Dear Wyoming

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Snyder, Texas
1975.

Non c'è mai stato un luogo che abbia amato più del Wyoming. Un uomo come me non può non amare la terra che lo ha visto crescere e che, molto probabilmente, lo terrà al caldo una volta chiusi gli occhi per sempre. Un cowboy deve amare la sua terra: è una legge non scritta che però tutti i mandriani rispettano. Non importa quanto ti sia ostile, non importa se ti farà morir di fame: il Wyoming è La Casa. Sono cresciuto in un piccolo podere, con mia madre e mio padre. Figlio unico, unico maschio...inutile dire che tutte le aspettative erano riposte su di me. Mio padre non era molto diverso dallo stereotipo del cowboy: un uomo tutto d'un pezzo, che tratta la moglie con poco riguardo e il figlio come un servo. Era rozzo, molto spesso volgare e amava ricorrere alle mani anche per questioni futili, soprattutto con me. Portava sempre camicie a tinta unita, infilate sotto cinture di cuoio che trattenevano jeans malandati. La barba spesso era lasciata incolta, i capelli quasi sempre spettinati e un cappello da cowboy di colore nero completava il suo abbigliamento. Molte donne svenivano per lui e mia madre, per molti anni, si ritenne fortunata che avesse scelto lei. Col passare del tempo però cambiò idea. Fu fiero nel ricevere da sua moglie la notizia che, la donna che aveva sposato da neanche un anno, portava in grembo il suo primogenito. Dopo nove mesi nacqui io: Jack Twist. Per il nome non fu difficile la scelta, dato che mio padre aveva già intenzione di dare al suo primo figlio il nome di suo padre. Così avrei dovuto fare anch'io quando fosse arrivato il momento. Per il cognome...beh, mi pare ovvio no? Presi il suo. Passai i primi anni della mia vita chiuso tra le mura di casa, in attesa che lui mi ritenesse pronto a lavorare. Non dovetti aspettare molto perché a sei anni mi regalò il mio primo cavallo: da quel giorno la mia vita da mandriano del Wyoming era iniziata e mi avrebbe accompagnato fino alla morte. A sette anni sapevo cavalcare alla perfezione e a otto mio padre cominciò a spedirmi a lavorare in varie fattorie e allevamenti per "farmi le ossa", come amava dire. Mia madre la vidi di rado, se non per qualche giorno durante le pause o i periodi in seguito ad un licenziamento. La mia vita fu così per dieci anni. Bestiame, cavalli, risse, whisky e rodei. Questi ultimi però furono rari, dato che quel taccagno di mio padre non mi svelò mai i suoi trucchetti per restare il più possibile sulla schiena di un toro. E io di certo non mi sono mai inginocchiato a pregarlo di aiutarmi, no! Questo non è da me. Sebbene lui non mi abbia mai ritenuto il figlio che desiderava, io mi sono sempre considerato un vero uomo. Forse anche migliore di mio padre. Certamente più gentile e meno volgare, ma a quanto pare nel Wyoming queste doti non sono ben apprezzate, anzi. Da bambino mi ero promesso che non avrei mai amato nessun'altra terra come il Wyoming (chissà perché l'avevo fatto, non ricordo neanche più). Da piccolo, ovviamente, non potevo sapere che una promessa simile non sarei riuscito a mantenerla per sempre. Mi ritengo bravo in ogni caso perché la onorai per parecchi anni. Fino all'estate del 1963. Quella fu l'estate che mi cambiò la vita e io, prontamente, lasciai che questa cambiasse. Ero stufo della solita routine e la nuova vita che mi si proponeva non solo era attraente e appagante, ma anche fuori dagli schemi e dalle convenzioni. E così, poco a poco, cominciai a venire meno alla mia promessa. Lì per lì non diedi peso a ciò che stava accadendo, ma non mi ci volle molto per capire che invece avrei dovuto. E lo feci: feci entrare nel mio cuore la fredda, dura e solitaria Brokeback Mountain. Un luogo sperduto nel mondo, dimenticato da Dio e dalle persone, in cui mi potevo realizzare come persona, in cui io mi sono sentito vivo per la prima volta. Fu così che iniziai ad amare Brokeback Mountain più del Wyoming stesso, nonostante questa montagna faccia parte del territorio del Wyoming. Non amavo più La Casa, bensì amavo e amo una piccola parte di essa, per quanto piccola possa essere una montagna. Brokeback Mountain è dove ho lasciato il mio cuore e sinceramente non vedo l'ora di andarmelo a riprendere, ma non lo farò da solo. Lo voglio fare con la stessa persona che ha determinato il cambiamento nella mia vita e a cui voglio donare il mio cuore una volta ripreso. E questo mio regalo lo farò lì, in quella benedetta montagna che ci ha unito.

Così mi ritrovo a fare questi pensieri senza senso, a ricordare momenti ormai lontani e a passarmi tra le dita la cartolina che ho appena ritirato. Una fotografia sbiadita di Brokeback Mountain e sul retro una semplice scritta: "Divorzio." Non sono riuscito a trattenere un sorriso nel vedere che, anche quando doveva scrivere, fosse una persona di poche parole. Pochissime. Ad essere sinceri una parte di me è rattristata per la notizia che il suo matrimonio non sia durato, però è anche vero che l'altra parte è al settimo cielo. Adesso potremo andare dove vorremo, potremo andare a rivisitare Brokeback Mountain e finalmente potrò tornare nel Wyoming senza sentirmi morire dentro. Sono stato costretto a trasferirmi nel Texas non perché volessi, ma perché restare tra le montagne del Wyoming mi faceva stare malissimo. Mi guardo allo specchio: sono passati dodici anni da quel fatidico incontro, eppure non mi vedo molto cambiato. Ho sempre un fisico abbastanza portante, dei capelli castani spettinati (questo particolare l'ho ereditato da mio padre), due occhi azzurri che io trovo abbastanza orrendi. Non posso dire di essere bello di viso, però compenso con l'abilità nel parlare e nel riuscire a trovare sempre il lato positivo in tutto ciò che mi accade. Infilo una camicia nera, un paio di jeans scuri e una cintura vinta nel mio ultimo rodeo: la fibbia è molto bella, con un toro scalciante e un cowboy che cerca di stargli in groppa; è ovale e sta a pennello con la mia camicia. Un paio di stivali da mandriano assai sporchi e malandati e il cappotto più bello che ho. Finita la mia preparazione. Mi precipito dentro il furgoncino blu e bianco che ho da poco tempo e metto in moto. Sistemo lo specchietto e rimango a fissarmi per qualche secondo: i miei occhi brillano e tradiscono la mia gioia immensa, incorniciati da piccoli segni di rughe. Parto e lascio la mia casa, del tutto intenzionato a non tornarci senza aver portato con me la persona che amo. Ho tanta strada da fare: più di quattordici ore con un mezzo che si può definire veloce. In queste ore potrò pensare. Pensare ad una sola persona, ad un solo uomo. Ennis del Mar. L'uomo che ha rivoluzionato la mia esistenza.

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