7.

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  I giorni passavano ma io continuavo a spegnermi, ad appassire...
I giorni passavano, scorrevano, come i granelli di sabbia in una clessidra ed io continuavo a vivere nel mio mutismo, nel mio isolamento.
I giorni passavano ed io sprofondavo nella depressione... in quell'oblio fatto di dolore e vergogna, in quell'oblio fatto di solitudine e rassegnazione.
I giorni passavano e lui continuava ad esserci.


Sei nei miei pensieri.
D.


Spero che mi richiamerai.
D.


Comincio ad avvertire il bisogno di vederti. Di vederti stare bene.
D.


Erano innumerevoli i messaggi che mi aveva mandato. Erano innumerevoli le volte che mi erano arrivati suoi regali o lettere.
Come mi aveva detto Nadia, David voleva costruire una casa e voleva il mio aiuto. Voleva affidare a me il compito di realizzare quella che sarebbe stata la sua casa, aveva scritto: «Voglio che sia tu a progettarla, voglio che sia tu a pensarla perché vorrei avere qualcosa di te».
Mi aveva lasciata senza parole, come sempre. Ogni giorno mi toglieva il respiro e mi faceva sentire sempre più sbagliata. Già, perché lui era sempre così attento, presente e perfetto mentre io... io ero da buttar via e non volevo che uno come lui si facesse vedere con una come... me.
Con una che aveva subito una violenza.
Cassie continuava a dirmi che lui era quello giusto, che era quello a cui avrei dovuto riaprire il mio cuore e anche se anch'io pensavo la stessa cosa continuavo ad allontanarlo.
Mi costava molto ignorarlo, perché c'erano dei giorni in cui la voglia di sentirlo, anche solo parlare, era così forte che mi perdevo a rileggere i suoi messaggi, che avevo imparato a non cestinare più, o a rileggere passi del libro che mi aveva regalato.
Nonostante non ci frequentassimo io sentivo ancora quella sorta di dipendenza che non mi faceva fare quel passo decisivo per troncare qualsiasi contatto.
La mia amica era contenta di ciò, ma non poteva dire lo stesso di me. Nonostante tutto, continuavo a non mangiare, a non vivere, e vedevo i suoi occhi soffrire nel vedermi così, ma io non sentivo più lo stimolo per continuare a vivere. Non che volessi togliermi la vita, ma... non mangiare mi faceva sentire meglio. Continuava a ripetere che se continuavo così di certo David non mi avrebbe più voluta, ma forse non sapeva che così facendo alimentava il mio digiuno.
Lui però continuava ad essere presente, anche dopo un mese.
Persino dopo due.
Una notte mi mandò un messaggio che mi fece tremare. Era così bello e dolce che mi addormentai solo dopo averlo letto chissà quante volte.

Continui a non chiamarmi, a non scrivermi ma io non demordo. Se è del tempo che vuoi te ne concederò quanto ne vuoi, perché non voglio vederti soffrire. Ma vorrei che quel lato combattivo, quello strafottente, arrogante e terribilmente attraente venga fuori e ti dia la forza di reagire. Perché puoi farcela, so che puoi. Ed io ti aspetto.

Ti aspetterò.
Buona notte piccola architetto.
D.

Forse fu quel messaggio a risvegliarmi, a scuotermi.
Forse fu quella sera che qualcosa cambiò e il pensiero di far entrare David nella mia vita si rifece prepotente nella mia mente e nel mio cuore.


Dopo due mesi rinchiusa in casa, dopo due mesi in cui non esisteva altro che il mio lavoro, il mio progetto, anzi i miei progetti, dopo due mesi in cui l'unica persona che avevo visto era Cassie qualcosa stava cambiando. Lo sentivo, ma non capivo cosa.
Il suono del campanello mi destò dal mio lavoro e irritata mi trascinai verso la porta. Ormai Cassie andava e veniva a qualsiasi ora, senza chiedermi se volessi stare sola o meno e di sicuro era lei che veniva per darmi qualche sua news amorosa. Sempre la solita.
«Chi è?» chiesi, troppo pigra per sporgermi e vedere dall'occhiello.
«O'Connor apri»
Un attacco di panico forse era riduttivo per spiegare quello che realmente mi stava attanagliando in quel momento. Aldilà della porta, a pochi centimetri da me, c'era David!
Non potevo non aprirgli, o sì?
«Cosa vuoi?»
«Se sono qui secondo te? Vederti mi sembra ovvio» rispose e tralasciando la mia pigrizia mi alzai sulle punte e tramite l'occhiello lo vidi sorridere.
«Non voglio vedere nessuno» dissi stringendo il pomello della porta tra le mani.
«Emiliana apri» ed il tono serio che usò mi fece rabbrividire, tanto che ubbidii e me lo ritrovai di fronte, più bello che mai.
Quando i suoi occhi mi squadrarono ricordai come fossi conciata. La tuta sporca e i capelli in disordine.
«Scusami» dissi abbassando gli occhi e vergognandomi. La sensazione di vergogna, di smarrimento mi colpì in pieno petto lasciandomi stordita e con le guance così rosse da fare invidia ad un pomodoro.
«Scusa per cosa O'Connor?» chiese.
Capii che stava cercando di non mettermi in imbarazzo, ma non era sufficiente.
«Per il mio aspetto» dissi e con imbarazzo lo invitai ad entrare, sperando che non facesse caso al disordine e alla polvere.
Richiusi la porta e lo seguii mentre si faceva strada da solo nel mio appartamento.
Cosa vide non lo seppi mai, ma gli piacque perché mi disse: «E' strano, molto alla... te» disse sorridendomi.
Cercai di sorridere a mio volta, ma tutto quello di cui fui capace fu una smorfia.
«Posso sedermi?» disse ed io per l'ennesima volta mi diedi della cretina. Non gli avevo neanche chiesto se volesse qualcosa!
Annuii e lo raggiunsi, anche se cercavo di mantenere una certa distanza. Sapevo che non voleva farmi nulla, ma la paura c'era ancora.
«Posso offrirti qualcosa?» chiesi mentre Golia faceva bella mostra di sé ai piedi di David.
«No grazie... ehi cucciolo!» disse e si chinò verso il cane per carezzargli la pancia e sorrisi. Forse il primo vero sorriso in due mesi.
«Sicuri che sia il tuo cane?»
«Sì, perché?»
«Be' è troppo dolce per essere tuo. Insomma sei una specie di iena» mi disse ridendo e io arrossii.
«Oh...» dissi mentre guardavo il mio cane che si lasciava accarezzare.
«Emy non prendertela, era per sdrammatizzare» disse e si tolse il giaccone rivelando il suo fisico scultoreo avvolto da un maglione grigio, grigio come i suoi occhi in quel giorno.
«E' questo quello che hai pensato di me?» chiesi di getto mentre mi sistemavo meglio fra i cuscini del divano.
«Cosa? Che eri una donna impossibile ed acida? No, non l'ho pensato» e si lasciò andare contro il divano anche lui. Ci guardammo per un lungo momento, di preciso non so quanto, quando lui mi fece quella domanda che stavo aspettando già da un po'.
«Come stai?»
Io abbassai lo sguardo e iniziai a giocare con l'orlo della mia felpa. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato e non potevo di certo fuggirgli per sempre, anche perché iniziavo ad essere stufa e cominciavo a sentire la necessità di volerlo nella mia vita.
«Sto bene»
«Sul serio? Quindi se ti dico che ti trovo dimagrita o stanca mi dici che è solo una mia impressione?»
«David...»
«Emy per favore ti sei vista allo specchio? Hai visto i tuoi occhi? Non sono più luminosi» mi disse ed io oltre alla vergogna sentii il senso di colpa.
Dopo due mesi di apatia iniziai di nuovo a provare emozioni. Le lacrime iniziarono a scendere deboli e silenziose, e me ne accorsi solo quando le vidi toccare la felpa e colorarla.
«Emy...» la sua voce mi richiamò ed io alzai lo sguardo scontrandomi con il suo. Lo vidi sgranare gli occhi e cercò di farsi più vicino ma allo stesso tempo io mi feci più piccola verso un angolo del divano, timorosa che potesse avvicinarsi.
«Ok Emy. Facciamo così... tu... tu racconta tutto quello che vuoi. Quello che hai passato, quello che ti ha fatto male. Io sono qui, qui per ascoltarti» disse voltandosi completamente verso di me.
Scossi la testa e mi portai le mani sul viso.
«Ehi... va bene anche solo piangere. Fallo se ti fa stare meglio» ed io lo feci. Mi lasciai andare a quelle lacrime che mi ero negata di versare in quei due mesi.
Mi lasciai andare allo sconforto dinanzi a lui, rassicurata però dalla sua presenza.



«E... sì, avevamo pensato di sposarci. Lui aveva trent'anni io a malapena ventidue e pensavo che lui fosse ciò che di meglio ci fosse per una donna come me. Mi... mi sbagliavo, evidentemente. L'ho lasciato perché lui... lui mi aveva tradita... l'ho trovato nel mio letto con un'altra»
«Sai cosa penso? Che è stata una fortuna trovarlo a letto con un'altra, almeno ora non sei sposata con un malato come lui»
«Sì, però...»
«Sei ancora innamorata di lui?»
Quella domanda mi lasciò senza fiato, ma non tanto per la domanda quanto per il timore che colorava la sua voce.
«Io...» non sapevo cosa rispondere, perché una cosa era sicura: non ero innamorata di Andrew, non più. Però c'era qualcosa che mi teneva legata a lui, anche se non sapevo cosa. Forse il timore di lasciarmi definitivamente tutto alle spalle e iniziare di nuovo una nuova vita.
Vidi il volto di David impassibile, ma i suoi occhi dicevano altro. Bramavano quella risposta, come se da quella dipendesse tutto il nostro rapporto, per quanto di rapporto si potesse parlare.
«No, non sono innamorata. Di questo ne sono sicura» dissi abbassando gli occhi, «Ma c'è qualcosa che mi lega e non capisco cosa» ammisi.
«Sei ancora legata a lui? Dopo quello che ha fatto?»
«Non ho detto questo»
«E cosa intendi?»
«Intendo dire che forse ho paura a lasciarmi tutto alle spalle per creare una nuova vita» ammisi con sguardo duro.
«E perché hai paura?»
«David...» dissi con tono innervosito. Aveva per caso voglia di farmi un interrogatorio?
«Cosa c'è?»
«Perché ti interessa tanto saperlo?»
«Perché mi interessi tu»
Ecco, queste sono quelle situazioni in cui ho sempre voluto sprofondare o fuggire per non guardare l'altra persona negli occhi, soprattutto se questa persona era David.
I suoi occhi erano fissi su di me e aspettavano una qualche reazione da parte mia, reazione che tardava ad arrivare perché la mia mente era ancora in fase di rodaggio e stava soppesando le sue parole.
Che gli interessassi era cosa assodata, ma sentirselo dire era differente.
Lo guardai e l'unica cosa che fui in grado di fare fu di arrossire e coprirmi il viso. Reazione tardiva che però lo fece sorridere e in quel sorriso vidi dolcezza, una dolcezza che Andrew non mi aveva mai mostrato.


«Emy forse è meglio che tu vada a dormire»
«No, ce la faccio»
«Ma se ti si chiudono gli occhi! Fila a letto bimba!» mi disse mentre mi indicava la camera, «Non serve che mi accompagni sino alla porta»
«No, voglio accompagnarti» gli dissi sorreggendomi contro il divano.
«Sei testarda eh?»
«Pensavo lo sapessi» gli dissi sorridendo e di nuovo quel suo sorriso dolce che mi fece abbassare lo sguardo.
«Hai paura che se tu andassi a dormire rimarrei qui con te?» chiese mentre incrociava le braccia al petto.
Che meraviglia...
«David...» dissi con un tono da rimprovero.
«Ok, ok. Buona notte piccola architetto» disse e ero sicura che si sarebbe avvicinato per provare a darmi un bacio, anche solo sulla guancia, ma mi stupì rimanendo vicino al divano mentre si infilava il giaccone.
«Buona notte David e... grazie»
Lui mi accarezzò con lo sguardo e mi sorrise.
«Voglio il tuo sorriso, non il tuo pianto» disse e se ne andò lasciandomi per l'ennesima volta, in quella serata, senza fiato.
Forse avevo bisogno di lui più di quanto volessi sperare.
Forse potevo essere di nuovo felice e David sembrava essere un'iniezione di vita.
E con il pensiero di lui, del suo profumo mi addormentai pensando a dove diavolo fosse stato per tutto questo tempo.



Senza RiservaWhere stories live. Discover now