20.

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  «Cassie ma sei sicura di quello che stai per fare?»
«Amore sono esperta in queste cose, lasciami lavorare. Anzi, Nate perché non l'aiuti a fare le valigie?»
«Quali valigie! Basta un trolley piccolo ˗ dissi ˗ e poi, se io parto, Nate, tu dove vai?"
«Da me, ovvio!» rispose la vocina stridula di Cassie.
«Da te?» chiesi, «Così quando torno trovo i vostri cadaveri?»
«Per chi ci hai presi? Per dei bambini?» disse Nate.
«Lungi da me l'idea di darvi degli immaturi» dissi ironicamente e i miei amici scoppiarono a ridere.
«Amo la tua ironia» disse Nate, avvicinandosi a me.
«Ama di meno ciò che la riguarda se non vuoi che Mr-occhi-di-ghiaccio ti stacchi le palle a morsi» disse Cassie ed io cercai di non ridere, ma la faccia di Nate era troppo divertente, sembrava che stesse già immaginando la scena.
«Dài Nate non fare quella faccia!» aggiunse Cassie mentre continuava a picchiettare con le sue dita affusolate sulla tastiera del mio portatile.
«Cassie, Dio mio, non fare casini. Ah... e poi mi spieghi come sai dove alloggia?» chiesi guardandola con aria grave. Solo che lei non mi considerò proprio. Bene.
«Nate, andiamo. Aiutami a fare questa maledetta valigia»
Perché io odiavo fare le valigie. Così come odiavo disfarle. Sempre con l'ansia che ti dimentichi qualcosa, che non porti tutto quello che dovresti portare, che ti ricordi di portare lo spazzolino, ma dimentichi i soldi.
Sbuffai.
Odiavo fare le valigie ma amavo viaggiare.
Ero un controsenso vivente.
Cassie mi diceva sempre di partire con la valigia vuota, così non avrei dovuto preoccuparmi di niente, e di comprare tutto lì. Certo, così poi avrei avuto l'ansia al ritorno, perché sono molte le cose che ho perso in viaggio.
Un Phon per capelli, un carica batterie per cellulari, una gonna, un paio di scarpe... e potrei continuare con almeno altre cinque cose.
Mia nonna me lo diceva sempre. Sei con la testa fra le nuvole!
Ed aveva ragione.
Quando entrammo in camera presi il trolley vicino al comodino e lo posai sul letto, aprendolo.
«Nate, è freddo in Italia?»
«Freddo? Lì si muore dal caldo ora! Portati cose leggere»
«Tipo queste?» dissi dopo aver aperto l'armadio e aver preso una maglia un po' logora.
«Ecco, quella la eviterei se vuoi riconquistarlo» disse avvicinandosi e togliendomi dalle mani la maglia.
«Lascia fare a me, ho capito» e lasciandolo fare, Nate mi aiutò. Anzi mi fece la valigia in tempi da record. Aveva persino scelto l'intimo, e aveva aggiunto che più roba piena di pizzi indossassi più lui avrebbe ceduto, ma ci credevo poco!
A David piacevo... nuda.
Arrossii a quel pensiero.
«Perché sei arrossita?»
«Niente» dissi.
«Ora David si chiama Niente, devo annotarmelo!» disse ridendo e io gli tirai un colpetto sul braccio biascicando un'idiota.
«Ok, finito» disse chiudendola definitivamente.
«Grazie» risposi e mi alzai sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia, ma lui mi afferrò per i fianchi e mi tenne stretta sé, mentre il mio cuore scalpitava di paura.
Non volevo baciarlo di nuovo.
Era sbagliato.
«Emy... mi dispiace. Per tutto»
«Per cosa?»
«Sì, questa situazione si è creata anche per colpa mia»
Mi staccai da un lui e cercai di guardarlo in volto.
«E' che io... sono innamorato di te già da tempo e non ho mai voluto dirtelo. Scusa, volevo fartelo sapere per stare in pace con me stesso, ma credo di aver combinato un casino» disse portandosi una mano tra i capelli.
«Non devi preoccuparti. Se sono in questa situazione la colpa è la mia, perché in parte lo volevo e mi dispiace solo di non poter ricambiare i tuoi sentimenti Nate, ma io...»
«Ma tu ami David»
«Non sono così sicura di amarlo» dissi.
«Sì invece. Stai per prendere un aereo solo per lui»
E quelle parole mi irrigidirono, sbattendomi in faccia la vera realtà dei fatti.
Quella che io avevo sempre negato a lui e soprattutto a me stessa.
«Forse hai ragione»
«Togli il forse» mi disse e mi baciò su una guancia. «Ora andiamo di là e vediamo cosa sta combinando quella pazza» aggiunse e prendendo la valigia da sopra il letto, ci spostammo in salone trovando Cassie che parlava al telefono. Anzi che sbraitava per telefono.
«Le ho detto che mi serve un volo per domani, non per quest'altra settimana!... Senta mi faccia parlare con qualcuno più intelligente, lei mi sembra un incompetente... oh finalmente! Buona sera... senta mi servirebbe un biglietto aereo per domani per Roma, ma se c'è anche per questa notte va benissimo, lo prendo... no per il ritorno lo farò poi... Ah sì... Emiliana O'Connor... nata il 7 agosto del '86... ok la ringrazio!» e chiuse la chiamata.
«Cosa sono queste facce?» ci chiese mentre si sistemava i capelli.
«Perché hai dovuto chiamare?» chiesi.
«Perché hanno un sito di merda e i soldi l'avevano presi dalla carta senza farmi prenotare, così ho dovuto chiamare, ma c'era un incompetente. Fanculo anche a lui»
Nathan rise e le diede una pacca sulla spalla.
«Non ti ha sfiorato l'idea che sia stata tu a non capire come funzionasse il sito?» le chiese facendomi ridere.
«Quanti ti odio Nathan O'Pry! ˗ e lui in tutta risposta le diede un bacio ˗ pensa che devo stare da te!» e questa volta le diede una pacca sul sedere, facendole l'occhiolino.
«Ok, ok... a che ora devo essere in aeroporto?»
«Devi essere là fra quaranta minuti» disse Cassie tranquillamente, mentre io stavo per svenire.
«E così me lo dici?» chiesi, guardando Nate con timore.
«E come dovrei dirtelo?» mi rispose Cassie mentre mi porgeva le chiavi di casa e la mia borsa.
«Andiamo, altrimenti faremo tardi» aggiunse Nathan mentre trascinava il trolley fuori dall'appartamento.
«Cassie mi prometti che ti prenderai cura di Golia?»
La mia amica mi guardò sorridente e prese Golia in braccio.
«Emy, dopo Nathan, farei entrare in casa anche un porcellino» disse e vidi Nathan rifarle il verso.
Così mentre Cassie usciva da casa, io guardavo l'orologio al polso, sperando che non fosse così tardi, ma il tempo, come al solito, mi era nemico.
«Oddio dobbiamo sbrigarci!» urlai in preda all'ansia e tirando Nathan per il maglioncino.
«Capito, capito. Andiamo» disse Cassie e dopo aver chiuso a chiave la porta di casa, iniziammo a scendere le scale di corsa. Nel vero senso della parola!
Quando fummo finalmente in macchina non mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo perché prima di tirarlo dovevo accertarmi di essere in aeroporto.
«Spingi quel cazzo di acceleratore» sbottò Cassie mentre mi porgeva Golia.
«Un momento»
«Nathan non ce l'abbiamo un momento» dissi e dopo quelle parole, Nate riuscì a partire, sgommando anche.
Tanto la macchina era la mia!



Il viaggio in macchina non fu di certo tranquillo, ma nonostante tutto arrivammo in aeroporto in orario grazie alle mille infrazioni che avevamo fatto.
«Dài, dài, dài!» Cassie iniziò a correre dentro l'aeroporto mentre io la seguivo con il trolley al mio seguito.
«Nathan e Golia?» urlai mentre con una mano mi scansavo i capelli dal viso.
Cassie si voltò verso di me e mi gridò di non preoccuparmi, perché erano dietro di noi. Così con un ultimo sforzo arrivammo a prendere il biglietto. E sotto lo sguardo omicida di un'hostess corremmo di nuovo per arrivare al Metal Detector.
Arrivati lì, mi voltai per salutare i miei amici e il mio cane, ma l'uomo della sicurezza mi intimò a sbrigarmi se non volevo rimanere a Londra. Così mandai un bacio a tutti e tre e feci segno loro che li avrei chiamati non appena sarei arrivata in hotel, ma quando feci per andarmene sentii Cassie urlare.
«Dacci dentro con Gandy!»
Inevitabilmente sorrisi e arrossii, come al mio solito, ma sapevo di non potermi girare. E quando tutto fu controllato schizzai verso il Gate d'imbarco che sembrava essere in chiusura.
E il mio cuore si fermò.
No! No! No!
«Aspettate!» urlai, sbracciandomi per richiamare l'attenzione di un'hostess, che si voltò a guardarmi, anzi a fulminarmi e urlò a qualcuno di non chiudere il portellone. Così quando giunsi da lei mostrai biglietto e passaporto.
«Entri» mi ordinò e mi venne voglia di risponderle male, ma lasciai stare. Se ci fosse stata Cassie invece l'avrebbe presa per i capelli.
Come sempre.
Corsi per l'ennesima volta e con il cuore in gola riuscii a salire a bordo e mi andai a sedere nel primo posto libero che trovai.
«Signorina il trolley»
«Oh, sì. Mi scusi» dissi e rialzandomi misi il bagaglio a mano sopra i sedili, chiudendo lo sportello.
Bene.
Dopo le solite raccomandazioni, dopo le solite dimostrazioni, che migliaia di volte sentivi ma che mai avresti messo in pratica, decollammo.


«Si allacci la cintura, signora»
Aprii gli occhi e assonnata l'allacciai e sentii il cuore contrarsi e battere sempre più velocemente, questo perché mi sentivo sempre più vicina a lui... e al suo rifiuto.
Perché avevo una brutta sensazione. Sentivo che mi avrebbe respinta anche se... anche se nell'intervista aveva lasciato intendere tutt'altro.
Grazie ai miei film mentali non avevo sentito l'annuncio del pilota che ci informava di star atterrando.
Chiusi gli occhi e stringendo i braccioli del sedile attesi quello scossone che indicava di aver toccato terra.
Uno... due...
Saltai dal sedile e mi morsi un labbro sentendo poi l'applauso che partì dal resto della gente che era seduta in aereo, mentre io imprecavo e slacciavo la cintura.
Come sempre attesi che fossero quasi tutti scesi per prendere il mio trolley, ma quando mi alzai qualcuno me lo porse sorridendo.
«Questo è tuo, giusto?»
Un uomo sulla trentina mi guardava sorridendo.
«S-sì, grazie» risposi mentre goffamente afferravo il trolley.
«Eri molto di fretta prima» continuò lui mentre raggiungevamo l'uscita principale.
«Eh si» dissi arrossendo e lo sentii sorridere.
«Tranquilla non sei l'unica. Io perso l'aereo e ho dovuto prendere quello dopo» disse e questa volta fui io a sorridere. Almeno c'era qualcuno più ritardatario di me!
«E dimmi, dove se ne va un bellissima donna a quest'ora della notte tutta sola?» chiese mentre raggiungevamo l'interno dell'aeroporto e non potei non notare il sorriso sghembo che assunse.
Ci stava provando?
«In hotel» dissi.
«Tu?» aggiunsi.
«Idem»
Wow, che conversazione! Non che mi interessasse, ma non ero mai stata di così poche parole.
Annuii e continuai a camminare seguendo le altre persone dinanzi a me con la sensazione di essere squadrata da dietro.
«Sono invadente se ti chiedo in che hotel alloggerai?» la sua voce mi fu alle spalle e sobbalzai.
«Molto invadente, direi» dissi posizionandomi sulle scale mobili.
«Comunque io sono Noah» disse porgendomi una mano.
«Emiliana» dissi ricambiando il gesto e bloccandomi non appena ricordai una cosa.
Ricordai quella mattina, quando prima di discutere con David, lo avevo sentito parlare al telefono e chiamare il suo amico Noah. Con questo non volevo insinuare che quello che avevo davanti agli occhi fosse quell'amico, ma di certo aveva tutte le carte in regola per essere un modello.
Toglieva il fiato.
«Sei italiana quindi?»
Lasciai da parte i miei pensieri e riportai l'attenzione su di lui.
«Oh no, io... mia madre era italiana» dissi.
«Ecco spiegato il tuo nome» disse sorridendomi e facendomi segno di proseguire avanti, dato che ci eravamo fermati dinanzi le scale mobili ed intralciavamo il passo agli altri.
Annuii e continuai a camminare, agognando il momento in cui sarei rimasta da sola, senza sentirmi con il fiato sul collo per via di questo tizio.
Dopo tanto camminare finalmente arrivammo all'uscita e mentre mi incamminavo verso un taxi, sentii afferrarmi per un polso ed il sangue mi si gelò nelle vene.
Oh. Dio.
Mi voltai lentamente e tirai un sospiro di sollievo quando vidi che era Noah.
«Scusami, non volevo spaventarti. Volevo chiederti se volevi un passaggio» mi chiese senza lasciarmi andare, «Ho l'autista che mi aspetta lì» aggiunse, indicando poi una BMW nera parcheggiata e con le quattro frecce inserite.
«Io...»
Pensai per un momento, un brevissimo momento, per poi annuire e portare sul suo viso un sorriso.
«Non ti mangio, tranquilla» disse e prese il mio trolley facendomi poi segno di seguirlo.
Quando fummo in macchina Noah salutò il suo autista e questo mi portò a pensare che lui non era un semplice uomo che andava in vacanza a Roma.
«Che lavoro fai?» gli chiesi senza pensare.
«Il modello» mi rispose sorridendo e toccandosi le labbra con l'indice.
«Signori, scusate la mia intrusione. Potrei sapere l'indirizzo della signorina?» chiese l'autista e con gli occhi di Noah fissi su di me, mi sporsi verso il signore alla guida.
«Via del Gianicolo 3» dissi ritornando poi al mio posto.
«Via del Gianicolo 3? E' sicura signorina?» mi chiese l'autista.
«Certo, perché questa domanda?» chiesi.
«Perché anch'io alloggerò lì»
Una cosa che non avrei voluto sapere. Una cosa che mi avrebbe messo i bastoni fra le ruote. Ne ero sicura.

Senza RiservaWhere stories live. Discover now