Capitolo 31: Una coppa o una possibilità

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Eirlys gettò uno sguardo alla sua magra cena abbandonata sul pavimento, intoccata, piena ora di formiche che lottavano per accaparrarsi quanto più possibile. Le osservava in fila indiana, disciplinate, trasportare quei pesi ben più grandi di loro e rimuginava sulla sua situazione.

Erano tre settimane che non vedeva e non aveva notizie di suo figlio e di suo marito. Tre settimane che era chiusa in quella angusta camera, come una prigioniera, rifiutandosi di lavarsi, cambiarsi e da quasi due settimane di mangiare. Aveva scritto a suo marito, aveva pregato i suoi carcerieri di lasciarla andar via, aveva addirittura tentato la fuga ma a nulla era servito tutto quello.

Era sola, ancora una volta prigioniera tra quattro mura, e gli incubi sulla sua infanzia a Scilly avevano iniziato a tormentarla di nuovo.

Sentì le lacrime inondarle gli occhi, scorrere traditrici lungo le guance, e con un ultimo barlume di forza scattò in piedi e lanciò il vassoio contro la porta serrata. Urlò, urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre le formiche fuggivano disperate, mentre l'acqua del brodo inzuppava le assi di legno del pavimento. Si sentiva sciocca e incapace. Si era fidata di un uomo ed era stata tradita. Suo figlio, la sua unica gioia, le era stato strappato via ed ora un vuoto spaventoso quanto una voragine le scavava il petto, togliendole la forza di mangiare, parlare, pensare e probabilmente anche vivere.

Si accasciò sul pavimento, esausta, e si concesse di piangere come la bambina che nonostante tutto era. Aveva solo sedici anni e la sua vita era stata costellata solamente di dolore, rancore, atti impronunciabili e tradimento. La sua ultima speranza di redenzione era stata suo figlio ed ora le avevano strappato via anche quello. Che futuro poteva mai avere?

Si strinse le ginocchia al petto, la testa poggiata sul pavimento di legno, e osservò le formiche che tentavano di riorganizzarsi dopo quell'evento inaspettato. Le invidiava un po'. Loro poteva fuggire da quella prigione, piccole com'erano, ed avevano una casa dove andare, un posto in cui sentirsi al sicuro. Eirlys non l'aveva mai avuta una casa, un rifugio, qualcuno pronto ad amarla incondizionatamente e a proteggerla. Lei era sola, esattamente come un anno prima.

<< Aprite, sono venuta a controllare le sue condizioni!>>

Una voce giunse alle orecchie della giovane. Una voce talmente inconfondibile da costringerla ad alzarsi seduta e ad asciugarsi le lacrime. Una voce che aveva la capacità di scatenarle una tale rabbia che qualsiasi altra cosa passava in secondo piano.

Sentì i soldati armeggiare vicino alla porta, l'uscio si aprì lentamente portando con sé il profumo dell'aria pulita del corridoio, e poi Eirlys la vide entrare in un fruscio di gonne argentate, con i gioielli che portava che tintinnavano al suo passaggio, e quegli smorti capelli biondi inconfondibili agli occhi di chiunque in quella corte. La regina Blaine era di nuovo venuta a farle visita.

Eirlys non si alzò, non si inchinò, non pronunciò una parola. Rimase invece seduta sul pavimento, le gambe incrociate, e continuò ad osservarla con uno sguardo indecifrabile.

Blaine aveva una coppa fra le mani, Eirlys poteva sentire l'odore pungente del vino che si diffondeva nella stanza, e osservava con ribrezzo il brodo sul pavimento, le formiche spaventate, la stessa principessa con la camicia da notte sporca e giallognola e i lunghi capelli rossi intrecciati e pieni di pidocchi. Si era portata immediatamente una mano a coprire il naso, colpita dall'odore nauseabondo della stanza rimasta sigillata per troppo tempo, e in un primo momento non aveva trovato nulla da dire. Mentre osservava Eirlys, stupendosi del cambiamento che tre settimane di prigionia aveva portato nelle fattezze della principessa, sentì la mano che reggeva la coppa tremare e fu costretta ad appoggiarla sul tavolo di fianco l'ingresso.

La dama rossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora