2. fustaccioni calienti e dotati ben accetti.

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Quattro mesi dopo.

Ero in ritardo, benissimo.
Era solo lunedì mattina e già avrei cominciato la giornata con un richiamo. Mi inginocchiai ai piedi del letto e guardai sotto.

Niente, non era nemmeno lì.

«Uraraka!» urlai a fior di pelle. «Hai visto la mia cartellina da lavoro?» dove diavolo era finita?

Spostai la pila di vestiti ammucchiati sulla sedia. Neanche lì. «Uraraka?»

Entrai in cucina trafelato, le chiavi della macchina in mano e la camicia ancora da abbottonare. Uraraka era comodamente seduta sull’isola, intenta a smanettare con il cellulare e la radio a tutto volume su una canzone mai sentita.

«Hai per caso visto la mia cartellina da lavoro?» ripetei boccheggiante. Nessuna risposta. Probabilmente il ragazzo con cui stava parlando era più interessante.

Alzai gli occhi al cielo e spensi la radio, ottenendo finalmente la sua attenzione. Mi guardò con un’espressione interrogativa.

«La cartellina» dissi per l’ennesima volta. «Hai visto la mia cartellina?»

«Potrebbe essere vicino alla televisione.»

«Potrebbe?»

«Senti, sei tu che sei un disordinato cronico. Non guardare me.»

«Sono solo fantasioso, è ciò che mi da da vivere.» Infatti da due mesi lavoravo in un’agenzia pubblicitaria come copywriter e riempire la testa degli europei con spot ingannevoli era il mio pane quotidiano.

Rovistai tra gli scatoloni che non avevo ancora aperto e, finalmente, sotto un mucchio di carte trovai la mia cartellina. «Ti aspetto o vado? Sono già in ritardo..»

«Non sono neanche le otto.» sbuffò.

«Lo sai che quando tu attacchi in agenzia alle nove, io sono già da mezz'ora in ufficio?»

«Ti stimo.»

«Allora io vado.»

Uraraka era già in forma smagliante, la pelle luminosa e come sempre, senza trucco. Io necessitavo di un miracolo per nascondere le occhiaie e di un trapianto di fegato. Era un’ingiustizia.

«Aspetta.» appoggiò i gomiti sul banco e mi puntò il cellulare. «Ho prenotato per Barcellona.»

«Davvero? Quando?» afferrai una brioche e me la misi in bocca.

«La prossima settimana.»

«Che invidia, te ne vai al caldo. Beata te.» Avrei dato qualsiasi cosa per andarmene da lì per qualche giorno. Ero riuscito ad evitare l’innominabile da quando mi aveva lasciato.

Tra diciottomila abitanti ero riuscito a non beccarlo, seguendo attentamente le regole per non incrociare l’ex, che prevedevano:

– non frequentare i suoi stessi posti.
– passare il sabato sera a casa e con una vaschetta di gelato e un film strappalacrime.
– pregare il karma di non fare lo stronzo.

«Andiamo.»

«Mmh?» mugugnai con la bocca piena.

«Andiamo a Barcellona. Noi. Io, te, Tsuyu e Iida.»

Scoppiai a ridere. «Per un attimo ti avevo creduto. Dio, quando hai imparato a mentire così bene? Io ho sempre fatto schifo.» Ma notando la sua espressione seria, il sorriso mi si smorzò. «Non dirai sul serio?»

«Ci divertiremo un sacco. Berremo tanta sangria e conosceremo un sacco di bei fusti spagnoli. Abbronzati, fisicati e perché no, anche dotati. Devi uscire da questo santuario di clausura.»

out of my limits ✗ katsudekuWhere stories live. Discover now