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La tisana aveva dato i suoi benefici.
Si era svegliato si soprassalto e con gli occhi sgranati alle 4:30 di notte; era sudato ed aveva il respiro affannoso.
Stavano per uscirgli le lacrime; tutto stava ricominciando, tutto quello che si era lasciato alle spalle era ritornato a tormentarlo esattamente come quindici anni prima. Ma come era potuto capitare?
Si maledí per aver permesso ai brutti incubi di inziare nuovamente a consumarlo come una candela.
Era debole. Debole e fragile come la carta di alluminio; si consuma facilemente, e quando si rompe, quando si spacca e si spezza, nulla può ricomporla o riutilizzarla.
Aveva preparato una tisana la quale sembrava averlo tranquillizzato, ma sarebbe stato solo un benessere passeggero. Il passato rimane tale, non si cambia, non si cancella. Rimane così com'è e bisogna accettarlo.

É soltanto passato, non rivangarlo più. Avevo soltanto 35 anni, ero giovane.

Poi ripensò alla sera precedente; aveva sferrato un pugno all'ispettore.
Dopo quella sera avrebbe voluto soltanto chiudersi in casa con l'intento di non uscire piú.
La vergogna era il principale motivo.
Il timore di fare un passo falso era il secondo.
Si addormentò, ma non fu un sonno piacevole. Gli incubi iniziavano di nuovo a tormentarlo, e si rigirò tra le coperte fino alle sette.

Nemmeno Silvia aveva dormito quella notte. D'altronde non era stata colpa sua se Fred aveva ricevuto un pugno in volto. La colpa era di Mike, ma ovviamente lei avrebbe potuto fermarlo. Ma come? Sarebbe dovuta alzarsi e urlargli contro per bloccarlo nel suo intento? Non lo sapeva, ma di una cosa era sicura: era rimasta ad osservare la scena come un allocco.
Aveva passato la notte a camminare per la casa come un'anima in pena, senza trovare pace. Sembrava uno di quegli spettri dei film dell'orrore.
I suoi passi risuonavano per tutta la casa come il rintocco di un orologio, regolare e continuo.
All'alba aveva deciso di farsi una doccia, ma poi aveva riempito la vasca da bagno e vi si era immersa.
Era stanca e stressata. Voleva rilassarsi, e le sarebbe stato piú utile in quel modo; l'acqua calda le arrivava al collo, mentre il resto del corpo era completamente immerso ad eccezione delle dita dei piedi, che fuoriuscivano leggermente.

Alle 7:40 si era vestita e poi aveva preso la sua auto per andare a lavoro.
Quella mattina, però, le era accaduta una cosa molto strana.
Non sapeva da quando, ma aveva notato che durante tutto il tragitto un camion bianco l'aveva seguita, e nel momento in cui era entrata nel parcheggio dell'ospedale, il veicolo aveva cambiato strada.
Non se lo seppe spiegare, forse era soltanto una coincidenza, ma le erano ugualemente venute in mente le parole della paziente, chiare, macabre...

"Attenta ai camion, soprattutto a quelli bianchi"

Si levò quel pensiero dalla testa e si diresse al reparto di psichiatria.
Aveva bisogno di vedere la paziente, non ne sapeva il motivo, ma era cosí.
Laura si stava guardando le mani quando Silvia entrò.
Dopo che la dottoressa si era seduta accanto alla paziente, quest'ultima l'aveva guardata negli occhi talmente a lungo che Silvia si era spaventata.

«Ti devo dire una cosa» disse la paziente «ma non la devi dire a nessuno, é un segreto, me lo prometti?» continuò con tono infantile.
«Dimmi Laura» disse dottoressa con estrema tranquillità «non lo dirò a nessuno, promesso. »
Si mostrò tranquilla, ma ebbe subito una brutta sensazione.
«Ho fatto una cosa brutta, tanto brutta» disse la paziente abbassando lo sguardo.
«Cosa?» domandò Silvia.
«Ho ucciso Rose, ma l'ho fatto per te, per proteggerti. Ti diceva cose brutte...»

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