40- Terza Parte

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Terza Parte

-La Svolta-

Passi regolari, continui.

Riusciva soltanto a camminare avanti e indietro per il corridoio; arrivava fino a un piccolo quadro che raffigurava un uomo in barca e poi tornava indietro fino a una sedia rossa. Erano quelli i punti di riferimento ai quali doveva stare particolarmente attenta, altrimenti si sarebbe allontanata piú del necessario, e questo non poteva permetterselo dopo la lunga attesa.

Il pavimento era molto pulito. Come non farci caso; erano quarantacinque minuti che aspettava. Oramai l'uomo in barca le stava dando sui nervi, e il rosso della sedia stava diventando particolarmente acceso, luminoso, fastidioso.

Finalmente, dopo qualche altro minuto, la porta si aprí, lentamente.
Cigolava lievemente, ma a dire la verità quello era stato il rumore piú bello che Silvia avesse mai sentito. Dunque si avvicinò alla porta. Un uomo alto, biondo e in borghese si era affacciato alla porta in modo autorevole.
«Buongiorno, potrei parlarle?» domandò Silvia timidamente.

L'uomo inarcò le sopracciglia; per un attimo Silvia temette che sarebbe stata cacciata, e iniziò a pensare alla risposta che avrebbe dato. Lo avrebbe implorato di riceverla forse, o magari glie ne avrebbe dette quattro per poi andarsene furiosa.
«Prego, si accomodi» disse invece l'uomo in borghese, il quale le fece cenno di entrare in modo molto gentile ed educato.
Quindi la dottoressa entrò pian piano e si sedette di fronte a lui, a separarli una scrivania.
«Ha aspettato molto?» chiese lui avvicinandosi alla scrivania con la sedia. Quella era stata una domanda davvero irrirante. Ovviamente aveva aspettato tanto.

Silvia lo scrutò; avrebbe voluto urlargli "ma vai a farti fottere", però in quel modo avrebbe rovinato tutto. Quindi si morse la lingua e rispose in modo educato.
«Beh, non lo nego, ma non si preoccupi» disse tentando di mostrarsi gentile.
L'uomo annuí e iniziò a frugare nel cassetto.
«Bene, mi dica allora» disse lui intanto.
Silvia allora di schiarí la voce e si avvicinò alla scrivania.
«Si tratta dell'uomo che pochi giorni fa é stato trovato morto, Mark Jemmin» disse diretta, senza giri di parole.

A quel punto l'uomo smise di frugare nel cassetto, bensí lo chiuse lentamente dopo aver osservato attentamente Silvia.
«Mark Jemmin? Per caso lo conosce?»
«Sí, lo conosco, ed é per questo che sono venuta... Vede, ultimamente lui si confidava con me e mi raccontava del suo doloroso passato» mentí. Mark Jemmin non si era mai "confidato", bensí aveva parlato del proprio passato perché Silvia lo aveva obbligato in qualche modo.

«Non sapevo che ultimamente avesse stretto amicizie. Mi scusi, ma lei chi é?» domandò l'uomo.
«La dottoressa Silvia Wond, mi sto occupando della figlia di Mark, é per questo che l'ho conosciuto» affermò.
«Ah, allora sarà venuta per raccontarci qualcosa di utile per le indagini» disse soddisfatto.
«No, mi dispiace, non so nulla che possa esservi d'aiuto» rispose dispiaciuta.
«Allora cosa é venuta a fare?» domandò leggermente infastidito e deluso.
«Beh, volevo sapere qualcosa di piú rispetto a quanto é stato detto in televisione. »
«Ah, no, mi dispiace, non posso dirle nulla. Mi creda» rispose l'uomo alzandosi dopo aver preso una sigaretta e un accendino dal cassetto.
«Le assicuro che se non fosse importante non glie lo avrei chiesto» lo implorò Silvia, alzandosi anch'essa dalla sedia.

L'uomo allora si avvicinò a una finestra aperta e accese la sigaretta, poi se la portò alle labbra. Rispose soltanto quando il fumo uscí dalla sua bocca.
«Mi dispiace, non posso dirle nulla. »
A quel punto Silvia fece per rispondere, ma la porta si aprí bruscamente. Era Fred. Entrambi si voltarono di scatto.
«Mi hanno derubato! Il portafoglio e i documenti, venga la prego!» esclamò Fred, con aria disperata.
«Oh, arrivo subito, solo un secondo » rispose l'uomo in borghese, con gli occhi del tutto sgranati. Egli lanciò la sigaretta dalla finestra e si avvicinò alla porta.
«Le ripeto, non posso fare nulla» disse facendo cenno alla dottoressa di uscire dalla stanza, poi aggiunse «la prego» e uscirono entrambi.
L'uomo chiuse la porta e Silvia gli fissò le mani per parecchio tempo, sperando che non chiudesse a chiave. Fortunatamente non lo fece e se ne andò, seguendo Fred. Così Silvia, dopo essersi guardata intorno per assicurarsi di non essere vista, si fiondò nella stanza e chiuse la porta.

Perfetto. Tutto stava andando secondo i piani. Dunque corse verso l'armadietto di metallo contenente i documenti piú importanti. Lo aprí e guardò l'etichetta di ogni cartella. Doveva affrettarsi, cosí cercò con affanno, voltandosi ogni secondo per assicurarsi che nessuno fosse entrato di soppiatto.
Il tempo passava e ancora non aveva trovato la cartella giusta, finché non ne vide una con scritto "Caso Mark Jemmin". A quel punto la prese e inziò a frugare al suo interno; fogli, documenti, e poi il famoso biglietto.
Era un fogliettino stropicciato, scritto male. Vi erano scritte solo poche righe, nulla di piú.
Il contenuto era il seguente:

"Non sono stato un bravo padre, ho rovinato la vita delle mie figlie, ho allontanato tutti quelli che mi circondavano. Mi dispiace, perdonatemi per tutto quello che ho fatto."

Mark Jemmin.

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