Il potere del fuoco [1/4]

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Gli stretti vicoli e le bancarelle polverose del mercato si susseguivano agli angoli del suo campo visivo, slavati come l'acquarello di un bambino. A ogni passo, la voce che le consigliava di tornare indietro, di provare a chiamare aiuto si affievoliva sempre di più. Quando si infilò in una stradina sporca e desolata dietro a una taverna, era diventata solo un sussurro, che i suoni della città e il bisogno di cibo e acqua misero facilmente a tacere.

Si avvicinò alla porta sul retro della taverna, quella che dava sulla cucina, a giudicare dal buon profumino che le schiaffeggiò il naso. Sussultò quando un topo grosso come un cucciolo di cane le corse sul piede per andare a imbucarsi nella sua tana, nascosta dietro un tavolo rovesciato e mangiato dai tarli. Nemeria scrollò le spalle e rivolse la sua attenzione alla catasta di casse lasciate a marcire contro il muro. Ne contò circa una  decina, tutte più o meno della stessa misura e dello stesso pessimo legno, di quelli che Morad e Arsalan avrebbero accantonato subito, definendoli "rametti buoni solo a bruciare". Scosse la testa e strinse i pugni più forte che poté, finché il dolore causato dalle unghie piantate nei palmi non scacciò via i visi amati dei due mercanti. Cominciò ad ammonticchiare le casse l'una sopra l'altra, curandosi di scegliere solo quelle più integre. Quando ebbe costruito una piccola montagnetta, si arrampicò fino alla finestrella.

Il profumo del riso al vapore e delle spezie le fece gorgogliare lo stomaco e venire l'acquolina in bocca,sensazione che si acuì allorché dei piatti dall'aspetto divino passarono davanti a lei, sorretti dalle mani esperte di cuochi e camerieri.

A differenza del fuori, la cucina all'interno era tutto fuorché sporca. I cuochi, due besajaun e una donna dal naso a patata e gli occhi a mandorla, si muovevano freneticamente da una pentola all'altra, togliendo la carne marinata dal fuoco, girando gli spiedini sulla brace, aggiungendo salse a stufati di verdure e legumi. Erano così in sincronia che per un momento Nemeria si dimenticò della fame e rimase a osservarli, completamente incantata. Fu per quello che non si avvide che qualcuno si era accorto della sua presenza.

La porta si aprì di schianto e uno dei cuochi uscì con un'espressione truce stampata sul viso. Lo spavento che prese fu sufficiente a farle perdere l'equilibrio e cadere dalla sua scala di fortuna.

- Che cosa vuoi, accattona? - l'aggredì l'uomo, in mano teneva un mestolo sporco di sugo, - Ho già detto a tutti i tuoi amici che qui non ci dovete venire, chiaro? Non mi va che frughiate nei miei rifiuti o che vi facciate vedere in prossimità della mia taverna! -

Nemeria arretrò strisciando per un paio di metri, poi tentò di rimettersi in piedi, ma la paura le paralizzava le gambe.

- Hai capito o no che devi sparire?! -

- S-sì... -

- E allora alza il culo e vattene, prima che chiami le guardie! - sbraitò il cuoco e alzò il braccio munito di mestolo per colpirla.

Nemeria serrò gli occhi e si rannicchiò, portando le braccia sopra la testa per proteggersi, ma l'unico suono che udì fu il tonfo della porta. Poco dopo le giunsero alle orecchie gli ordini furiosi del cuoco, che intimava agli altri di tornare al lavoro.

Quando abbassò lo sguardo, ancora leggermente sconvolta, notò un pezzo di formaggio che giaceva ai suoi piedi. Si tirò a sedere e, dopo una breve titubanza, lo agguantò. A quel punto scappò, inoltrandosi nel vicolo, per poi svoltare in una stradina chiusa tra la locanda e un altro edificio. Addossata al muro c'era altra immondizia, pane, frutta e verdura così marci da sembrare carbonizzati. Le corde dove erano stati stesi i panni ad asciugare costituivano una ragnatela sopra la sua testa, sembravano quasi dividere il cielo calmo e silenzioso dalla terra, una prigione soffocante di caldo e sporcizia. Un gruppo di ratti stava banchettando con un pezzo di formaggio divorato dalla muffa. Non appena percepirono la presenza di Nemeria, si girarono per valutare se fosse una minaccia, poi tornarono a mangiare.

Con l'aria che le raschiava la gola a ogni respiro, la bambina si accovacciò contro la parete e strinse la pietra di luna nel palmo. Adesso era leggermente tiepida. Divorò il formaggio in silenzio, e le parve la cosa più buona che avesse mai mangiato. Una volta terminato il pasto, giocherellò con il pendente, scrutandolo intensamente.

- Perché mi hai salvata? Perché non mi hai lasciata morire lì, assieme a tutta la mia gente? Io... non so cosa fare, non so nemmeno dominare l'elementale con cui sono più affine... - mormorò con voce rotta dal pianto, mentre le lacrime premevano per liberarsi dalla prigionia delle ciglia.

Questo non è totalmente vero, mia cara.

Nemeria alzò la testa di scatto. Non fu in grado di trattenere un'esclamazione a metà tra il sorpreso e lo spaventato, quando posò gli occhi sull'ammasso di fuoco che era apparso accanto a lei. Guardandolo meglio, si avvide che le lingue rosseggianti avevano assunto la forma di una donna alta e snella.

Stai tranquilla, sono io. Sono l'elementale che vive dentro di te.

L'essere allungò la mano verso di lei. Le fiamme che componevano il suo viso si annerirono, solidificandosi assieme al resto del corpo in magma. Non appena le sue dita la sfiorarono, un calore rassicurante, delicato come la carezza di una madre, la pervase da capo a piedi.

- Com'è possibile che tu ti sia incarnata? -

Sulle labbra attraversate da vene incandescenti comparve un sorriso divertito. Del fuoco di cui era fatta erano rimasti solo i capelli, che crepitavano allegri sulle sue spalle.

Non mi sono incarnata. Io mi nutro di tutte le emozioni forti che vivono dentro di te, esse sono energia per le mie fiamme. In queste ore ne hai provate molte e l'energia che hanno sprigionato è stata sufficiente per prendere una forma...  diciamo, umana. Ciò che vedi è solo l'immagine solida della mia essenza.

I topi erano fuggiti non appena avevano percepito la presenza dell'elementale, lasciando il pezzo di formaggio rosicchiato incustodito. Ne avevano mangiato una buona metà, ma si erano per lo più concentrati sulla parte ammuffita. Reprimendo la nausea, Nemeria si allungò, prese quello che era rimasto e cominciò a sbocconcellarlo. Se avesse potuto, l'avrebbe inghiottito in un solo boccone, ma si impose di mantenere un certo contegno davanti all'elementale.

Ascolta, Nemeria. So che quello che stai passando è terribile, ma non devi arrenderti, per nessuna ragione al mondo.

- Perché non dovrei? Ho perso tutto. La mia tribù è morta, la mia famiglia è morta. Non... non ho motivo di andare avanti. - singhiozzò e diede un morso più grande al formaggio, riempiendosene la bocca e masticandolo con rabbia e disperazione insieme alle lacrime salate.

Le sopracciglia corrucciate e gli occhi umidi le conferivano un'aria triste e tormentata, e così Nemeria si sentiva. Era sola, in un posto che non conosceva, indifesa, troppo giovane e stracciona per sperare di venire ascoltata da un adulto.

Il sole non era più allo zenit e le ombre dei panni ne schermavano la luce, creando delle macchie d'ombra che rendevano il caldo più sopportabile. Un refolo di vento le asciugò la pelle sotto il barracano, donandole un po' di sollievo.

L'elementale si piegò, intrecciò le dita sulle ginocchia e volse lo sguardo verso l'alto, nel cielo nascosto oltre i palazzi. Nemeria si domandò se, come l'Alta Sacerdotessa, fosse in grado di vedere il futuro, se ciò che l'elementale stava osservando tanto intensamente fosse davvero il cielo, e non qualcosa che agli occhi dei mortali era precluso. Le Anziane raccontavano che le prime Jinian, quelle che ancora potevano udire le parole della Madre, fossero capaci di scorgere lo svolgersi del filo del destino attraverso il sangue e il fuoco, o addirittura nelle interiora degli animali. Quelle storie l'avevano sempre fatta rabbrividire, ma come molti altri aveva cercato di non darlo a vedere, nascondendosi dietro una risata nervosa a una rapida scrollata di spalle.

Il dolore ti rende sorda e cieca, ma non credi che sarebbe un atto egoista abbandonarsi alla morte dopo il sacrificio di Hediye e quello della vostra sacerdotessa?

Le prese la mano tra le proprie e ne accarezzò il dorso, le labbra increspate in un sorriso premuroso, dolce.

Lei è morta per te. Non era tua madre, ma si comportava come se lo fosse. Anche Etheram ti amava. È andata alla prima barriera con la consapevolezza che non ti avrebbe più rivista. Non devi vanificare il suo sacrificio, non permettere che la sofferenza prevalga senza aver prima lottato. La morte trasforma ogni ricordo delle persone care in un vuoto, un'assenza che riempie i pensieri e avvelena l'anima. Si può decidere di lasciarsi consumare dal dolore, oppure si può trovare il coraggio per continuare a vivere. A te la scelta, Nemeria.

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