Capitolo 17

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La presa sulla mia mano si fece sempre più stretta. Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma fu tutto inutile.

«Che cose hai ricordato, Daniele?» mi chiese ancora una volta Gabriele, compiendo qualche passo verso di me. Distolsi lo sguardo dal suo e ridacchiai nervosamente.

«Che cosa intendi? Non ricordo quasi nulla» cercai di sdrammatizzare, ma non ci riuscii. Mi aspettavo di vedere il suo volto completamente invaso dalla rabbia e temevo per me stesso, ma più lo guardavo e più mi rendevo conto che sembrava molto più spaventato di me.

«Daniele, dimmi la verità. Perché mi hai chiesto se fossi stato io ad appiccare l'incendio?» Gabriele mi stringeva ancora il polso ed ogni secondo aumentava la sua stretta.

«Lasciami andare Gabriele...» lo intimai, ma strinse ancora la presa sul mio polso. «Mi stai facendo male...»

«Non ti lascio... non fino a quando non mi dirai che cosa hai ricordato!» le sue parole urlate riecheggiarono per tutto il giardino desolato. Attorno a noi c'era solo la campagna, nessun altro poteva sentirci o vederci.

«Vuoi uccidere anche me? Come hai fatto con mia sorella e i miei genitori?!» sentii la rabbia farsi strada dentro di me e crescere a dismisura. Ciò che avevo visto, ciò che avevo ricordato mi faceva venire i brividi. Come potevo averlo amato, come potevo amarlo, nonostante quello che aveva fatto alla mia famiglia?

«Cosa?!» Gabriele sembrava sempre più perplesso «Che cosa stai dicendo? Non potrei mai farti del male... io ti amo Daniele!» urlò ancora un'altra volta. La sua voce, così dolce e potente allo stesso tempo, aveva la capacità di farmi tremare di paura e piacere, come lui desiderasse.

«Se mi ami lasciami andare, mi stai facendo male» gli dissi, cercando di strattonare la mia mano via dalla sua.

«Daniele... non so di cosa tu stai parlando. Non era stato un corto circuito a causare l'incendio?» mi chiese, sostenendo il mio sguardo. Non accennava a lasciar andare la mia mano e quasi rinunciai alla libertà. Distolsi lo sguardo, cercando il modo distrarlo per poter scappare. E se fosse davvero stato lui? Che cosa mi avrebbe fatto, adesso che avevo ricordato?

«Ho avuto una visione. Ero dalla psicologa. Ti ho visto, mentre colpivi prima mia sorella e poi me, tentando poi di soffocarmi» lui non disse nulla e sgranò gli occhi, sorpreso da ciò che gli avevo rivelato. «Che cosa hai fatto Gabriele? Perché l'hai fatto?» la mia voce tremava, mentre volgevo ancora una volta lo sguardo verso il suo volto.

«Non è possibile...»

«Perché? Perché l'hai fatto?» gli chiesi ancora, afferrandolo per il collo della camicia.

«Daniele, calmati. Ti prego. Ascoltami...» la sua presa sul mio polso si allentò. Afferrai il collo della camicia anche con la mano, adesso libera.

«Sono stufo delle tue continue bugie Gabriele! Sono stufo di essere preso in giro continuamente, di sentirti ripetere che mi ami, quando invece hai ucciso la mia famiglia!»

«Non è vero! Non sono stato io!» urlavamo entrambi, ma ciò che mi disse Gabriele mi spiazzò. Stava negando davanti l'evidenza.

«Come puoi dirmi una cosa del genere?! Ti ho visto mentre colpivi mia sorella! Che cosa le hai fatto? Perché mi hai fatto questo?» le lacrime che sgorgarono in quel momento, offuscarono la mia vista. Il volto di Gabriele mi era offuscato, come nel mio ricordo. Il suo volto. Non lo vedevo bene, ma era lui. Era lui sopra di me quel giorno, che tentava di togliermi il respiro.

La testa però prese a vorticarmi all'improvviso. Lasciai andare Gabriele e feci pochi passi indietro. Tutto girava attorno a me.

«Daniele...» la voce di Gabriele che mi chiamava era ovattata. Socchiusi gli occhi e rividi quelle fiamme alte che arrivavano fino al soffitto di quella maledetta stanza. Aprii gli occhi e vidi mia sorella. Laura era in piedi dinanzi a me. Stava piangendo. Era arrabbiata. Anzi, furiosa.

«Come hai potuto, Daniele... come hai potuto rubarmi Gabriele?! Non ti perdonerò mai!» cercai di dirle qualcosa, ma la gola mi sembrava serrata. La voce di mia sorella si confondeva con quella di Gabriele. Socchiusi ancora gli occhi e vidi i miei genitori bruciare. Qualcuno alle mie spalle, mi teneva per la vita e mi stava portando via.

«Dobbiamo uscire di qui!» disse la voce, mentre mi tirava a sé ed io tendevo la mia mano verso Laura, che in ginocchio piangeva, avvolta fra le fiamme. Ricaddi all'indietro. Riaprii gli occhi e rividi mia sorella davanti a me, che mi colpiva il petto spintonandomi all'indietro.

«Non ti perdonerò mai! Ti odio!» mi urlò contro, spintonandomi ancora una volta. Chiusi gli occhi. Le fiamme la stavano divorando. Lei tendeva una mano. Non era verso di me.

«Dobbiamo uscire da qui!» gridò la voce dietro di me. Tendeva la mano verso Gabriele, che mi stava trascinando via.

*   *   *

Quando, finalmente, ripresi conoscenza, mi ritrovai sdraiato sul letto in camera mia. Mi toccai la fronte. Era completamente bagnata di sudore. Spostai un ciuffo di capelli castani, che mi si erano attaccati alla fronte e li riavviai indietro. Quindi mi misi a sedere e, vidi Gabriele addormentato ai piedi del letto. Dormiva sulla sedia della scrivania. Il suo volto pallido era illuminato dalla luce della luna, che, bianca, filtrava dalla finestra. Una leggera brezza fresca smuoveva i suoi capelli. Le sue labbra erano dischiuse e le sue mani, inermi, erano abbandonate sulle gambe, leggermente divaricate. Mi guardai attorno. L'orologio, che avevo sul comodino, segnava che era da poco passata la mezzanotte. Avevo dormito davvero tanto. Mi sentivo così stordito e non capivo, perché fosse rimasto lì con me. Perché non mi aveva ucciso? Eppure ne aveva avuto la possibilità.

Le mani di Gabriele si mossero lentamente e i suoi occhi dorati mi fissarono presto. Scesi immediatamente dal letto ed indietreggiai, fino a sbattere la schiena contro il muro.

«Calmati...» mi disse lui, alzandosi dalla sedia. «Non voglio farti del male Daniele. Credimi!» scossi la testa. Non volevo credergli, ma quel sogno che avevo fatto potevano essere ricordi oppure era solo la mia testa che li produceva, per non accettare la realtà dei fatti. Davvero non lo sapevo. Ero così confuso. Gabriele mi si avvicinò lentamente ed io premetti sempre più la schiena contro il muro, sperando che si aprisse un varco, da dove avrei potuto scappare.

«Daniele, cerca di calmarti. Non ho appiccato l'incendio, non ho ucciso i tuoi genitori e nemmeno tua sorella. Volevo bene a tutti loro. Non avrei mai potuto...»

«Smettila...» dissi bisbigliando a Gabriele, che si avvicinava sempre più a me.

«Non ho appiccato l'incendio, Daniele.»

«Smettila, ti prego...» stavo tremando come una foglia. Non sapevo cosa fare. C'era una parte di me che voleva disperatamente credergli.

«Perché non hai potuto dimenticare? Sarebbe stato tutto più semplice... e non avresti sofferto» mi disse e quelle sue parole mi fecero risvegliare. Riuscii ad evitarlo e corsi giù per le scale. Ricordai la visione che avevo avuto tempo fa. Stavo scendendo le scale, come quella volta. Il sangue colava lungo la mia guancia.

«Daniele!» era la voce di mia sorella Laura. Mi stava chiamando. Non mi voltai e continuai a correre per le scale. Respirai a fondo. Afferrai la maniglia e la girai, facendo scattare la serratura.

La sala da pranzo comparve dinanzi ai miei occhi.

DimenticaWhere stories live. Discover now