XXXVI

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Abel

Indossai il manto che di abitudine portavo ovunque e mi preparai per uscire. Indossai il cappuccio e sistemai lo stivale. «Abel non farlo, non ne usciresti vivo!»

«Non posso lasciarla da sola, con lei c'è anche Leila, non ti interessa di lei?»

Sospirò, «certo, darei la mia vita per lei, ma lo farei lottando, non a causa dei raggi solari; come pensi di aiutarle se muori prima di arrivare al castello.»

Mi voltai e osservai serio prima lui e poi mio nonno, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Abbassai lo sguardo sulle mie pallide mani e chiusi gli occhi. «Arriverò lì in tempo e sano e salvo, farò qualcosa che non ho mai fatto: mi trasformerò in un demone.»

William sgranò gli occhi, mentre mio nonno scosse la testa con disdegno; non me lo avrebbe mai impedito, non amava intromettersi nelle decisioni altrui, ma era chiaro che non approvava quella mia decisione. «Non puoi farlo! E' pericoloso e lo sai quanto me, non l'hai mai fatto.»

«C'è la farò, fidati di me. Ho sempre e solo mostrato il mio lato vampiresco, negando ciò che sono realmente: un ibrido. I demoni posso esporsi alla luce solare, seppur questa gli crei fastidio, ma sicuramente non morirò. William non lascerò che anche lei muoia, ho già perso troppe persone importanti.»

Chiuse gli occhi per un millesimo di secondo e poi li riaprì, «ti raggiungerò non appena il sole calerà, nel frattempo troverò un modo per eliminare una volta e per tutte quelle creature e cercherò di capire chi li ha mandati.»

Annuii e feci un passo verso il portone, bloccandomi, però, quando qualcuno mi afferrò la spalla. «Mi sto fidando di te, fratello, proteggile e non scomparire anche tu dalla mia vita», aggiunse serio, ma carico di sentimenti interiori.

Non dissi nulla, piuttosto mi precipitai sul tetto del retro del castello, dove il sole non batteva. Non avevo mai permesso ai miei poteri demoniaci di prendere il sopravvento, preferivo essere definito un vampiro, anziché un demone; speravo solo che una volta trasformato, non avrei perso il lume della ragione. Speravo di non far del male a Meredith e di non cedere agli istinti del demone quando si sarebbero risvegliati. Chiusi gli occhi ed iniziai a respirare lentamente. I demoni non era altro che anime cedute al diavolo, metà della mia era ancora incastrata nel corpo e ciò mi permetteva di far fluire qualcosa nelle vene: il sangue. Anima e corpo creavano la vita e fu proprio questa combinazione a far accaldare la mia pelle. Dopo tanto tempo sentii le vene riempirsi e vidi il colorito della mia pelle passare dal pallido ad un intenso rosa.

Stavo rinascendo, peccato non nel senso in cui volevo. Fin da subito avvertii i poteri triplicarsi: potevo udire le voci in lontananza, la vista mi permetteva di vedere anche il più piccolo degli insetti, grazie all'olfatto potetti sentire gli odori della natura e non solo. Le unghie delle mani si allungarono sempre più, fino ad appuntirsi e calcificarsi. La pelle, che dapprima era di un intenso rosa, tramutò in un grigio tendente al nero.

Quando sentii di essere pronto, con un balzo, scesi dal tetto e mi inoltrai nella foresta. La velocità con cui correvo era indescrivibile, mai mi ero sentito così potente e pieno di energia. Al mio passare gli uccelli volavano via dagli alberi e i fili d'erba si spezzavano sotto la mia potenza. Arrivai nella mia dimora in pochissimi secondi, la luce solare non mi aveva danneggiato, ma preferivo di gran lunga l'oscurità.

Vidi le guardie stese a terra e prive di vita. L'odore del sangue si avvertiva ovunque e ciò mi fece venire l'acquolina. Mi passai la lingua sul labbro superiore e assaporai il mio stesso sapore, fu in quel momento che i canini si allungarono e fuoriuscirono dalle labbra. Alzai lo sguardo verso il tetto, dove fiutai sangue fresco. Abbassai il viso, abbozzando un sorriso e saltando su questo. Atterrai agilmente e mi guardai attorno. Un gridolino mi fece voltare verso destra, dove vidi Leila seduta in un angolino e tremolante. Avanzai verso di lei con passo sicuro e felino. Questa si coprì il viso e pianse istericamente. Alzai gli occhi al cielo, quella donna sapeva solo piangere.

Con uno scatto le afferrai il viso e dissi in un ringhio: «dov'è Meredith?!»

Lei sgranò gli occhi e cercò di sottrarsi dalla mia presa. La lasciai solo quando mi accorsi che la sue pelle stava iniziando a bruciare. «Santo Cielo, Abel siete voi?»

«Non amo ripetere le cose: dov'è?»

«Lei...lei è nel castello, non so precisamente dove.»

La lasciai ed entrai nel castello. Un odore nauseante di morte mi disgustò non appena imboccai il corridoio del piano inferiore. Quando aprii la prima porta, vidi tre di quei mostri che stavano mettendo a soqquadro la stanza in cerca di qualcosa, o di qualcuno. Questi si accorsero subito di me, ma anziché aggredirmi ferocemente, si misero in ginocchio e cominciarono ad indietreggiare impaurite; evidentemente avevano avvertito un'aura più potente della loro, ma ciò mi meravigliava: infondo erano anime dannate, proprio come lo ero io, ma avevo qualcosa che loro non possedevano.

Scroccai le dita e, senza nemmeno accorgermene, afferrai la prima arma che mi capitò a tiro e li uccisi. Restai con lo sguardo fisso nel vuoto, fin quando non avvertii una seconda presenza. Mi voltai verso una porta in legno massiccio e mi avvicinai silenziosamente ad essa. Con uno scatto la aprii, facendo urlare dalla paura chi vi era dentro.

Spazio autrice:

Mi scuso se questo capitolo non è proprio il top, ma sto veramente male a causa dell'influenza, nonostante ciò ci proverò a scriverne un secondo.

-Angel.

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