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Guardandosi allo specchio notò delle occhiaie decisamente evidenti. Se le sfiorò con le dita e sospirò. Quella notte non era riuscita a prendere sonno, sia per il caldo di cui aveva sofferto, sia per la discussione con Rose, ma soprattutto a causa delle parole della paziente. Quelle frasi non riusciva a togliersele dalla testa, anche se ci metteva tutta se stessa.

Perché avvertirla riguardo ai camion, ai camion "soprattutto bianchi"?

D'altronde quella era una paziente del reparto di psichiatria. Se avesse fatto un discorso normale quello non era sicuramente il suo posto. Si convinse con ciò, e dopo essersi vestita comodamente uscí di casa dirigendosi verso il parcheggio dove aveva posteggiato la sua macchina.
Arrivata sul luogo cercò con lo sguardo la sua auto; era assonnata al punto da non ricordare dove l'aveva posteggiata la sera precedente. Strizzò gli occhi e poi la vide. Raggiunto il suo veicolo sportivo cercò le chiavi nella borsa e solo in quel momento notò qualcosa di strano, una sensazione. Si guardò intorno, e per la prima volta vide le macchine intorno a lei soltanto come ostacoli che non le permettevano la panoramica del parcheggio. La sensazione di essere osservata non riusciva a scrollarsela di dosso. I movimenti del capo facevano degli scatti da una parte all'altra, e il cuore cominciò a batterle all'impazzata.

Perché si stava agitando tanto solo per una semplice sensazione?
Non si diede una spiegazione logica.
Aprí velocemente l'auto con le chiavi ed entrò chiudendo lo sportello in fretta.
Fece un sospiro e deglutí.
Dopo dieci minuti arrivò all'ospedale ed entrò consapevole dei cinque minuti di ritardo causati da quella "sensazione".
Sperò di non trovare Rose nel suo reparto, e si diresse a passo spedito verso il suo studio. Aprí la porta con scritto: "Studio dott.ssa Silvia Wond".

Appena si sedette estrasse dal cassetto della scrivania una cartella blu. Aprí quest'ultima e la lesse attentamente; era la cartella con il quadro clinico della nuova paziente.

Nome= Laura
Cognome= Jemmin
Età= 27anni
Affetta da= patologia momentaneamente sconosciuta.

Dopo aver letto queste parole decise che la patolgia avrebbe voluto definirla lei.
Chiuse la cartella velocemente e la ripose con delicatezza nel cassetto, poi, dopo essersi scostata un ciuffo dagli occhi, si alzó e uscí dalla porta.
Uscendo vide Rose che le veniva in contro ignara della sua presenza. Cosí, appena la vide si bloccò, guardò Silvia con disprezzo e cambiò direzione. A Silvia quella reazione rimase indifferente e senza pensarci due volte si diresse verso la fine del corridoio. Contemplò per qualche secondo la porta che la divideva dalla paziente  e poi la aprí.
Un odore di escrementi le fece rivoltare lo stomaco: non aveva mai sentito una puzza orribile come quella in tutta la sua vita. Fece una smorfia e poi si chiuse la porta alle spalle scuotendo la testa con la speranza di allontanare l'odore. Tutto invano.

Laura Jemmin era rannicchiata sopra al letto con le ginocchia avvicinate al petto, con la testa appoggiata sopra di esse. Appena udí i passi della dottoressa si impaurí e sollevò il capo sgranando gli occhi. I suoi tratti si distesero solo quando vide che si trattava di Silvia. Alzò le sopracciglia e accennò un piccolo sorriso infantile.

«Ciao Laura» le disse Silvia sempre gentilmente.
Poi prese una sedia attaccata alla parete e, trascinandola- ciò provocò un fastidioso rumore- la sistemò di fronte alla paziente.
Si sedette e rivolse un altro sorriso a Laura.
«Come stai?»
Gli occhi di Laura trasparirono all'istante una curiosità infrenabile.
«Sei venuta a piedi?» chiese Laura impaziente.
Silvia scosse la stesta senza riuscir a capire il motivo della domanda.
«No Laura. Non potrei, la mia casa non é vicina all'ospedale...»
«Bene. »
«Perché me lo hai chiesto?»
«Se vieni a piedi sarai indifesa. Sei piccola. Sei troppo piccola. »
«Nei confronti di qualcuno o qualcosa in particolare?»
«Lo sai già » disse annuendo.
«I camion?»
«Shh! Parla piú piano. Potrebbe sentirti!» la rimproverò guardandosi intorno inquieta.
«Sentirmi chi?»
«Il capo dei camion!» disse sussurrando. Poi si avvicinò a Silvia mettendosi in ginocchio sopra al letto. «Ha fatto male a me e a te. Non devi permettergli di farlo di nuovo! Non devi permetterglielo!»

Silvia non comprese.
D'altronde cosa c'era da capire nei confronti di una paziente malata di mente?
Nulla.
«Non lo permetterò se lo desideri. Hai la mia parola.»
«Davvero? Fin'ora non l'hai mai mantenuta.»
«Non mi sembra Laura. Quando mai non l'ho fatto?»
«Tante volte e lo sai. É passato molto tempo dall'ultima volta, e da quel giorno é arrivato il capo dei camion!»
Silvia si massaggiò le tempie. Non riusciva piú a sostenere le parole della paziente. Non riusciva a riflettere sul significato di una parola perché nello stesso momento la paziente diceva altro, altre imcomprensibili frasi.
«Beh, non preoccuparti. Non accadrà piú. Manterrò sempre la parola. Ora, se puoi scusarmi devo proprio andare. » si sforzò di sorridere.

Per quel giorno era già abbastanza.

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