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Le lancette dell'orologio continuavano a funzionare suo malgrado. Il tempo per decidere era assai scarso. Le opzioni erano due: rimanere a fissare Fred che dormiva beatamente o ritornare all'ospedale tentando di non  turbare il suo sonno. Per addormentarsi non aveva faticato affatto.

Che era in ritardo era evidente, ma magari se faceva in fretta poteva tornare a lavoro senza che nessuno se ne accorgesse. Guardò per l'ultima volta Fred: i ritmi di lavoro erano molto rigidi e non poteva azzardarsi a non presentarsi. Si alzò lentamente dal letto, prese la borsa dal comodino ed indietreggiò cautamente. Scese le scale e poi si diresse in cucina per prendere un foglietto con il fine di scrivere un biglietto.

“Sono andata a lavoro, tu riposa mi raccomando...”

Silvia.

Uscí pian piano e si chiuse la porta alle spalle. Fortunatamente la macchina era vicina. Si diresse di nuovo a lavoro, guardando sempre attraverso lo specchietto retrovisore.
Niente. Nessuno la seguí quella volta.
Chissà dove era andato a finire quel camion. Quando arrivò all'ospedale psichiatrico guardò l'orologio: mezz'ora di ritardo. Fece una smorfia ed entrò sperando che nessuno l'avesse vista. Fece una corsa verso il suo studio approfittando di un momento perfetto dove nessuno si trovava a gironsolare sul corridoio.
Poco dopo qualcuno bussò alla porta.

«Ehi, dove eri prima?» domandò Frank, un suo collega, dopo aver aperto la porta.
«Nel mio studio. »
«Ho bussato piú volte, ma non mi hai risposto...»
«E-ero al bagno... »
«Bé, allora devi esserci stata parecchio...» disse con uno strano sorrisetto. «Comunque» continuò il collega «ti cercavo per la paziente della stanza sette. »
«Cosa é successo?» domandò Silvia leggermente allarmata.
«No, nulla. Laura ti cercava disperatamente. »
«Ah, allora vado subito da lei...»rispose.
Quel Frank era misteriosamente perspicace. Sicuramente aveva capito che era arrivata in ritardo, e la dottoressa sperò solo che non facesse la spia.

Abbassò la gelida maniglia della stanza di Laura e vi entrò cauta.
La paziente- raggomitolata sopra al letto- alzò lo sguardo. Era seriamente preoccupata. Mormorò qualcosa di incomprensibile e Silvia si avvicinò.
«É venuto qui! Mi ha trovata!» disse stringendo le coperte.
«Chi é venuto?»
«Il capo dei camion! É finita! É finita!» esclamò sgranando gli occhi.

Silvia non sapeva se crederle o meno.
Ma non costava nulla verificare, no?

«Sei sicura?» domandò la dottoressa abbassando la voce e inclinando il capo. «Sicura che quell'uomo sia stato qui?»
«Si! Si! Era lui, era lui!» disse alzando un po' la voce.
«Okay» rispose la dottoressa. Poi appoggiò una mano sulla spalla della paziente per rassicurarla. «Ora lo troviamo, non preoccuparti. Torno subito» disse infine alzandosi.
Si diresse verso la porta.
«Chiudi bene la porta. Non deve entrare! Non deve entrare!» disse la paziente allarmata.
La dottoressa allora annuí sorridendo e, dopo essersene andata, chiuse la porta. Affrettò il passo; Frank stava per andare nel suo studio.
Quando fu a pochi metri dal collega lo chiamò e lui si voltò.
«É entrato qualcuno nella camera della paziente prima di me?» domandò Silvia diretta.
«Oltre a me... Nessuno. Non che io sappia» rispose il collega. «Perché, cosa é accaduto?» domandò poi.
«Ora non posso dirtelo, ma devo assolutamente sapere se qualcuno é entrato in quella camera e chi é entrato. »
Il collega non rispose ma scosse il capo.
«Non posso confermarti nulla Silvia. Chiedi agli altri, magari hanno visto qualcosa... » consigliò.
«Bé, allora vedrò cosa fare, grazie ugualmente» disse accennando un sorriso prima di andarsene.
Raggiunse Catherine, Katy, Mark, James. Nessuno aveva visto niente.
"Non ne sono sicuro..." e "Credo non sia entrato nessuno" erano state le deludenti risposte.
Ritornò dalla paziente. Questa volta le chiese la descrizione dell'uomo.
«Un berreto nero, un foulard arancione e gli occhiali da sole» fu la risposta della paziente.

Era lui, non c'era alcun dubbio.

Ciò che però Silvia non capiva era come un uomo tanto particolare fosse potuto sfuggire agli sguardi attenti dei colleghi...


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