Capitolo 6

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Passarono tre settimane dall'inizio dei lavori e la villa era ormai quasi completata. Mancava solo "quella" stanza. La sala da pranzo, dove era iniziato l'incendio. La polizia disse che si trattò di un corto circuito, causato da qualche apparecchio mal collegato o da una presa mal funzionante. Quando in ospedale ricevetti la notizia della morte della mia famiglia, non seppi come reagire. Non ricordavo nulla: i loro volti, le loro voci, il loro carattere. Niente. Restai ammutolito nel fissare Claudia che mi riferì la notizia. Ero seduto nel mio letto d'ospedale. Avevo perso molti chili e massa muscolare. Anche solo sorridere o piangere mi faceva male. In quella situazione non ebbi alcuna reazione. Ero triste, certo. Ma non piansi. Non mi disperai. Era come se fossero morti degli estranei per me. Claudia mi mostrò le loro foto. Notai la somiglianza tra me e mia sorella minore. Ne sorrisi. Fui in qualche modo contento di vederli. Significava che avevo davvero una famiglia. Ma fui preso dal panico, perchè significava che ero solo, che non avevo nessuno. Iniziai a piangere, anche se le convulsioni dovute al pianto, mi provocavano dolori lancinanti su tutto il corpo. Claudia mi abbracciò forte e, in silenzio, mi consolò accarezzandomi il capo.

«Non sei solo, Daniele. Ci sono qui io...» mi ripeteva, mentre continuavo a singhiozzare contro la sua spalla.

L'anno dopo fu davvero tremendo. La fisioterapia fu stancante e dolorosa. Gli esercizi quotidiani erano davvero pesanti. Ogni movimento mi procurava una fitta. Simone mi aiutò tantissimo. Era praticamente lui a farmi fare ogni esercizio a casa e, quando non ne potevo più, lui mi incoraggiava. Quando dicevo di odiarlo perchè mi obbligava a farmi camminare, anche se faceva male, lui mi sorrideva sempre. Mi accarezzava il capo e mi incoraggiava ancora a dare il meglio di me stesso.

Dopo due anni, eccoci l'uno di fianco all'altro nel giardino di fronte l'entrata, ad ammirare la villa nel suo splendore originario. Mi voltai verso Simone e, dandogli una pacca sulla spalla, gli feci i miei complimenti.

«Smettila... abbiamo lavorato tutti insieme. E' merito di tutti e anche tuo se è venuta così bene. Senza le tue indicazioni avremmo fatto un lavoro superficiale. Sei sempre stato bravo nel tuo lavoro, Dani» disse sorridendomi.

«Sei stato un aiuto davvero prezioso, Simone...» contraccambiai il suo sorriso e per un attimo lo vidi guardarmi seriamente in volto. «Cosa c'è?» gli chiesi dubbioso.

Intanto gli operai sfilavano uno dopo l'altro per il giardino, intenti a tornare a casa. Entrambi li salutammo e li ringraziammo, con la promessa che quando tutto si sarebbe sistemato avrei fatto una grande cena alla villa, a cui sarebbero stati di certo invitati.

Simone non rispose alla mia domanda. Distolse lo sguardo e si avviò verso l'entrata della villa. Lo seguii perplesso, ma il suo comportamento era molto strano. Non l'avevo mai visto comportarsi così. Dopo essere entrati nell'ingresso, gli afferrai il polso e lo costrinsi a fermarsi. Lui si voltò verso di me, ma non disse nulla.

«Che ti prende Simone? Che cos'hai?» gli chiesi, continuando a tenergli il braccio. Lui non rispose ed abbassò lo sguardo. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» continuai ad incanzarlo, ma sembrò non voler rispondere alle mie domande. Fui io, questa volta a distogliere lo sguardo da lui. Non capivo cosa stava succedendo e questo mi rendeva irrequieto.

Improvvisamente, Simone si voltò completamente verso di me e senza dire una parola, posò la sua mano sulla mia guancia. Sussultai al suo tocco gentile. Senza che me ne accorgessi, posò le sue labbra sulle mie. Per la sorpresa, lasciai andare la presa dal suo polso. Il braccio cadde senza vita lungo il mio fianco. Avevo gli occhi spalancati, mentre Simone staccava con delicatezza le sue labbra dalle mie. Lo guardai senza dire nulla. Le mie labbra rimasero dischiuse. Simone le accarezzò piano con il pollice.

«Ti amo Dani...» proruppe con quella frase, a cui quasi non credevo di averla udita dalle sue labbra. Mi si bloccò il respiro in gola, mentre, libero dalla mia presa, il suo braccio mi circondò la vita. Mi abbracciò forte. Sprofondai il mio viso nella sua spalla. Sentii il suo profumo. Dolce. Arrossii in quel momento. Pose fine a quell'abbraccio e fissò i suoi occhi nei miei. I suoi occhi verdi. Aveva un'espressione dolce dipinta sul volto. Non avevo mai visto chiaramente il suo volto, ma era davvero ben fatto. I suoi lineamenti, la forma dei suoi occhi, le sue labbra carnose. Mi soffermai brevemente sul suo viso, poichè mi baciò ancora una volta. E ad ogni breve bacio, mi ripeteva «Ti amo». Chiusi gli occhi ed accettai le sue labbra ed i suoi baci. Affondai la mia mano nei suoi capelli, all'altezza della nuca, mentre l'altra mano si aggrappò alla sua schiena. Lo attirai a me e lo obbligai a dischiudere le labbra. Le nostre lingue s'incontrarono, per poi assaggiarsi e deliziarsi l'una dell'altra. Lui mantenne la presa attorno alla mia vita. Eravamo stretti l'uno all'altro e potevo sentire la sua eccitazione nel basso ventre farsi sempre più evidente. Piano mi spinse all'indietro e dopo un paio di passi, sbattei la schiena contro la porta chiusa della cucina. Lui appoggiò una mano contro la porta, mentre con le labbra mi baciò il collo. Respiravo a fatica e nel contempo gemevo di piacere. Simone abbandonò la presa sulla porta e cominciò a sbottonarmi la camicia di jeans. Le sue mani tremavano ad ogni bottone che toglieva dall'asola. Sorrisi e gli accarezzai le mani.

«Scusa...» mi disse, guardandomi rosso in volto «Aspettavo questo momento da tanto tempo... non mi sembra vero...».

Le sue parole sincere mi colpirono in pieno volto. Il sorriso sul mio volto scomparve. Non pensai a nulla quando posai la mia mano sulla sua guancia e attirai il suo volto al mio per baciarlo nuovamente.

«Ti amo» mi disse ancora una volta, prima di torturarmi il collo e poi il petto di baci.

Gemetti più volte e ad ogni suo tocco, ad ogni suo bacio il mio cuore batteva sempre più forte. Strinsi i pugni, per la forte eccitazione che mi stava provocando Simone con le sue labbra. Afferrai la sua maglia, all'altezza del collo e lo costrinsi a tornare a baciarmi le labbra, mentre con le mani gli sbottonavo i jeans. Ci guardammo per un istante. Gli sorrisi con tutta la malizia di cui ero capace e dopo fece di me quello che voleva.

* * *

Il cellulare squillava ormai da svariati minuti. Uscii di fretta dalla doccia e lo afferrai per rispondere alla chiamata.

«Pronto» dissi senza nemmeno guardare il nome di chi mi chiamava sul display.

«Daniele! Ma dov'eri finito?» mi chiese Claudia con un tono di voce fra l'arrabbiato e il preoccupato.

«Sono in bagno Claudia, stavo facendo la doccia...» scossi la testa. Quella ragazza era fin troppo apprensiva. Poi ne sorrisi divertito. Spinsi il tasto del viva voce e poggiai il cellulare sul bordo asciutto del lavandino. Afferrai l'accappatoio e mi ci avvolsi all'interno.

«Come va nella villa? Ti sei ormai stabilito lì, no?» sembrava ignorare di avergli detto di essere in bagno e continuò a parlare come se niente fosse.

«Si, da due giorni. Stranamente, il bagno sembra essere l'unica stanza dove il cellulare prende bene» dissi stupito.

«Bene... quindi ogni volta che ti chiamerò ti immaginerò seduto sul water...» disse lei cinica e, dopo, scoppiò in una fragorosa risata. Accompagnai quella risata con la mia. Sapeva essere divertente e riusciva sempre a sdrammatizzare ogni situazione.

Dopo quello che era successo fra noi, Simone tornò a casa nella città vicina. Lavorava nella mia ditta e doveva finire dei progetti rimasti in sospeso. Fui quasi sollevato che fosse lontano. Dovevo riflettere in tutta tranquillità. Anche Gabriele sembrò sparito. Ero confuso. Di simone sapevo quasi tutto, mentre Gabriele restava ancora un mistero.

«Claudia...» iniziai a dire pensando che lei potesse essersi d'aiuto.

«Dimmi» disse lei incalzandomi a parlare. Esitai, ma volevo sapere di più su Gabriele e questo bastò per far cadere la mia esitazione.

«Per caso ti ho mai parlato di un certo Gabriele Lucchetti nel passato? Si, insomma... prima che succedesse l'incidente...» rimasi in trepidazione, mentre attendevo la sua risposta.

«Mmh...» mugugnò Claudia. Ci stava pensando, ma non mi rispondeva. Avevo bisogno di sapere, quindi pregai affinché Claudia sapesse qualcosa.

«Gabriele Lucchetti hai detto?» mi ripetette e, quasi urlando, confermai quel nome.

«Come mai me lo chiedi?» mi disse lei in tono neutro.

«Lo conosci?»

Dopo tanta esitazione finalmente rispose alla mia domanda.

«Gabriele Lucchetti è il nome del ragazzo che ti ha salvato dall'incendio».

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