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Senso di colpa.
Possibile?

Fred stava bevendo un caffé proprio di fronte a Silvia. Il suo sguardo era perso, era tra le nuvole. Forse stava riflettendo. Anche Silvia era perplessa, tamburellava con le dita sulle proprie gambe.
Entrambi erano vicini, ma era come se ognuno fosse stato a casa propria con le tapparelle chiuse e la televisione spenta. Invece il sole entrava prepotente attraverso le finestre e la televisione era accesa ad alto volume.
Stavano aspettando l'annuncio di una notizia che, dopotutto, già conoscevano, purtroppo.

Erano passati due giorni da quando la dottoressa aveva inviato quel particolare messaggio a Mark Jemmin.
E dopo due giorni era venuta a conoscenza che proprio quell'uomo si era ucciso. Suicidato.
Lo stesso giorno in cui Silvia aveva inviato il messaggio. La dottoressa non aspettava una risposta da Mark, ma non poteva immaginare che quel silenzio era dovuto alla sua morte.
In realtà per due giorni consecutivi il suo cadavere era rimasto in casa senza che nessuno lo sapesse, ma poi quando John si era accorto che la spazzatura- che Mark Jemmin era solito buttare fuori dalla porta senza ritardi- non era accanto alla porta, aveva avuto un campanello d'allarme.
I dubbi non smettevano di tormentarla.
Il telegiornale non faceva altro che trasmettere notizie alquanto futili e poco importanti, e la dottoressa perdeva un po' di pazienza man mano che i secondi passavano.
Poco dopo, però, mentre Fred posava la tazzina da caffé sul tavolino, la notizia venne data.

“A Wiklyn, proprio questa mattina, é stato ritrovato il corpo di un uomo di sessantacinque anni. Si chiamava Mark Jemmin, e sembra che si tratti di suicidio.
Infatti accanto al corpo dell'uomo é stato trovato un biglietto.”

A quel punto Silvia afferrò velocemente il telecomando e alzò il volume, sperando che il contenuto del biglietto venisse letto e che contenesse informazioni utili.
La giornalista parlava in modo frettoloso, irritante in un certo senso. Silvia temeva che a causa di quella donna non avrebbe compreso la metà delle parole.

Nel fogliettino l'uomo spiega i motivi del suo atto, ma ancora non si esclude l'omicidio.”


Subito venne data una nuova notizia, e i due potevano scordarsi di conoscere il contenuto del biglietto.

«Maledizione!» esclamò Silvia, delusa e irritata, alzandosi di scatto dal divano.
«Cosa ci sarà di tanto personale in questo biglietto da non poterlo rivelare?» domandò furiosa voltandosi verso Fred.
Quest'ultimo rimase perplesso.
«Magari qualcosa di personale c'é» disse in modo misterioso. «Potrebbero essere state nominate delle persone, come le sue figlie, sua moglie. Forse nel biglietto ha svelato qualche segreto» disse sempre piú convinto delle proprie parole.
«Ma come potremmo sapere cosa ha scritto?»
«Non ne ho idea. Forse...»
In quel momento il telefonino della dottoressa iniziò a squillare. Quindi si avvicinò allo schermo: un numero a lei sconosciuto. Chi poteva essere?
Lanciò un'occhiata fugace a Fred che le fece cenno di rispondere in fretta.
Cosí prese il cellulare, rispose e se lo portò all'orecchio.
«Pronto. Con chi parlo?» domandò con voce tremolante.

Nessuno rispose.

Solo fruscii.

Sembrava che da un momento all'altro qualcuno avrebbe risposto, ma no, non una parola.
Silvia avvertí una sensazione strana, quasi di terrore e inquietudine. Non era un silenzio normale quello. A nessuno era partita la chiamata per sbaglio, ne era certa. Dall'altra parte sembrava esserci qualcuno, indeciso se parlare o meno. Semplicemente qualcuno esitava, aspettava, magari aveva anche paura. Forse si stava mordicchiando le unghie sperando di trovare il coraggio.

Ma il coraggio per fare cosa? Chi l'aveva chiamata? Sullo schermo compariva la scritta "numero privato".

«Chi é?» domandò Fred sottovoce.
Silvia fece le spallucce.
Quindi Fred le fece cenno di dargli il cellulare e cosí Silvia fece.
«Pronto?» domandò Fred.
Non rispose nessuno nemmeno a lui.
«Posso sapere chi ha chiamato questo numero? Se é uno scherzo non é divertente...» disse sicuro.
A quel punto lo "sconosciuto" chiuse la chiamata.
«Maledetti scherzi!» esclamò Fred porgendo il cellulare a Silvia.
«Non importa» disse la dottoressa. «Ora dobbiamo scoprire assolutamente il contenuto del biglietto. Mi aiuterai?» domandò poi.
«In che senso? Non credo che ci permetteranno di frugare in casa di Mark, tantomeno di leggere i documenti degli inquirenti...» rispose l'uomo perplesso.
«Bé, deve esserci un modo. Non ti viene in mente nulla?» chiese speranzosa.
«L'ultima volta che abbiamo messo in atto il mio piano non é andata poi cosí bene. Non ricordi?»
«Lo so, ma questa volta sarà diverso. Ti supplico, aiutami. Devo leggere quel biglietto. »

Fred esitò per un attimo, ma lo sguardo di Silvia- estremamente preoccupato- lo fece sciogliere all'istante.
«Va bene... Ti aiuterò, ma non dobbiamo metterci nei guai, intesi?»
Silvia annuí contenta. «Sí, grazie. Sapevo che avresti accettato» disse sorridendo.

Dopo qualche minuto si ritrovarono seduti nuovamente sul divano, piú tranquilli e rilassati. Oramai non avevano piú importanza le chiamate misteriose o le sensazioni strane.
«Tu cosa pensi che ci sia scritto in quel biglietto?» domandò Silvia in modo tranquillo.
«Non lo so, ma ho la sensazione che Mark abbia confessato un segreto che non aveva rivelato mai a nessuno...»
«E del suicidio cosa ne pensi?»
«Bé, nel caso di suicidio credo che una persona potrebbe avere due motivi principali per mettere fine alla propria vita. Il primo motivo é quello dei problemi economici, ma non credo sia il caso di Mark Jemmin. »
«E il secondo?» domandò incuriosita la dottoressa.

«Il senso di colpa. »







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