Capitolo 12

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Indietreggiai di qualche passo. Dischiusi le labbra. Avrei voluto urlare, ma non riuscivo ad emettere nessun suono. Ero terrorizzato da ciò che avevo sentito. Non potevo crederci. Il labbro inferiore prese a tremare e gli occhi mi si offuscarono. Stavo per piangere? Cosa stava succedendo alla mia vita? Non riuscivo a capire. Non riuscivo a comprendere come avessi potuto innamorarmi del fidanzato di mia sorella. Come avevo potuto? Come aveva potuto Gabriele non dirmi niente?! La rabbia prese il sopravvento sulla paura.

«Da-Daniele...» fu Gabriele a parlarmi. Lo guardavo. In silenzio. Immobile. Sentii un'altra fitta al cuore. Ancor più dolorosa. Il nome sulle sue labbra aveva ancora un suono così dolce. Avrei voluto che lo ripetesse. Avrei voluto che mi dicesse che avevo capito male. Ma più guardavo il suo viso e più mi rendevo conto che era tutto reale. Era pallido il volto di Gabriele. I suoi occhi erano spalancati. Anche lui provava tanta paura. Il respiro mi divenne sempre più irregolare. Il mio petto si contraeva troppo velocemente. Non riuscivo a respirare. Indietreggiai ancora di qualche passo.

«Daniele, che cosa succede?» Claudia allungò una mano verso il mio braccio, ma lo ritrassi immediatamente. Dal suo volto traspariva solo incertezza. Lei non sapeva che mi ero innamorato dell'amore di mia sorella. Di mia sorella morta. Serrai la mascella e, voltandomi, corsi all'interno della villa.

«Daniele! Aspetta!» sentii la voce di Gabriele, ma non gli detti ascolto. Corsi veloce verso l'ingresso. Sentii il brusio degli invitati. Sicuramente, si chiesero cosa stava succedendo. Me li lasciai alle spalle e continuai a correre. Raggiunsi l'ingresso e, varcata la soglia, mi diressi verso le scale. A grandi falcate raggiunsi la camera di mia sorella. Avevo il respiro corto. Cercai di calmare il mio cuore, che ormai batteva troppo veloce. Mi fermai qualche secondo sulla soglia e mi poggiai allo stipite, prima di proseguire verso il suo letto. Non sapevo bene come, ma sotto il suo letto doveva esserci una scatola azzurra. Forse fu un ricordo dimenticato, ma sapevo che lì avrei trovato delle risposte. In quella scatola lei era solita tenere gli oggetti a cui era legata affettuosamente. Mi ricordai in quel frangente, che da piccolo ero solito rovistare in quella scatola e, per farle un dispetto, leggevo il suo diario.

Mi precipitai ai piedi del letto, sollevai di poco la coperta sul bordo del letto e toccai il pavimento sotto di esso. Dopo un paio di tentativi, riuscii a trovare la scatola. La trascinai fuori dal suo nascondiglio e me la posi fra le ginocchia. Restai in ginocchio a guardarla in silenzio. Non volevo profanare qualcosa di così sacro per mia sorella. Mi sembrava di profanare la sua stessa tomba. Deglutii il nodo che mi si era formato in gola e aprii la scatola. Vi trovai all'interno dei biglietti del cinema, dei fogli e poi delle foto. Una con noi due bambini, un'altra uguale a quella che avevo anche io sulla mia scrivania. Eravamo adulti ed io avevo il braccio posato sulle spalle. Sorridevamo felici, con gli stessi occhi gioiosi e con lo stesso identico colore azzurro. Sfogliai ancora le foto ed i miei occhi si spalancarono ancora una volta. La paura venne ad impossessarsi ancora di me. Ripresi a tremare e a respirare con fatica.

« Non può essere...» dissi a voce alta, mentre stringevo fra le dita quella foto. Gabriele e mia sorella Laura che si stringevano l'uno all'altra. Sorridevano guardando l'obiettivo della fotocamera. Si abbracciavano così stretti. Lei posava il capo sul suo petto, mentre lui le appoggiava il mento sui suoi capelli.

Le lacrime non riuscirono più a contenersi e cominciarono a sgorgare dai miei occhi come fossero due fiumi. Mi accovacciai per terra, lasciando andare la foto. Poggiai il viso sull'avambraccio e preso dai singhiozzi, non mi resi conto che qualcuno mi aveva raggiunto nella stanza. Sentii una mano posarsi sulla mia schiena.

«Daniele...» era la voce di Gabriele. Sollevai immediatamente il viso e fulminandolo con lo sguardo, strattonai la sua mano.

«Non toccarmi!» gli urlai. Vedevo il suo volto dispiaciuto e la sua mano che rimaneva a mezz'aria, come se non sapesse più cosa fare. «Come hai potuto mentirmi?! Come hai potuto, Gabriele?»

Lui dischiuse le labbra, ma non emise nessun suono, nessuna parola. Abbassò lo sguardo e vide la foto che lo ritraeva con mia sorella abbandonata accanto a me. La raccolse e la guardò a lungo. Lo vidi accarezzare il viso di Laura ed un'altra fitta violenta mi colpì in pieno stomaco.

«Mi dispiace, Daniele. Mi dispiace così tanto...»

«Di cosa?! Di cosa ti dispiace? Di avermi mentito?! Di avermi preso in giro?!» ormai urlavo. Non riuscivo più a controllare il tono della mia voce.

«Avrei dovuto dirtelo. Ho sbagliato e... me ne pento...» disse accarezzando ancora la foto fra le sue mani. Poi, all'improvviso, alzò lo sguardo verso di me. «Avrei dovuto dirti di Laura e me, ma ascoltami, ti prego...»

«Non voglio ascoltarti! Mi riempirai la testa di scuse ed io... finirò col crederti...» continuai a piangere. Non riuscivo a calmarmi.

«Ti prego... ascoltami... non è come tu pensi. La realtà è diversa Daniele!»allungò la mano verso la mia, che poggiava per terra, ma la scacciai in malo modo.

«Non toccarmi...» dissi con poca convinzione, ma lui sembrò rispettare il mio volere. Abbassò ancora una volta lo sguardo sulla foto.

«La realtà è diversa. Devi ascoltarmi Daniele. Io ti amo davvero...»

«Smettila... smettila! Non voglio ascoltarti, non voglio!» scossi violentemente il capo e chiusi gli occhi. «Vattene Gabriele! Non voglio vederti mai più!»

«Daniele... no! Ti prego...» m'implorò e si sporse verso di me, ma io mi spostai immediatamente. Non riuscivo più a tollerare la sua presenza in quella stanza.

«Vattene!» gli urlai contro. Guardai il suo volto, contratto dalla tristezza. Sospirò e si alzò dal pavimento, dove era inginocchiato. Posò la foto per terra accanto a me e per qualche secondo, restò a guardarmi, senza dire nemmeno una parola..

«Se vorrai ancora parlarmi, cercami. Voglio spiegarti cos'è successo...» mi disse, poco prima di andarsene. Vidi Claudia entrare poco dopo nella stanza e, in fretta, si accovacciò vicino a me e mi cinse in un dolce abbraccio. Mi aggrappai a lei con tutte le mie forse e piansi, ancora e ancora, fra le sue braccia. Lei mi cullò, silenziosa. Non mi chiese cosa fosse successo, ma immaginavo che dalle nostre urla, avesse compreso cosa stesse accadendo.

«Claudia, mi dispiace...» dissi singhiozzando.

«Tranquillo. Piangi adesso e dopo ne parleremo...» mi disse accarezzandomi la schiena. 

DimenticaWhere stories live. Discover now