17.

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«Emy torna a casa, dài»
«Ho bisogno di stare sola»
«Me ne andrò io, però torna a casa... è tardi e non c'è molta gente per strada, ti prego»
«Ho bisogno di stare all'aperto»
«Non vuoi proprio ascoltarmi eh? Bene, allora ascolterai qualcun altro» e riattaccò.
Cosa c'era nella frase ho bisogno di stare sola che non gli fosse chiaro? Continuai a camminare per le vie della città, mentre il freddo cominciava ad infilarsi sotto al maglione facendomi rabbrividire.
Era veramente finita tra me e David?
Che gran casino che avevo combinato!
Mi lasciai andare su una panchina e alzai gli occhi verso il cielo nuvoloso di Londra.
Ok, il mio corpo, la mia mente e i miei sentimenti ne avevano passate tante nell'ultimo periodo, ma questo non mi dava il diritto di trattare David come avevo appena fatto no?
Lui era stato l'unico punto fermo negli ultimi mesi.
Lui mi era stato vicino, anche se non sempre fisicamente. Lui mi aveva corteggiata come raramente avevo visto fare. Lui mi aveva fatta sentire importante, bella... desiderabile.
Lui mi amava.
Cazzo... Non avevo mai dato il giusto peso alle sue parole, né tanto meno ai suoi sentimenti e questo mi rendeva veramente una stronza. Io che avevo pensato solo ai miei di sentimenti, fregandomene di lui e di quello che potesse provare.
Dio che casino!
Come ne sarei uscita?
Una cosa era certa: io volevo tornare con lui. Se aveva bisogno di tempo gliene avrei dato, non volevo forzarlo perché così facendo l'avrei solo allontanato, ma se invece non mi voleva proprio più avrei sofferto.
Tanto.
Il mio cellulare iniziò a vibrare e mi distolse dai miei pensieri.
«Ho detto che a casa non ci torno»
«Smettila di fare la bambina O'Connor»
La sua voce mi immobilizzò e non riuscii più a respirare.
«Il tuo amichetto mi ha chiamato. Era in pensiero, perciò tornate a casa»
Sentii un dolore al centro del petto e mi massaggiai lo sterno, chiudendo gli occhi e cercando di non piangere, perché quella voce era stupenda. Sentirla mi faceva venire la tachicardia, il mio cuore non rispondeva ai comandi e batteva così forte che avevo quasi paura a volte che potessi andare in arresto.
«D-Da-aa-v-i-i-d-d» dissi singhiozzando.
D'un tratto iniziai a piangere e il ricordo di quelle poche volte in cui avevamo fatto l'amore, in cui lui mi aveva accarezzata così dolcemente mi scossero e mi fecero capire quanto avessi sbagliato tutto nell'ultimo mese.
«Ora cos'hai O'Connor?»
Piansi più forte, portandomi una mano sulla bocca. Il suo tono freddo in contrasto con quello nei miei ricordi mi lacerava.
Ho bisogno di te pensai, ma era di sicuro la frase più sbagliata da dirgli in quel momento.
«N-n-n-u-u-ll-a» dissi rabbrividendo.
«Dove sei?»
Sbattei gli occhi pieni di lacrime e mi guardai intorno.
«S-so-tto a-al Lo-lo-ndo-n e-e-ye» dissi e sentii la chiamata chiudersi. Guardai il cellulare e tornai a piangere. Volevo tanto un suo abbraccio. Volevo tanto perdermi in quegli occhi di ghiaccio.
Mi portai le ginocchia al petto e mi dondolai sulla panchina, mordendomi il labbro e maledicendomi per la stupidità e la superficialità con cui avevo trattato David e quello che c'era tra noi.
Piansi ancora un po', tra gli sguardi curiosi dei passanti. Affondai la testa tra le ginocchia e cercai di calmarmi se non volevo essere considerata pazza, ma quello che successe dopo anziché calmarmi mi fece bloccare, irrigidire.
«E' ora di andare a casa»
Alzai lo sguardo verso di lui e mi sentii ancora più debole e fragile.
Annuii e cercai di alzarmi dalla panchina, ma David mi aiutò anche se cercava di toccarmi il meno possibile, cosa che mi fece ancora più male.
«Seguimi» mi disse e lo feci. Lo seguii in silenzio, fino alla sua macchina e quando fummo all'interno dell'abitacolo iniziai a tremare.
Tremavo e battevo i denti.
Senza chiedermi nulla David si tolse il giaccone e me lo porse. «Tu sembri averne più bisogno» e detto questo mise a moto e partì.


Quando smisi di tremare e di piangere focalizzai dove stessimo andando. Quella non era di certo la strada di casa mia...
Mi voltai verso di lui con un'espressione dubbiosa, ma lui mi parlò senza scomporsi dalla guida.
«Starai da me» disse semplicemente ed io annuii, ormai incapace di fare altro.
Ma quella notizia mi scaldò il cuore.
Non mi accorsi che fummo arrivati fin quando lui non mi toccò un braccio.
«Inizia a scendere» disse e mi porse un mazzo di chiavi.
Scesi dalla macchina e lentamente avanzai verso casa, mentre lui parcheggiava l'auto.
Con mano malferma infilai la chiave nella toppa e girai ed attesi che lui mi raggiungesse.
«Avanti, entra» mi disse e mi spinse dentro chiudendosi la porta alle spalle. Mi tolsi il suo giaccone e lo posai all'appendiabiti e attesi che parlasse, che mi dicesse qualcosa perché mi sentivo veramente fuori luogo.
«Vuoi qualcosa?»
Te, pensai, ma dovetti mordermi il labbro per rimanere in silenzio.
Mi passai le mani sulle braccia e mi avvicinai a lui.
«Un tea va bene» gli dissi e lui mi fece segno di andarmi a sedere in sala.
«Arrivo subito» disse ed io annuii.
Entrai nel salone e il mio respiro si bloccò. Su quel divano c'eravamo coccolati, baciati, accarezzati.
Quel divano ci aveva ospitati e accarezzati a sua volta.
Cercando di riprendere fiato mi sedetti, ma mi sentii rigida come un bastone.
«Cassie è preoccupata»
Voltai il viso verso la sua voce e lo vidi con la schiena poggiata al muro mentre le braccia erano legate al petto.
«Dovresti chiamarla» aggiunse, ma io scossi il capo. Quello che dovevo fare era assaporare ogni attimo, minuto passato lì con lui.
Lo sentii ridere e lasciare il salone.
Riportai una mano sul mio petto e massaggiai lo sterno. Era come se uno spillo continuasse ripetutamente a spingere contro il mio cuore.
Quando David ritornò io mi ero tolta le scarpe e mi ero sdraiata, rannicchiandomi contro un cuscino.
«Ecco il tea» mi disse e me lo porse piegandosi verso di me.
Con mia sorpresa mi posò una mano sulla fronte e mi accarezzò il viso, ma quasi subito si staccò e riprese le distanze.
«Vado a farmi una doccia tu... tu fa' quello che vuoi»
Annuii e mettendomi a sedere iniziai a sorseggiare il tea. Sentii la porta della sua camera chiudersi e lo immaginai mentre si spogliava ed entrava nella doccia. Lo immaginai mentre si lavava e si passava poi le salviette sul corpo per asciugarsi.
Già, ma era solo immaginazione.
«Cazzo!»
«David? E' tutto ok?»
Urlai per farmi sentire ma in risposta ottenni solo il silenzio. Forse era il caso che andassi a controllare.
Mettendo da parte il tea mi alzai e raggiunsi la sua camera da letto, aprii lentamente la porta ed entrai chiamandolo.
«Emy... è tutto... ok»
Sì, tutto ok una sega.
Con il cuore a mille imposi ai miei piedi di muoversi, passo dopo passo e raggiunsi la porta del bagno. Abbassai la maniglia ed entrai.
«Ti ho detto che è tutto ok» ringhiò.
E invece nulla era ok.
Il suo collo era ricoperto dal sangue, rosso vivo. Mi portai una mano alla bocca e rimandai già il conato di bile che mi era salito.
«Fammi...fammi vedere» dissi e mi avvicinai a lui che faceva passi indietro.
«Torna di là» disse, invece lo afferrai per un polso.
«Smettila tu ora di fare il bambino» dissi e cercai di concentrarmi su di lui. Sbuffò e si poggiò contro il lavandino del bagno.
«Avanti dottoressa, faccia in fretta. E' solo un taglio»
Gli lasciai il polso e mi accorsi solo in quel momento del suo petto nudo e dei fianchi avvolti in una misera salvietta.
Mi incantai a fissarlo e lui prese il mio mento tra le sue dita.
«O'Connor non credi che il mio viso sia questo?» disse indicandosi il volto, «E non questo?» aggiunse indicando il suo ventre mentre guidava il mio viso su di lui.
Indispettita scansai la sua mano dal mio volto e mi allontanai da lui.
«Medicati da solo» dissi e sarei uscita dal bagno se non lui non avesse ostacolato la porta.
«Ho cambiato idea» disse.
«Spiacente, anche io» e strinsi le mani in due pugni. «E poi non sanguina quasi più, quindi posso andarmene» aggiunsi indicando con un cenno del capo il suo collo.
«No»
«Senti David...» ma mi zitti perché lui intrecciò una mano con la mia.
«O'Connor il dolore è da un'altra parte» e lo fissai negli occhi, incapace di parlare o di replicare.
Chiusi per un secondo gli occhi, giusto il tempo di fare arrivare abbastanza ossigeno al cervello e li riaprii, trovando quelli ipnotici di lui.
Togliendo dall'intreccio le nostre dita afferrò saldamente il dorso della mia mano e se la portò sugli addominali.
«E' qui che ti fa male?» e mi stupii di me stessa.
Stavo anche al suo gioco ora?
Lui scosse la testa e lentamente fece scendere la mano ancora più giù. Il tessuto spugnoso della salvietta era fastidioso se paragonato alla sua pelle, ma dannatamente piacevole per quello che celava.
Guidò la mia mano sul suo inguine e portò il palmo della mia mano sulla sua erezione.
Dio mio era eccitato.
Deglutii e fissai la mia mano su di lui, per poi guardarlo negli occhi.
«Qui» disse ansimando quando mossi lentamente la mano. Lo vidi chiudere gli occhi e appoggiarsi completamente contro il muro.
«E cosa dovrei fare?» gli chiesi facendomi un po' più vicina a lui. Era quasi impossibile il modo in cui stessi al suo gioco in momenti simili.
La sua mano non lasciava la mia, accarezzava la mia mentre io accarezzavo lui.
E senza parlare mi mostrò cosa volesse che la mia mano facesse. La mosse su e giù, lentamente. E ancora, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
«Emy...» mi chiamò e gli accarezzai il volto con la mano libera.
«Sono qui» dissi, cercando di togliergli la salvietta dai fianchi.
«No» mormorò lui, scansando la mia mano.
«O-okay ma tu...»
«Vieni qui» disse e guardandomi mi prese per i fianchi e passò le sue grandi mani su tutta la mia schiena e affondò il viso nel mio collo per poi baciarlo, dolcemente.
Quel "cambio di programma" se così si può chiamare stemperò la mia eccitazione e fece subentrare la tristezza e il ricordo del motivo per cui ero lì.
Mi strinsi a lui e capii che era quello che mi serviva: un abbraccio. Un suo abbraccio.
«Sono geloso» ammise, sussurrandolo alle mie orecchie.
«Scusa» dissi.
Ma sapevo che non bastava chiedergli scusa in quel modo. Lui però prese il mio viso fra le mani e con i pollici tolse quelle due lacrima che stavano rigando le mie guance.
«E' stato un mese particolare per me e non ti ho cercata perché avevo dei problemi da risolvere, non perché non ti volessi» disse baciando le mie labbra, «Ma tu eri nei miei pensieri, sempre Emy»
Perfetto, ora mi sentivo ancora di più una merda.
«Io... scusa. Nathan è...»
«Non mi interessa quello che è per te o quello che era. Se vuoi lui io non ti obbligo a stare con me, sei libera di scegliere chi vuoi nella tua vita»
Sì, e volevo lui. Solo ora me ne rendevo conto per davvero.
«Te...» dissi singhiozzando e stringendomi a lui, «Io... vorrei te»
Lui mi sorrise, mi regalò uno dei suoi più bei sorrisi e posò le labbra sulle mie.
«Mi vuoi anche con tutta questa gelosia?»
Annuii. «La trovo eccitante» dissi e lui scoppiò a ridere.
«La mia Emy» disse «Però dovrai dirmi alcune cose»
«Va bene» dissi e dopo che David mi prese in braccio uscimmo dal bagno, per buttarci sul letto.


«Non lo voglio il cerotto»
«David devi metterlo, non rompere»
«Ma dài è un taglietto!»
«Chissene!» e gli scansai la mano per mettergli il cerotto. «Non sei nemmeno capace di farti la barba» gli dissi prendendolo in giro.
«Non è colpa mia se in casa avevo una donna che mi manda su di giri»
«Chi è questa donna? Le stacco le mani e le cavo gli occhi» dissi ridendo.
La sua stupenda risata riempi la camera da letto e mi afferrò per le braccia, tirandomi su di lui.
«E' una donna arrogante, impudente e dannatamente bella»
Gli diedi un colpetto sul petto per poi mordergli una spalla.
«Davvero mi trovi dannatamente bella?» chiesi.
David baciò il mento e sorrise, anzi ghignò.
«E chi dice che parlavo di te?»
Io sbarrai gli occhi e mi misi a sedere su di lui, a cavalcioni.
«Chi era quella?»
«Questa mattina a pranzo?»
«Sì» e gli puntai le mani sulle spalle.
Lo vidi ghignare e alzarsi per mettersi seduto, facendomi perdere l'equilibro ma afferrando subito per i fianchi.
Allacciai le braccia dietro al collo e lo baciai.
«Allora?»
«Era Lucilla» 

Senza RiservaWhere stories live. Discover now