che nessuno ne abbia parlato al telegiornale mi fa pensare che sia semplicemente andata via. Dopo avermi sporcato i pantaloni di alcool e aver vomitato ai miei piedi. E con il mio maglione preferito. Almeno un grazie sarebbe stato gradito.
Scuoto la testa. La gente a volte fa cose stupide come ubriacarsi e maleducate come non ringraziare neanche chi ti ha tenuto la testa mentre espellevi anche l'anima, non spetta a me capirla.
Saluto il mio fedele amico e mi infilo in auto, cercando di rimediare alla confusione dei miei capelli passandoci in mezzo una mano.
Quando arrivo da Liz, lei è già sul marciapiede che mi aspetta. Indossa un vestitino nero su calze scure di cui si intravede solo la parte finale della gonna, perché il resto è coperto dal giubbotto abbottonato fino al collo, avvolto in una sciarpa voluminosa.
E' carina come sempre e il sorriso affettuoso che mi rivolge fa scaturire nella mia testa mille domande.
"Ciao." Mi saluta, appena sale in auto, avvicinandosi per baciarmi una guancia.
"Raffreddore?" Le chiedo, sentendo il tono della sua voce.
"Il mio naso alla Rudolph non ti dice niente?" Mi chiede, voltandosi verso di me.
Ora che me lo fa notare, mi accorgo che effettivamente il suo naso è arrossato. "Eri troppo carina perché lo notassi."
Lei arrossisce un po' e sorride. "Non so se ringraziarti o considerarlo come delle scuse per il fatto che ti fossi dimenticato della nostra cena." "Dimenticato? Perché lo pensi?"
Lei mi lancia uno sguardo di sfida.
"Mi sono solo addormentato per un po'..."
"Sai quante sono dieci chiamate?"
"Okay, lo ammetto, avevo dimenticato che giorno fosse. Ma non prenderla come un'offesa, okay? E' il lavoro... sono sempre così stanco che uscito dall'ospedale fiuto l'odore del letto fino a casa."
Lei ride. "Del letto e della palestra."
"Puoi biasimarmi? Non ti piacerei così tanto se non avessi i miei bellissimi pettorali."
"Mi piaceresti ugualmente e lo sai benissimo." Ammette Liz, senza neanche un accenno di imbarazzo.
Il fatto che ammetta i suoi sentimenti tanto spontaneamente mi fa paura, soprattutto quando ancora non sono riuscito a definire i miei nonostante usciamo insieme da più di sei mesi.
"Ma la tua parte narcisista ha bisogno dei tuoi pettorali, perciò no, non ti biasimo." Aggiunge e io le faccio un sorriso.
"Sei arrabbiata con me?"
"Vorrei tanto riuscire ad esserlo, perché io merito più tempo e più attenzioni."
Annuisco e allungo una mano per farle una carezza su una guancia. "Hai ragione."
Lei sospira. "Ma è il tuo lavoro, perciò non sono arrabbiata con te. Solo, la prossima volta cerca di ricordarti dei nostri appuntamenti."
"Promesso. Allora, dove ti porto?"
"Io avrei voglia di pizza, tu invece?"
"Vada per la pizza."
Guido fino ad una delle pizzerie più rinomate della città. Una mancanza come la mia merita di essere ripagata come si deve, anche se so che anche la miglior pizza non sarà un rimedio a lungo termine.
"Allora, che casi hai avuto oggi?" Mi chiede Liz, quando il cameriere si allontana con le ordinazioni.
"Due appendiciti, un quasi infarto, una sofferenza fetale..."
"Stanno tutti bene?"
"Sì, oggi è stata una buona giornata."
"Come riesci a sopportare di vedere gente che soffre ogni giorno?"
"Non penso al fatto che soffra. Penso a come io possa farla star meglio."
"E quando non ci riesci?"
"E' il prezzo da pagare per tutte le volte in cui ce la fai."
"Perciò per te una persona che muore non... significa niente?"
Il mio pensiero corre al bambino che è deceduto a seguito di un incidente due settimane fa. Non riesco a togliermi dalla testa il suo sguardo implorante. L'ho rivisto in talmente tanti sogni che ho perso il conto. "Significa che devo migliorare."
Lei annuisce. "Io non ce la farei."
"Lo so." Le sorrido. "Non è per tutti essere un medico, soprattutto se ti occupi delle urgenze. Lì è difficile che le cose vadano a finire bene."
"Già."
"E la tua giornata?"
"Mi sono portata avanti con la lettura di un manoscritto."
"E?"
"Lo stile è ottimo, ma non credo che lo accetteremo. La trama è sentita e risentita. Non stiamo avendo molte opere originali, ultimamente."
"Quando deciderai di farti avanti e mostrare una delle tue opere ne avrete una."
Vedo il tipico rossore sulle sue guance. "I miei scritti sono per me, non per gli altri."
"E' un peccato."
"Non li hai neanche letti!"
"So che sei in gamba. E poi lo farei, se tu me lo permettessi."
"Ah no, va benissimo così."
L'arrivo delle pizze interrompe la nostra conversazione e subito dopo piomba il silenzio, mentre entrambi ci gustiamo il nostro cibo più che meritato.
"Non mangiavo da ieri." Dico, dopo aver praticamente ingoiato senza masticare due pezzi di pizza.
"Dovresti curarti un po' di più, lo sai?"
"La miglior cura che potessi darmi era il sonno, credimi."
"Stanotte sei di turno?"
"Sì, comincio tra un paio d'ore." Dico, controllando l'orario sull'orologio che ho al polso.
"Forse sarebbe stato meglio rimandare la cena e che tu riposassi per qualche altra ora."
Allungo una mano sul tavolo e accarezzo la sua. "Mi sono abituato alle poche ore di sonno. E la tua compagnia mi piace." La rassicuro, ma è il massimo che riesco a dirle.
Vorrei poterle dire che mi sono affezionato abbastanza a lei da cominciare una relazione più stabile, ma la verità è che forse non ho i geni per legarmi a qualcuno in quel modo.
E' strano, quando passi tutta la tua giornata a salvare vite di perfetti sconosciuti, non essere in grado di amare una persona al punto da voler condividere con lei qualcosa di più di una semplice pizza.
"Anche la tua compagnia mi piace." Mi risponde lei con un sorriso dolce, ignara di quello che si agita nella mia testa.
Ricambio il sorriso e tiro un morso all'ultimo spigolo di pizza, forse in modo da non essere costretto a rispondere.
Quando finiamo di cenare, Liz lotta un po' per pagare la sua parte di conto, ma quando le dico che è il primo passo per farmi perdonare per la mia mancanza di stasera, si ammorbidisce e mi permette di offrirle la cena. Mentre passeggiamo costeggiando il naviglio nonostante l'aria fredda, sento le dita di Elisa avvicinarsi piano alle mie, fino ad intrecciarle alle sue. Guardo le nostre mani unite e poi il viso appena arrossato della ragazza di fianco a me e mi chiedo che cosa si aspetti da me. Il pensiero di deludere le sue speranze mi fa sentire uno stronzo, perché Liz è davvero la ragazza più dolce che io abbia mai conosciuto.
"Okay, non avrei dovuto. Forse significa troppo per te e infondo non mi hai neanche mai baciata, perciò..." Comincia lei, sciogliendo le sue dita dalle mie.
Ignaro se sia o meno la cosa giusta da fare, tengo stretta la sua mano. "No, va bene." Le dico, facendole un sorriso.
I suoi occhi si illuminano e anche lei incurva le labbra all'insù.
Rimaniamo in silenzio per il resto della nostra passeggiata, fatta eccezione per qualche frase qua e là, e quando il mio orologio indica che tra mezz'ora dovrò essere in ospedale, la riporto a casa.
"Grazie per la serata." Mi dice Liz, quando accosto l'auto.
"Grazie a te per avermi perdonato."
"Non stancarti troppo. Buon lavoro."
Mi avvicino e, per la prima volta da quando esco con lei, le do un bacio sulle labbra. Vorrei poter dire che l'ho fatto perché non sono riuscito a resistere al suo sorriso, ma la verità è che l'ho fatto per capire se potesse significare qualcosa per me. E la risposta è che non sento assolutamente niente. Neanche quando Liz ricambia il mio bacio con tenerezza e neanche quando le sue mani mi accarezzano i capelli, una delle cose che amo di più.
Quando le nostre labbra si separano, lei mi rivolge un sorriso felice e dopo un ultimo saluto esce dall'auto, lasciandomi solo a combattere con la triste realtà.
Sono totalmente, terribilmente incapace di provare amore.
Cercando di liberare la mente affinché il mio umore cupo non influenzi il mio lavoro, guido fino in ospedale.
Stanotte la situazione è abbastanza tranquilla e, fatta eccezione per un caso di forte mal di stomaco che si rivela essere una semplice indigestione, il Pronto Soccorso è silenzioso e io e il mio collega riusciamo anche a stenderci per un po', cosa alquanto insolita ma più che ben accetta.
"Sei uscito con la tua ragazza?" Mi chiede Luca, steso sul suo materasso nella camera di guardia.
Ha due anni più di me e questo è il suo ultimo anno di specializzazione, prima che diventi un "vero" medico e non sia più sottoposto ai nostri orari strazianti.
Ha una fidanzata storica che intende sposare a breve e un sacco di progetti per il futuro, cosa che a volte mi suscita un po' di invidia.
Io non vedo nient'altro, a parte il lavoro, nel mio domani. Immagino la mia vita nell'ospedale e quello che resta del tempo lo immagino ad accarezzare un cane o a fare jogging o lo sport del momento. Il lavoro è la mia unica certezza.
"Non è la mia ragazza."
"E' la tua compagna di divertimento?"
Scuoto la testa, quasi ridendo pensando ad Elisa in quei termini. Non riesco proprio a vederla impegnata in una relazione sessuale senza sentimenti.
"E allora perché ci esci?"
Bella domanda. "Dev'esserci per forza una motivazione?"
"Di solito ce n'è sempre una, noi medici lo sappiamo forse meglio di chiunque altro."
"Non tutto funziona come la medicina, nella vita, anche se a volte sarebbe rassicurante. Sai che c'è un problema, ne individui la causa e la risolvi."
"Di quale problema non riesci ad individuare la causa?"
Il risvolto sociale dell'essere uno specializzando è che non hai il tempo materiale per coltivare amicizie stabili e durature al di fuori dell'ospedale, per quanto tu possa impegnarti, perciò alla fine ti trovi a considerare amici i tuoi colleghi, o chiunque condivida con te quell'ambiente caotico in cui passi la maggior parte della tua vita.
"Penso di essere incapace di provare dei sentimenti per qualcuno che vadano al di là della tenerezza, della compassione o di un affetto amichevole."
"Non che i sentimenti che hai citato siano cosa da poco."
"Questo lo so, ma sono utili quando devi passare la tua giornata a salvare vite, non quando cerchi di costruire qualcosa con una persona."
"E tu senti il bisogno di costruire qualcosa con qualcuno?"
Faccio un respiro. "Alle volte no, ma alle volte mi sembra che la medicina non basti a completare del tutto la mia vita, pur riempendone larga parte di soddisfazione e felicità."
"Hai provato ad andare in terapia?"
Aggrotto la fronte. Di solito i medici guardano gli psicologi come una specie di sottocategoria. "Tu credi che sia utile?"
"Siamo medici, non divinità. Non sappiamo fare tutto. E, per quanto conosciamo il corpo umano come le nostre tasche, quello che ci frulla nella testa non è qualcosa che ci hanno insegnato a gestire."
Annuisco. "Dovrei considerare l'idea."
"Pensaci, magari può darti una mano. Nel frattempo, io proporrei di provare a dormire. Le acque sembrano tranquille, stanotte."
"Sì, quoto la tua idea." Dico, sbadigliando a conferma delle mie parole. Luca spegne la luce e in meno di mezzo secondo crolliamo addormentati, nonostante la comodità davvero discutibile di questi materassi.
I vantaggi di essere medici.
                                    **
Dopo un periodo di quiete c'è sempre una tempesta e questa è una cosa che ho imparato più che bene nei miei ventotto anni di vita.
Perciò, quando vengo praticamente buttato giù dal letto da Luca, non faccio una piega e mi limito a sciacquarmi il viso prima di tornare a lavoro. Fino a metà pomeriggio, fine del mio turno, non abbiamo tregua.
A quanto pare un virus dell'apparato digerente ha deciso di insediare la nostra città, perciò per tutta la giornata vedo talmente tanto vomito che, uscito dall'ospedale, non faccio neanche più caso al cattivo odore che sicuramente mi porto addosso.
Ho perso il conto del numero di flebo che abbiamo dovuto inserire. Arrivato a casa, dopo aver accompagnato il mio amico a svuotare la vescica ed essermi fatto perdonare con coccole e grattini sulla pancia per la mia freddezza di ieri, mi infilo sotto una doccia, deciso a rimanerci più tempo possibile.
L'acqua calda scioglie la tensione dei muscoli e pian piano questa giornata comincia ad essere un po' meno orribile.
Mentre mi tampono i capelli con l'asciugamano, recupero il cellulare per controllare i messaggi.
Ne trovo uno da Elisa, risalente a stanotte.
"Non so che cosa abbia significato questo bacio per te, ma volevo farti sapere che per me è stato importante. Buon lavoro."
Mentre lo leggo, mi tornano in mente le parole di Luca e, prima ancora di rendermene conto, sto effettuando una ricerca in Internet sugli studi psicologici in città.
Non so se penso realmente di avere bisogno di una terapia, né se penso che questa possa in qualche modo essermi utile, ma guardando la stanza vuota, fatta eccezione per Ares che dorme sul divano con la pancia piena, mi rendo conto che forse diventerò un medico di successo – sono sempre stato bravo nella mia componente professionale- ma sarò solo.
E se prima non avevo mai pensato che avesse importanza, ora la prospettiva mi getta un peso sullo stomaco.
Perciò, sulla scia di questi pensieri, telefono ad uno degli studi con le recensioni migliori e prenoto un appuntamento.

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