Prologo

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A New York splendeva il sole. Ironico, no? Perché quel giorno era stato tutto tranne che luminoso per il sommo stregone di Brooklyn. Anzi, Magnus Bane dubitava che ce ne fossero mai stati di così bui nella sua lunga vita.
Tranne forse il giorno prima.

In realtà sembrava andare tutto bene. La mattina si era svegliato tardi, come sempre. Aveva lasciato il letto e si era diretto in cucina per preparare la colazione. Ad accoglierlo c'era stato un forte aroma di caffè, che gli aveva fatto capire che Alec era uscito da poco. E infatti, sul tavolo, aveva trovato un post-it  con su scritto un veloce messaggio nella disordinata calligrafia del Nephilim.
"Mi hanno chiamato dall'Istituto, c'è stato un avvistamento di demoni in centro. Non aspettarmi per pranzo, ci vediamo a cena."
Proprio sotto la parola cena era stato disegnato un cuore un po' deforme che lo aveva fatto sorridere.

Non si era preoccupato. Era normale routine per uno shadowhunter, era il suo lavoro. Chissà, forse, se si fosse preoccupato... ma no, come avrebbe potuto sospettarlo?
Ma Magnus continuava a sentirsi in colpa, anche se non sapeva esattamente perché.

Isabelle lo aveva chiamato in lacrime nel pomeriggio. Stava facendo la spesa (da quando Alec viveva con lui aveva smesso di far apparire il cibo già pronto nel piatto e aveva iniziato a cucinare) e il telefono rischiò di cadergli di mano. Era uno scherzo, vero? Doveva trattarsi di uno scherzo. Non poteva essere altrimenti.
Ma Isabelle continuava a piangere. La farsa era già durato abbastanza, no? Poteva smettere di piangere. Perché, se continuava, lui... lui ci avrebbe creduto. Avrebbe creduto che si trattasse della verità. E non l'avrebbe sopportata.

Ed è così che Magnus Bane, sommo di stregone di Brooklyn, con ottocento anni di vita alle spalle, cadde sulle ginocchia nel bel mezzo del reparto surgelati di un misero supermercato di New York.
Non rimase a terra molto. Scansò la mano di una ragazza che gli stava chiedendo se stesse bene (come poteva stare bene?!) e corse fuori dal negozio. Si precipitò in un vicolo e aprì un portale verso l'Istituto.

Le mani gli tremavano quando entrò in infermeria. Isabelle e Jace erano lì con Simon e Clary, seduti vicini a... a un letto. Su cui era sdraiata una persona. Coperta da un lenzuolo bianco come la neve. Bianco come la morte.

Magnus non ce la fece. Crollò a terra. Era arrivato troppo tardi. Troppo tardi. Se solo, se solo... tutti i "se solo" del mondo passarono nella sua mente in un istante. Sapeva che Alec sarebbe... sarebbe morto prima di lui. Lo sapeva. Ma pensava di avere ancora anni, decine di anni, con lui prima che succedesse. Invece... non aveva neanche trent'anni!
No, la vita non era giusta. La vita era tutto tranne che giusta. Ti regalava false speranze, e poi ti pugnalava alle spalle.

Il giorno dopo a New York splendeva il sole. E Magnus Bane avrebbe solo voluto farlo sparire con uno schiocco di dita. Alec era stato cremato e portato nella città di ossa, dove avrebbe riposato per l'eternità.
E Magnus... Magnus era rimasto solo nel suo loft a Brooklyn, con quel post-it che non trovava la forza di buttare. Lo aveva riletto decine di volte ormai, stringendolo tra le dita al punto da stropicciarlo sui bordi. Improvvisamente si era alzato in piedi e lo aveva accartocciato, per poi scaraventarlo lontano. Se solo...!

Se solo... Non lo sapeva neanche lui, voleva solo Alec di nuovo con lui, a guardarlo con i suoi occhi azzurri come il cielo.
Si sedette di nuovo sul divano, la testa tra le mani. Le lacrime iniziarono a scendere lungo le sue guance, incessantemente, una dopo l'altra.
Se solo...

Il campanello suonò, il suo trillo allegro a rompere il silenzio della tristezza dello stregone. Non avrebbe risposto, non quel giorno. Niente clienti. Niente lavoro. Solo lui e il suo dolore.
Ma il campanello continuava a suonare, e ormai il suo trillare sembrava un grido implorante. Magnus ebbe pietà di lui.

Si alzò e rispose al citofono. Era Isabelle, il trucco colato e i capelli disordinati sulle spalle. Le aprì e la fece salire. In mano aveva una lettera.

-Magnus... io... Alec mi aveva detto di dartela. Nel caso in cui, in cui... non ci fosse stato più.-una grossa lacrima scese lungo la sua guancia destra, sbavando ulteriormente il trucco -Io... non so cosa sia.

Non gli lasciò il tempo di rispondere. Lo abbracciò forte, bagnandogli la spalla con le sue lacrime, e uscì dal loft, sbattendosi la porta alle spalle.

Lo stregone rimase di nuovo solo, con una lettera su cui era scritto, in una grafia disordinata che conosceva fin troppo bene, "Per Magnus".

"Dear Magnus..." |Malec|Where stories live. Discover now