Those deep blue eyes

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Dall'alto del cielo azzurro limpido, il collo chiaro e rosato di Ennis si mimetizzava perfettamente col paesaggio circostante. I piccoli sassolini della sponda del fiume erano dello stesso colore della sua carnagione e pareva quasi che il ragazzo si fosse appena levato via uno strato della sua pelle, per far spuntare fuori quella nuova e genuina. Quello strato pulito, immacolato e privo di peccato che ancora nessun taglio, infertogli dal padre o addirittura da se stesso, aveva macchiato indelebilmente. Lui adorava passare i pomeriggi davanti al fiume in piena, a sperare che qualche stilla d'acqua gli arrivasse addosso. Le gocce che lo colpivano inaspettatamente erano per lui come un modo di ripulirsi: lavarsi via le parolacce di suo padre, togliersi dalla mente quei piccoli e insidiosi pensieri che ogni tanto saltavano fuori nei momenti meno opportuni. Osservava in piedi sullo sperone roccioso il corso d'acqua che scavava profondi tunnel tutti attorno alle montagne e si domandava che fine avrebbero fatto quelle immense fenditure. Non aveva mai avuto, al contrario di suo fratello, il coraggio di buttarsi per seguire le acque della corrente e solo all'ultimo nuotare fino a farsi esplodere i polmoni, tornando a riva sani e salvi. Ennis è il meno coraggioso, Ennis è il meno in tutto! E lo è perfino nei confronti delle femmine. Guardate quella sgualdrina di sua sorella: ha molto più coraggio lei di quanto non ne abbia il nostro Ennis. Era abbastanza comune che il padre borbottasse, acidamente e furibondo, cattiverie simili ogni volta che il ragazzo tornava a casa con un ginocchio sbucciato dopo una piccola rissa tra i giovani del paese. La madre non lo difendeva, pesta dalla sera prima, e attendeva silenziosamente che la furia del marito si placasse, molto spesso lanciando bottiglie vuote addosso ai muri della casa oppure contro i figli o addirittura la figlia. E starsene fermo su quello sperone roccioso, dove l'acqua tormentosa ribolliva sotto di lui, lo faceva sentire potente. Solo in quei momenti aveva pieno potere su di sé: un passo avanti e la morte l'avrebbe colto a braccia aperte oppure uno indietro e la vita si sarebbe presa gioco di lui ancora una volta. Le gocce cristalline del fiume si riflettevano nei suoi occhi nocciola e i due colori si sposavano alla perfezione, con nessuna sbavatura a rendere sgradevole la fusione dei due colori. Ma fu proprio in quello strano pomeriggio di inizio primavera che il giovane si rese conto di quanto fosse infastidito dalle gocce che lo colpivano. Forse per la prima volta non voleva perdere quella sua pelle bianca lattea e quel profumo di fanciullo che è tipica di un ragazzo di appena sedici anni. L'acqua, almeno per quel giorno, non avrebbe dovuto toccarlo! Nonostante ciò l'azzurro era l'unico colore che riuscisse a tranquilizzarlo, che riuscisse a farlo sentire forte e allo stesso tempo al sicuro. Non aveva mai provato queste emozioni così piacevoli con niente e con nessuno fino a...fino al cervo! Quell'enorme bestia che cadeva a terra urlante a causa del proiettile finito diritto al cuore lo aveva segnato profondamente. Un ricordo indelebile ma, se si vuole, anche uno dei pochi ricordi chiari e sinceri dell'infanzia. L'animale si lamentó per pochi ma strazianti secondi, dopo di che spalancò gli occhi per non chiuderli mai più. Assieme al padre si era avvicinato alla carcassa e per lunghi minuti restarono in silenzio, quasi a contemplare e rimpiangere il gesto compiuto. L'immenso cervo aveva una sfumatura azzurra nell'occhio che riuscì a scorgere, tonalità assai rara in questi animali. Ennis osservò minuziosamente la creatura ai suoi piedi e si stupì di come un ragazzetto, con un fucile in mano, fosse capace di uccidere una bestia simile. Si domandò il motivo del suo gesto e lo stava perfino per chiedere al padre quando questi gli urlò ridendo sgraziatamente: Sei un grande! L'hai centrato!
In effetti quelle furono le uniche parole gentili che uscirono mai da quella boccaccia maleodorante di alcol. Non osò aggiungere nulla per non rovinare il momento, ma quando si avvicinò a legare le zampe dell'animale cercando un modo per trascinarlo con loro per poterne conservare la carne, il genitore lo bloccò violentemente e sputó di lato. Non servirono parole. L'uomo aveva passato quel tempo a godere e ridere sotto i baffi, soddisfatto di se stesso per l'omicidio fatto commettere al figlio. Perché è così che lo vide Ennis: un omicidio. In fondo il povero cervo era morto senza motivo e per di più senza fungere da cibo per nessuno. Sicuramente gli altri animali della foresta lo avrebbero divorato, ma non lo tranquillizzó affatto questo pensiero. E l'azzurro dell'occhio del cervo rimase lì, impresso nella sua memoria ad attendere il momento opportuno per tornare a galla. Quel momento tanto confuso aveva un nome: Jack Twist. I suoi occhi così grandi, così da cerbiatto! E li aveva di quel color cielo proprio come la sua prima vittima. Come era rimasto sconvolto dal quel suo primo sguardo e come si era emozionato nel ricordarsi gli anni di gioventù. E quanta paura l'aveva travolto nel rendersi conto non solo che provava attrazione verso un uomo, ma che questi poteva benissimo essere la sua seconda vittima innocente. D'altronde lui era stato capace di uccidere senza motivo e in quella montagna desolata, al freddo e soli, bastava un niente a perdere la ragione. Così se n'era stato più muto che poteva, incostante e burbero come il padre. Silenzioso come un serpente ma, a sua insaputa, affascinante come un'aquila che spicca il volo. La preda aveva catturato il predatore senza darlo a vedere. Forse neppure la preda era a conoscenza del suo potere sul cacciatore. Chi era la preda e chi il predatore Ennis lo doveva ancora capire. Ma quando, in quel pomeriggio a Brockeback, aveva dovuto abbattere un cervo per necessità e si era sentito dire le stesse parole pronunciate anni prima dal padre, Ennis si era sentito morire dentro. Perché aveva capito. Aveva capito che con quelle stesse parole Jack, inconsciamente, aveva messo la parola fine al suo passato e che, con quel suo tocco scherzoso e il suo tono canzonatorio, il moro lo aveva catturato irrimediabilmente. Ormai, lentamente, si sarebbe legato a lui indissolubilmente.
Si erano avvicinati all'animale abbattuto: nessuna sfumatura azzurra c'era nei suoi occhi, ma di certo la stessa paura e incredulità erano presenti. Com'era accaduto la prima volta, anche in questa ci fu un lungo silenzio. Jack abbassò lo sguardo stando inginocchiato di fronte al cervo, posò una mano sulla sua fronte e allargò le dita per poi eseguire il gesto che andava a chiudere le palpebre del morto.
- È una cosa buona che mi ha insegnato mio padre - disse solo. Annuii provando ad immaginare un piccolo Jack che spara e poi chiude gli occhi ad un animale.
- Maledetta montagna e maledetto cervo - borbotto, piegando la lettera malamente e infilandomela nella tasca laterale del solito giubbotto.
- Come, scusa? - chiede Liz non avendo intuito il significato delle mie ultime parole.
- È meglio se torniamo da Josh, la pioggia aumenta e ho alcune cose da chiarire! - grido sopra lo scroscio delle gocce. In realtà sono in preda alla confusione, ma ringraziando il cielo, la pioggia nasconde e mimetizza il mio stato quasi catatonico. Una lettera che non ho mai scritto e nemmeno mai pensato è stata spedita a Jack a mia insaputa, ma da chi? Chi potrebbe aver fatto una cosa simile? Queste domande e mille altre ancora mi impediscono quasi di muovermi e avanzare verso la collinetta dove abbiamo lasciato Josh con i cavalli. Cammino, un piede affonda nel fango e per poco non inciampo, ma questo non mi smuove nemmeno. Proseguo.
- Ennis! Non stai bene - si precipita la bionda e mi afferra per un braccio, come se una come lei potesse essere capace di reggere un uomo della mia stazza. A fatica e inciampando ogni due passi, raggiungiamo il luogo dove avevamo lasciato Josh con i cavalli.
- Dov'è? - il tono della bionda è esasperato. Per poco non scoppio a ridere per la situazione, mentre sento montare in me una tale rabbia e un dolore allucinante che mi levano persino il fiato. Intravedo un cavallo, il morello, legato ad un albero e le faccio cenno di seguirmi. Vorrei correre, ma non riesco. Quando dopo pochi minuti raggiungiamo l'animale, in fretta infilo il piede nella staffa e mi spingo per salire. Tutto come se fossi ubriaco, come se non avessi il pieno controllo delle mie azioni e difatti cado a terra non appena l'animale accenna ad avanzare di un passo.
- Sempre duri voi uomini, ma quando si tratta di cuore diventate peggio di noi donne! - sbraita esasperata Liz. Senza darsi per vinta, cerca di aiutarmi a rimettermi in piedi. Sia io che lei siamo sporchi di fango, terra e foglie inzuppate ma non m'importa e a quanto pare neanche a lei. Ritentiamo la salita sul cavallo che riesce con successo, ma l'animale, non appena si rende conto che deve portare due persone anziché una, cerca di dibattersi scalciando e sgroppando. Con mano ferma e schiena morbida ma sicura, stringo le gambe attorno al torace dell'animale per trasmettergli sicurezza e poi finalmente partiamo ad un trotto sostenuto. Le gocce e il vento freddo rendono il ritorno a casa veramente faticoso e duro, persino per il morello che durante la galoppata sul terreno diritto ansima e sbuffa. Nuvolette di calore escono dalle nostre narici. A guidare l'animale sono io ma, come la respirazione, è tutto a livello automatico.
- Ormai ci siamo quasi, rallenta - mi consiglia Liz. Il morello passeggia con passo svelto e in breve siamo sotto la veranda del motel.
- Sistema il cavallo, io entro e cerco Josh - dico quasi come se glielo stessi ordinando, ma è del tutto involontario.
- Ennis, ma io...! -
Non l'ascolto nemmeno, lascio che le sue parole muoiano dietro le mie spalle. Poi entro dentro e il leggero tepore della stanza mi intontisce ancora di più. Non so cosa fare. L'unica cosa che mi frulla in testa sono le parole di quella lettera, la mia lettera. Una lettera scritta di certo non dalla mia mano, eppure che ha sconvolto Jack! Come può lui, che tanto mi conosce, non aver capito che non ero io a scrivere quelle frasi? Quelle parole sono dure più della roccia, pesanti come un macigno e amare come non mai. Non potrei dirgli quelle cose. Forse un tempo sì, quando ancora la voglia di essere considerato "uomo" mi attanagliava; ora però le cose sono cambiate. Io sono cambiato. Penso a questo, ma non so come agire. Mi gira fortemente la testa e il desiderio di averlo accanto che mi sorride è così forte da offuscarmi la vista. Salgo le scale che portano alla mia stanza con l'intenzione di buttarmi a letto, ma mi ferma qualcosa: quella maledetta foto che odio e amo allo stesso tempo. La guardo, la scruto intensamente come se volessi trovarci qualcosa di sbagliato. Ma non c'è niente. Solo l'uomo e il toro. Ricordo quante volte ci sono passato davanti pensando a Jack e maledicendolo. Ora ci passo davanti e maledico me per tutti i miei errori, per i duri atteggiamenti tenuti con lui e per la mia codardia. Questa ironia mi fa ridere.
- Alla fine mi ha domato quello stronzo - bisbiglio a qualcuno che non è presente. Scoppio in una risata sguaiata e dolorosa. Risate miste a singhiozzi, sorrisi misti a lacrime amare. Amare come le parole di quella lettera. Senza reggermi un secondo di più mi accascio a terra. Sento un dolore al cuore. Forse sono le fitte della consapevolezza di averlo perso per sempre. Rimango lì in posizione fetale per chissà quanto tempo. Non m'importa. Piango disperatamente e piango anche le lacrime trattenute per anni. Non solo quelle per Jack, ma per tutto. Ho sempre avuto un casino dentro e ho sempre tenuto quel casino stretto tra le mie braccia, dietro quelle mura che con fatica avevo costruito. Poi arriva lui, con quei suoi occhi blu, e senza chiedermi il permesso cerca di mettere ordine facendo cadere in mille pezzi le mura. Un caos simile non sarei stato capace di portarmelo dentro ancora per molto, ma non mi aspettavo che arrivasse un uomo a salvarmi. O meglio, ad aiutarmi. Perché ormai l'ho capito: ognuno si salva da solo. Gli altri allora che ci stanno a fare? A crearti ancora più confusione? Forse sì, ma è con i sorrisi e le parole dolci di qualcuno che riesci a salvarti. Gli altri sono un aiuto. Nessuno può farcela da solo. Neppure io che tanto volevo comportarmi da duro. Tipiche parole di mio padre. La vita mi scorre davanti come un film. Vedo lei, Alma. Vedo le mie bimbe che ormai non hanno quasi più un padre. Vedo tutto, ma ciò che non riesco a scorgere è Jack. Eppure è una parte importante della mia vita. Poi scorgo qualcosa. Lì, lontano eppure così nitido: le sue spalle forti da mandriano, la sua schiena muscolosa di chi fa rodei e le sue gambe possenti di chi cavalca ogni giorno per ore. Allungo un braccio. Vorrei chiamarlo, ma torna alla mente l'incubo di quella notte: Jack con Alma. Le sue parole mi rimbombano in testa. Faccio schifo? Non valgo niente? Non so più nulla! Jack mi ha abbandonato...anche lui. Lui che era il mio aiuto più grande, lui che era la mia unica possibilità di salvezza. È brutto quando qualcuno ti abbandona. Ti senti spazzatura, forse persino meno di quella robaccia da buttare via.
- Jack...a volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela - sussurro a denti stretti. Mi sembra quasi che dal dolore gli occhi mi escano fuori dalle orbite.
- Ennis! Cos'hai detto? - sento urlare qualcuno, ma non mi interessa accertarmi chi sia. Poi un'ombra mi copre la vista e sento di nuovo quella voce.
- Ennis, ripetilo! Cos'hai detto? -
- Jack...mi manchi così tanto, non ce la posso fare - dico.
- Ennis! Torna qui, torna da lui! - quella voce urla forte. Sto per crollare. Svengo per qualche minuto e in questi minuti recupero tutto.
A svegliarmi è lo schiaffo di una mano minuta.
- Oddio, scusami! - Liz si porta le mani alla bocca e non appena apro gli occhi e metto a fuoco, vedo la sua disperazione.
- Ero così preoccupata! Mi farete morire voi due! - scoppia in una risata bagnata. Poi si appoggia con la testa sul mio petto. Ascolta il mio cuore. Restiamo fermi per pochi istanti, poi parlo:
- Cos'hai detto? - domando, come se lei sapesse benissimo a cosa mi stessi riferendo.
- Torna da lui. Ora che sei tornato qui, torna da lui - mi supplica Liz con la testa ancora su di me. Nel modo più delicato che conosco, la scanso e mi tornano in mente i momenti precedenti la mia crisi. La lettera non mia, la lettera sua e Josh. Riordino le idee e mentre siamo ancora seduti per terra, sotto il quadro del cowboy sul toro, cerco di parlare senza sembrare un pazzo totale.
- Liz io...io non ho mai scritto quella lettera - rivelo finalmente. So che lei non mi crederà mai, ma non ho modo di dimostarle la verità. I suoi occhi diventano due fanali e poi posa lo sguardo a terra.
- Stai scherzando? - chiede lei sconvolta.
- No, Liz. Ti prego devi credermi! - mi avvicino e le afferro le spalle per costringerla a guardarmi.
- Io...non so perché, ma in qualche modo sento che non mi stai mentendo - balbetta incredula.
- Perché dovrei farlo? A che pro? -
- Ennis, io non ci capisco più nulla. Non so chi abbia scritto quella benedetta lettera, ma una cosa la so con sicurezza: voi due vi amate. Vi amate in un modo che sconvolge persino un'estranea come me. Non riuscivo a credere alle mie orecchie quando, poco fa, ti ho sentito pronunciare quella frase. -
- Perchè? - chiedo.
- Jack...Jack l'ha detta, l'ha detta anche lui: "a volte mi manca così tanto che ho paura di non farcela". Lui l'ha pronunciata proprio come te, col tuo stesso dolore. -
Abbasso lo sguardo a terra e mollo la presa dalle sue spalle. Il battito del mio cuore accelera, il sangue viene pompato prepotentemente in ogni fibra del corpo e a stento controllo la miriade di emozioni che mi assalgono. Sbatto velocemente le palpebre, cacciando via le residue lacrime che lasciano posto a un sorriso stupito. La ragazza conferma quanto detto con occhi brillanti e un sorriso luminoso.
- Ma allora...allora chi...- vorrei chiarire, però Liz interrompe la mia domanda.
- Non so chi abbia scritto la tua lettera, ma forse una vaga idea ce l'ho - rivela la donna, quasi con fare accusatorio.
- No! Liz, non hai capito! Anch'io ho ricevuto una lettera! -
- Che cosa? - urla stupita. Senza che nessuno aggiunga altro poso la mano sul mio petto, proprio vicino al cuore e scosto la giacca per tirare fuori quella dannata lettera che mi aveva mandato in crisi. Odio quel pezzo di carta, ma è l'ultima cosa che mi resta di lui e non riesco a tenerla lontana da me. Lontana dal mio cuore. Gliela porgo e lei comincia a leggerla a voce alta.

"Ennis, perdonami per ciò che è successo l'ultima volta. Ho reagito male e, siamo sinceri, non è che tu mi abbia aiutato molto con i tuoi sbalzi d'umore, ma sono dispiaciuto davvero. Per questo ti scrivo questa lettera: voglio voltare pagina. Voglio ricominciare da capo, voglio avere una vita tranquilla con qualcuno al mio fianco e quel qualcuno non sei più tu. Mi dispiace Ennis, ci ho provato, ma tra di noi , mi sembra chiaro, non può funzionare. Spero tu stia bene, spero che riuscirai a capire ciò che desideri veramente e ad avere il coraggio di prenderlo senza vergognarti di nulla, perché non c'è nulla da vergognarsi. È la vergogna che ci separa per sempre. Addio. Jack"

- Io non so cosa pensare - dichiaro. Liz mi porge la lettera. Quasi senza neanche pensarci tiro fuori quella "mia" dalla tasca laterale e la piego dentro quella di Jack. Ancora una volta vicini, sebbene sotto forma di carta.
- Josh ha detto che, secondo lui, potrebbe...- ma non faccio in tempo a finire di parlare che Liz, all'improvviso, afferra forte il mio braccio e mi guarda cupa negli occhi.
- A proposito di Josh...-
- Cosa? Liz dimmi subito che gli è successo? - dico quasi urlando.
- Nulla! Non gli è capitato nulla, ma presto sì! -
- Che intendi dire? -
- Che non appena lo trovo lo uccido con le mie mano, non so come, ma lo farò. Giuro! - afferma seria. La sua espressione è dura, una Liz mai vista prima d'ora.
- Perché dici così? Lui è l'unica persona che mi è stata vicino in questi mesi e...-
- Cosa? Mi vuoi dire che non l'hai ancora capito? - chiede quasi inorridita.
- Cosa? -
- È stato lui! È stato lui a scrivere le vostre lettere, ma non ne conosco ancora il motivo. -
Stanno succedendo tante cose, troppe, tutte velocemente. Ma il mio cervello si sofferma in un particolare che stranamente non ha a che vedere con Jack. Non appena lo trovo. Queste sono state le parole di Liz.
- Biondina, dov'è Josh? - chiedo preoccupato e intimorito dalla possibile risposta. Liz non ha il coraggio di rispondere immediatamente. Si alza e la seguo, sicuro che mi porterà da lui. Apre la porta del motel: la pioggia continua a scendere senza sosta e le nuvole grigie ne promettono ancora. Mi volta le spalle, ma riesco ad immaginare la sua espressione quando pronuncia quelle parole:
- È scomparso. -

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