Scuola [2/4]

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Tre settimane passarono in fretta. Ogni giorno il guaritore, un Dominatore dell'acqua giovane, con gli occhi viola e il naso largo a patata, le regalava un sorriso gentile e le domandava come si sentisse. Si chiamava Kamyar e sembrava davvero interessato a sapere se stava migliorando, se le faceva male quando usava il suo potere per rinsaldare le ossa e per rimarginare le ferite. Fu da lui che apprese di aver dormito quasi tre giorni prima di riprendere conoscenza, e che durante quel periodo lui aveva ricongiunto le ossa fissandole con del ghiaccio.

- Avevi il naso e il labbro spaccato. - le disse mentre si occupava del dolore al braccio, - Anche le costole erano messe male. È stato un miracolo che non abbiano trapassato i polmoni, altrimenti saresti morta. -

Nemeria era rimasta in silenzio fino a quando la visita non era terminata. Aveva trascorso il pomeriggio stesa sul letto a guardarsi il palmo della mano, la cicatrice dura, liscia, lucente, di colore rosso acceso. Le sarebbe rimasta per sempre, le aveva detto Kamyar, anche se lui aveva fatto di tutto per guarirla, la pelle era troppo danneggiata per ricostruirla. Nemeria si era limitata ad annuire e a far cadere il discorso.

Non parlava spesso, non ne aveva voglia. Viveva alla giornata, mantenendo per quanto possibile un basso profilo. Si alzava, mangiava, si faceva un giro della casa e poi passeggiava in giardino o si rintanava in biblioteca. Quest'ultima era stata una concessione di Tyrron, che aveva interpretato il suo silenzio come un indizio di noia.

- Ci sono molti libri illustrati, puoi sfogliarne quanti ne vuoi, basta che li rimetti a posto dopo. - le aveva detto e, subito dopo pranzo, l'aveva condotta nella stanza antistante il suo studio.

Era parecchio grande, con gli scaffali carichi di libri. Non erano impolverati, ma quando Nemeria ne aprì uno, un trattato sulla geografia della Jogaila, le pagine crepitarono, staccandosi le une dalle altre. Bahar restò con lei quando Tyrron se ne andò, ma si appisolò su una sedia con la testa appoggiata sul petto. Successe ogni pomeriggio che andarono lì e, nonostante le chiedesse di svegliarla, Nemeria non lo fece mai.

Nella solitudine della biblioteca, avvolta dal silenzio degli antichi volumi, riusciva a ritrovare se stessa e la pace che la notte le negava. Di giorno le bastava guardare il collare riflesso nello specchio perché la rabbia le montasse dentro, per poi infrangersi contro il senso di colpa e la vergogna per averla scampata ancora una volta.

Nonostante fosse una schiava, Tyrron non la trattava male, anzi, se non fosse stato per il collare, non si sarebbe sentita tale. Ma gli altri dov'erano? L'impossibilità di uscire dalla villa per raccogliere informazioni la tormentava e il dubbio le mangiava il cervello come un tarlo, instillando in lei le fantasie peggiori.

Gli incubi non arrivavano tutte le sere, ma le facevano visita abbastanza spesso da farle temere di addormentarsi. Al risveglio non ricordava cosa avesse sognato; nei suoi occhi non era impressa alcuna immagine, ma il dolore e la paura che insanguinavano le sue notti erano impresse nella pelle, in ogni livido e cicatrice in rilievo. In quei momenti, Nemeria avrebbe tanto voluto avere qualcuno al suo fianco. La consistenza morbida del materasso le ricordava che non era più nel deserto o nelle catacombe, che aveva perso un'altra famiglia. Allora si stringeva tra le braccia e si raggomitolava sotto le coperte come poteva.

Per quanto provasse a rievocare i bei ricordi, la paura strisciava nelle sue memorie e le avvelenava, uccidendo qualsiasi gioia, oscurando ogni luce. E, per quanto Nemeria facesse di tutto per non farle morire, sopraggiungeva sempre quella vocina cattiva che le soffiava all'orecchio "Non c'è più nulla che tu possa fare". Il buio diventava una gabbia soffocante e ogni ombra, anche la più piccola, una minaccia pronta ad attaccarla non appena avesse chiuso di nuovo gli occhi.

 
Il ventiduesimo giorno, Bahar venne a chiamarla prima del solito. Nemeria era già sveglia da un pezzo, non attendeva altro che un motivo per alzarsi.

- Ti ho portato degli abiti puliti. Vestiti in fretta, il padrone ti aspetta per fare colazione. -

Depose la kandys sul letto, era quello il nome della tunica lunga che indossava spesso Tyrron, e le porse gli endromìs. Nemeria prese i sandali e si sedette sul materasso, legando i lacci attorno al polpaccio. Il braccio era quasi del tutto andato a posto, resisteva solo un fastidioso pizzicore quando compiva dei movimenti bruschi. Kamyar aveva insistito perché tenesse la fasciatura ancora per un paio di giorni, anche se Nemeria non ne capiva il motivo: stava bene, a suo modo.

- Vieni. -

Bahar le fece un lieve cenno del capo e le rivolse un sorriso d'incoraggiamento. Era sempre allegra, troppo per i suoi gusti. La sua esuberante gentilezza le ricordava continuamente la Nemeria che era morta nell'arena.

- Qualcosa non va? -

Nemeria sbatté le palpebre e tornò in sé. Le capitava spesso di incantarsi, erano quelli i momenti in cui la paura si rannicchiava e la mente si assopiva.

- Va tutto bene. Ero solo persa nei miei pensieri. -

- L'avevo notato, sembravi un cane che fissa un osso. -

La bambina fece spallucce e si allacciò la cintura poco sotto il seno. Non le stringeva più sulle costole, non come le prime volte che l'aveva indossata. Lo specchio alla parete le rimandò il riflesso delle ginocchia ossute e della pelle tirata sui muscoli delle braccia e sugli zigomi del viso.

- Hai messo su peso, è una buona cosa. Adesso non sembri più un insetto stecco, anche se sei ancora gracilina. - commentò Bahar, - Non dartene pena: il padrone non ha mai lasciato nessuno dei suoi gladiatori a digiuno, non dovrai più patire la fame. -

"Kimiya era ancora più magra."

A colazione venne servito yogurt e tè alla menta con alcuni piccoli spicchi di mela essiccata. Nemeria spalmò un po' di formaggio di capra sul pane, il nan-e barbari, mescolato con qualche goccia di miele. Non aveva molta fame, ma Tyrron non la perdeva mai di vista e lei non aveva la forza mentale per affrontare una discussione con lui.

- Preparati, oggi ti porto alla scuola. - disse l'uomo facendo un lungo tiro dalla pipa e sputando il fumo dall'angolo della bocca.

Nemeria annuì e si pulì le labbra appiccicose.

- Appena finisci, vai in camera a raccogliere le tue cose. Se ti dimenticherai qualcosa, Bahar o qualcun altro te la porterà, ma cerca di prendere tutto. Nei prossimi giorni ho delle faccende da sbrigare. -

- Va bene, non ho molto da portarmi. -

"Per non dire nulla."

Tyrron inarcò un sopracciglio, come se avesse intuito i suoi pensieri. Si umettò le labbra, trattenendo il fumo nella guancia sinistra, e la squadrò attento. Aveva le pupille leggermente dilatate e lucide e l'alone dorato che le circondava si era assottigliato fin quasi a sparire in un sottile contorno. Nemeria non sapeva cosa ci fosse nella pipa, ma intuiva dal rilassamento delle spalle a cosa serviva. Abbassò lo sguardo, focalizzandosi sulle foglioline di menta che galleggiavano nel tè.

- Vai, ti aspetto nell'atrio. –

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