#9 Back in the New York groove

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[14.06.2013 – 21:35]

Alla fine, tutto si era ridotto a quello: uomo, contro animale. Il tempo si era fermato. Davanti a Giò, la sublime eternità di un dipinto. Una visione lo colpì: l’oceano che si ritira, con grande lentezza. All’orizzonte, la superficie risale, si gonfia. Il grido di un gabbiano, distante. Brezza salata, pace, silenzio. Ma lui è sulla sabbia. Lo sa, cosa sta per accadere.

Capelli tirò fuori qualcosa da dietro la schiena; l’oggetto luccicò per un istante.

«Coraggio, bastardo», disse.

I due ruggirono assieme.

[14.06.2013 – 19:15]

Dall’uscio semiaperto della cella frigorifera si vedevano le bottiglie: Whiskey, Gin, liquori di ogni sorta. Vino. Dio, cosa darei per un sorso di buon vino.

Il vecchio continuava a blaterare, dondolando e singhiozzando. Ormai, dopo ore, non lo ascoltava più nessuno.

«Marisa… Marisa… io… mio Dio… io…»

Capelli si avvicinò a Giò e gli toccò una spalla.

«Riesce a vederlo?», chiese.

Per una frazione di secondo, Giò pensò che si stesse riferendo all’alcol.

«No, è troppo buio.»

Il direttore annuì. Qualcosa in lui è cambiato. Irrimediabilmente, pensò Giò.

«L’ho ferito in modo grave», continuò Capelli. «Ma sono certo che sia ancora là, fuori da qualche parte. In attesa».

La donna con la camicetta strappata emise un guaito.

«Perché non ho portato Michi a scuola, stamattina? Perché?!». Era seduta di schiena, appoggiata a uno scaffale metallico. «A quest’ora, saremmo lontani da questo disastro. Saremmo al sicuro».

«Mamma…»

Il ragazzino aveva gli occhi lucidi. Sedeva contro il petto della madre e cercava di darle conforto.

E così, è suo figlio.

«Lamentarsi non serve», tagliò corto Martinelli.

Giò l’aveva sempre considerato un rompicoglioni ma questa volta non poteva dargli torto. La donna alzò la testa, lanciandogli un’occhiata carica di risentimento. Non disse comunque nulla.

«Non capisco», continuò Martinelli, rivolto a Giò. «Davvero, quello là si è lanciato nel vuoto?». Quando Giò annuì, scosse la testa. «Non potremo rimanere qui dentro all’infinito. E per fortuna che il condizionatore è rotto, altrimenti saremmo morti assiderati».

«Perché ha gridato quel nome, prima?», chiese la donna con la camicetta strappata.

Sulle prime, Giò non capì a cosa si riferisse. Poi, comprese.

«Lasci stare. Non ha importanza.»

Cecilia. Chissà dov’è, adesso. Pensò che sicuramente aveva avuto notizie del disastro. Mi starà cercando? Lo saprà, che sono qui?

«Invece sì, che ne ha», abbaiò lei, in risposta. «Di tempo ne abbiamo. Non possiamo ucciderlo e neanche catturarlo. Quindi, mi dica: perché quel nome?»

Giò, però, non l’ascoltava più. Le parole della donna avevano fatto scattare qualcosa, nel suo cervello. Guardò oltre l’uscio semiaperto: la voragine creata dall’affettatrice era ancora lì. Aggirarla per raggiungere la cella frigorifera non era stata un’impresa facile.

«Può ripetere, per favore?», disse, girandosi verso di lei.

«Il nome, voglio sapere…»

«No. Prima, intendo.»

«Che non possiamo uccidere l’animale, e neppure catturarlo? Cos’è, non le sembra abbastanza evidente?»

Catturata.

Sì. Hai lanciato la tua esca, due anni fa. E mi hai presa.

La mia esca?

Già. Proprio come quel pescatore, laggiù.

L’ombra di quel pomeriggio di due anni prima a New York rapì la sua mente. Le parole di Cecilia vibrarono chiare e semplici nella sua testa. Quel giorno – uno dei pochi, veri ricordi felici che aveva conservato della loro vita assieme – Giò se lo ricordava bene. Guardò a terra e vide il sudicio fagotto dei lenzuoli di Martinelli.

«Mi servirà della carta stagnola, per protezione», disse, alzandosi. «E anche…». Notò quasi per la prima volta il tavolo di acciaio. Si era capovolto proprio al centro della stanza.

«È un piano da macellaio, quello?», domandò al direttore.

[14.06.2013 – 19:47]

Dopo il suo breve briefing, il primo a parlare fu Capelli.

«Il piano è chiaro», disse. «Ho una sola obiezione».

Giò lo fissò con aria stanca.

«Sarò io l’esca, non lei», concluse il direttore.

«Non esiste!», gli urlò in faccia. «È una mia idea».

«Andrò io, invece». Dalla sua espressione, sembrava irremovibile.

«Mi dia una sola ragione per cui dovrei lasciarle il posto.»

«Gliene darò due, invece». Capelli parlava a lui, ma il suo sguardo andava già oltre la porta. «La prima è che, comunque vada a finire, non mi rimarrà molto da vivere».

«Che sta dicendo?!»

«Che ho il cancro». Quelle parole trafissero Giò, più taglienti della lama di una spada. «Mi è stato diagnosticato due settimane fa. Oh, non faccia quella faccia lì: non è colpa sua e nessuno può farci nulla. Polmoni, non operabile». Il direttore fece una pausa. «La seconda ragione, la potete intuire facilmente: ho un conto in sospeso, con quel bastardo. E sono convinto che anche lui abbia un conto in sospeso con me».

«Io… non so proprio cosa dire», sussurrò Giò.

«Fagliela vedere, figliolo.», disse qualcuno.

Tutti si girarono in direzione della voce. Il vecchio era lì, in piedi. Teneva il pugno alzato.

«Uccidilo, quel figlio di puttana mangiatore di donne.»

Inversione [ DA REVISIONARE ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora