#8 Diversivo letale

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[14.06.2013 – 21:34]

Mantieni la calma. Vieni indietro, piano. Più lento, cazzo!

Giò avrebbe voluto gridare tutte queste cose a Capelli ma sapeva di non poterlo fare: l'animale poteva accorgersi di lui. Si sentì un altro urto. Zoppicava, il bastardo. Era ferito. Uno a zero per il direttore, anche se l'animale, quantomeno, puntava al pareggio. La bestia si fermò un istante, come per riflettere. Aggirò il cadavere, senza degnarlo della minima attenzione. I fari gialli che aveva al posto degli occhi puntavano Capelli, nessun altro. Il direttore arretrò ancora, appoggiando il piede sulla passerella metallica.

Era giunto il momento della verità.

[14.06.2013 – 12:54]

Fu come in quei film di guerra, quando la bomba esplode vicino al soldato. Il boato lo costringe a vagare, ebete, in mezzo a una specie di bolla acustica. Attorno a lui l'inferno, dentro la sua testa, invece, solo un ovattato, sordo frastuono. In quei film, alla fine il soldato sviene sempre. Per Giò, non fu così.

«...nsate al vargr. Io mi occ...»

Non capì a cosa l'inquilino dell'interno 6 si stesse riferendo. Il casino veniva dal supermercato, lui invece osservava il lato opposto, cioè verso il vuoto. Giò seguì la direzione del suo sguardo, e lo vide: un'ombra. L'oggetto fece il giro di tutta la facciata dell'edificio, mettendoci meno di un istante.

Troppo grande, per essere quella di un uccello. Giò pensò subito a Batman.

«Ha capito che cosa ho detto?!», gli chiese l'uomo, questa volta con maggior vigore.

Fu come se a Giò avessero tolto il tappo della vasca in cui galleggiava la sua testa. Con un tremendo risucchio, il suono tornò alle sue orecchie, attraverso un grido fatto di vetro e metallo.

«Che cosa?», fu ciò che riuscì a rispondere.

«L'animale è un diversivo, ma dovrete occuparvene voi.»

Un secondo dopo, l'uomo si lanciò nel nulla. Giò non avrebbe potuto fermarlo, neanche se ci avesse provato. Si è suicidato, perché?! Poi, un altro grido attirò la sua attenzione. Veniva ancora dal supermercato. Le porte erano aperte e Giò scattò. Una volta nell'ingresso, intravide subito la donna con la camicetta strappata: stava proteggendo il ragazzino con il proprio corpo.

"... ai giornalisti non è permesso avvicinarsi alla città, l'esercito e la protezione civile..."

La radio gracchiava la voce sconosciuta di un inviato, nessuno però le prestava attenzione. Il vecchio era a terra assieme alla moglie, il suo dito tremante indicava la porta del piccolo ufficio.

«È lì dentro», balbettò.

C'era del fumo nell'aria e una luce al neon sul pavimento esplodeva lampi azzurri in tutto il locale. Giò pensò alle luci intermittenti di un'auto, ferma nella nebbia. Poco alla volta, un suono fastidioso crebbe di intensità. Ruote dentate di un meccanismo incastrato. O il ringhio cupo del diavolo.

Improvvisamente, Giò ebbe un'illuminazione: che era tutta una questione di nervi.

«Cecilia, porta via il ragazzino, subito!», gridò alla donna dalla camicetta strappata.

Lei lo guardò e in un primo momento parve disorientata. Poi annuì. Fece come gli aveva detto.

"... chiarimenti sull'accaduto. Il Presidente del Consiglio si è rivolto alle famiglie..."

Giò vide a terra il lenzuolo di Martinelli. Lo raccolse, avvolgendolo attorno al proprio braccio. Subito dopo, vide anche Martinelli: il coglione era svenuto e nel farlo si era tirato dietro un intero scaffale di sacchetti di farina, che ora giacevano squarciati sul pavimento. Ecco spiegato il fumo. Per terra, notò il manico metallico di una scopa. Lo raccolse e lesse che era in saldo.

«Martinelli, ehi!», chiamò sottovoce.

Lo toccò con la punta del manico. Davanti a loro, la porta del piccolo ufficio era spalancata. Era tornato il silenzio.

«Martinelli, si alzi!»

Poi, le gambe gli cedettero. La cosa adesso era lì, ferma di fronte a lui. Immobile, muta, disumana. Vide le sue zanne. Vide gli occhi, scoppiettanti come torce accese. Con il solo lenzuolo a fargli da scudo e un manico di alluminio al posto della spada, Giò si sentì il più effimero dei gladiatori. L'animale scattò e Giò chiuse gli occhi. Quando li riaprì, davanti a lui non c'era più nessuno.

Attimi di silenzio, infine il grido venne da dietro, spezzando l'incantesimo. Un urlo terribile, indice di grande sofferenza. Il ruggito gorgogliante dell'animale riuscì comunque a sovrastarlo. Poi, suoni di lacerazione. Probabilmente carne. Altri lamenti, più deboli questa volta. Un nuovo rumore: metallo che cozza. Un colpo, due colpi. Latrati, poi un'orrenda imprecazione. Giò decise che non voleva girarsi a guardare.

Passò un tempo che giudicò interminabile, infine qualcosa gli toccò il braccio. Sussultò. Era Capelli: sporco di sangue dalla testa ai piedi, reggeva in mano un estintore in pessime condizioni.

«Mi aiuti, con questo a terra», farfugliò, indicando Martinelli. «Dobbiamo arrivare in fondo, dentro la cella frigorifera. È la nostra unica...».

"... speranza di ritrovare i dispersi, è minima. L'entità, la singolarità del disastro..."

Inversione [ DA REVISIONARE ]Där berättelser lever. Upptäck nu