Prologo

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Sapere esattamente come si fa a respirare, non aiutava in quel momento. Era come se non riuscissi a far arrivare abbastanza aria nei polmoni, ma non mi muovevo, non chiedevo aiuto, non ne avevo le forze.
Mi sentivo morire lentamente, a mano a mano che i vestiti in quella valigia aumentavano i miei battiti rallentavano.
Ero ferma sulla soglia della porta e guardavo quell'ammasso di abiti schiacciarsi dentro quella valigia.
Non ricordavo nemmeno cosa fosse successo esattamente:
Eravamo a letto e poi ad un certo punto scoppiò il caos e lentamente stava facendo la stessa fino anche il mio cuore.
Se ne stava andando e non sapevo nè capivo il perché, avevo provato a chiedere ma non aveva risposto, avevo atteso ma non aveva chiarito nulla.
Una telefonata e lui era pronto per scappare, da cosa poi non lo avrei mai saputo.

"Devi dimenticarti di me" mi disse all'improvviso.

"Cosa?" Quasi urlai, ma non me ne importava.

"Noi, tutto questo" disse indicando entrambi e poi lo spazio circostante. "È stato bello, è stato stupendo ed è stato troppo, non potrà continuare, inutile mentirsi. Io non tornerò e tu non mi rivedrai, non ci chiameremo, non ti scriverò." Disse senza nemmeno avere il coraggio di guardarmi negli occhi.

"Tutto qui? È stata una gran bella esperienza, ma ho bisogno di altro e tu non sei tra i miei piani? Sarebbe un addio? Perfetto, ma non ti dimenticherò" dissi tutto d'un fiato.

"Devi farlo, dimenticami... Io lo farò" affermò con durezza e sta volta mi guardò, fu il colpo di grazia, mi stava annientando.

"Tu lo hai già fatto, tu mi hai già dimenticata, ma tranquillo, va bene, alla fine sono stata solo un vento passeggero" dissi indietreggiando e potrei giurare di aver visto i suoi occhi lucidi mentre mi seguiva. "Ma lascia che ti dica una cosa: mi fai schifo, addio" e corsi verso l'uscita mentre lui mi rincorreva gridando il mio nome.

Non so se era amore, ma fece male per giorni, mesi, era come un incidente con danno permanente, mi sentivo come debilitata di una parte di me.
Lui...
Lui era la parte di me che mi mancava e che non avrei più riavuto indietro.
Nei giorni a seguire lo sentivo ovunque: sentivo il suo profumo, il rumore dei suoi passi nella mia camera, mi sembrava ancora di sentirlo cantare sotto la doccia le canzoni dei nickelback, non era intonatissimo ma se la cavava, e certe volte alcune sere, quelle più dure, mi sembrava di sentire i battiti regolari come se fossi appoggiata al suo petto come facevo una volta.
Con il passare dei mesi il dolore non si attenuò, ma mi adattai a quella nuova forma di me, mi convinsi che era una sfumatura in più che mi avrebbe reso più bella e, senza dubbio, più forte.
Certo ne conseguirono buone dosi di menefreghismo, apatia e il cambiamento in stronza totale, non avevo più pietà per nessuno, lui mi aveva portato via tutta la voglia d' amare e mi ero ridotta ad odiare me stessa e il mondo.
Nessuno avrebbe potuto salvarmi da me stessa e nessuno si sarebbe salvato, ero diventata una macchina annientatrice, volevo fare agli altri ciò che lui aveva fatto a me, volevo che qualcuno comprendesse il mio dolore senza che io parlassi.
Al mondo si salvavano all'incirca 10-11 persone, quasi tutti parenti e due amici stretti J.D, che stava per John Dawson Levis, e jasmine levis, erano i figli del socio in affari di mio padre e ragazzi fantastici, gli unici ad aver saputo starmi accanto quando jacob decise di andarsene portandosi una grossa fetta di me.

TATUATO SULLA PELLEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora