Ritratti

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So che di solito non scrivo nulla prima di pubblicare, ma oggi voglio spendere due parole a favore di questa giornata. Per chi non lo sapesse, il 17 maggio è la giornata contro l'omofobia. Io stessa, essendo lesbica, mi sento chiamata in causa. Anche prima di capirlo, quando ero fermamente convinta di essere etero, sono sempre stata contro gli omofobi. L'amore è amore, nelle sue forme, nei suoi tipi. Non conta se fra due donne o fra due uomini o se fra un uomo e una donna. Spesso vedo coppie etero che nemmeno durano, coppie che stanno insieme a convenienza, e mi rendo conto che è assurdo. Non c'è cosa più pura dell'amore, da chiunque e verso chiunque sia provato.
L'amore esiste. L'amore è guardare una persona negli occhi e renderti conto che lei è la persona che vuoi. L'amore è abbracciare una persona e sentirti a casa. L'amore è non poter più fare a meno di una persona perché ti fa stare bene. L'amore è sorridere all'improvviso pensando a quella persona. L'amore è non volere nessun altro, perché nessuno sarebbe all'altezza della persona che ami. L'amore è capire che, dopo aver guardato quella persona negli occhi, nessuno potrà mai prendere il suo posto.
Ed io, tutto questo, l'ho provato verso una ragazza.
Dopo queste parole, vi lascio alla one-shot

Non era altro che un'artista di strada, una barbona a detta di tanti, non aveva tanto nella sua valigetta: tanti fogli, matite di vario tipo, qualche pennarello e pastello per dare un tocco di colore ai disegni che faceva. Spesso ritraeva persone che vedeva per strada, persone nei loro gesti quotidiani, o panorami. Con un solo sguardo ricordava anche il minimo dettaglio. Vagava per tanti posti, una nomade che si guadagnava da vivere facendo quello che più amava al mondo: disegnare.
In ogni luogo disegnava tanto, arrivando anche a 50 o 60 disegni, e li vendeva unicamente in una città diversa da quella dove nascevano quelle opere d'arte.
Girava il mondo, e le bastava.
Era seduta per terra, davanti ad una chiesa, mentre buttava giù un bozzetto di quel monumento, quando vide passare una ragazza.
Rimase a bocca aperta.
Era magnifica.
Pelle abbronzata, capelli lunghi neri semi raccolti con shatush celeste e blu, le labbra dipinte di rosso e gli occhi azzurri delineati da eyeliner, che li faceva risultare ancora più belli, più ipnotici. Il fisico era perfetto, coperto da un paio di eleganti shorts neri e una camicia leggera in pizzo rosa cipria, che lasciava intravedere il top corto a fascia nero sotto. E a slanciarla ancora di più c'erano un paio di decoltè in tinta con la camicia.
Prese un altro foglio rapidamente, ed iniziò a ritrarla.
Una volta finito, lo osservò per qualche secondo, prima che una signora la distraesse per chiederle il prezzo di un disegno.
Mise rapidamente nella valigetta il ritratto di quella ragazza che quasi le sembrava un angelo e servì la signora, che comprò due disegni.

I giorni passarono, lei continuava a girare di città in città. Rimaneva nello stesso posto massimo un paio di settimane, poi si spostava.
Vide tante persone, girò almeno altre sei città, erano passati vari mesi, eppure quella ragazza le era rimasta impressa. Aveva fatto un secondo disegno simile al primo da tenere per sé, perché non poteva affatto permettersi di dimenticarla un giorno. Spesso la notte era rimasta sveglia a pensare, chiedendosi come fosse possibile che non riusciva a smettere di pensarla.
Forse si era innamorata? No, era impossibile si diceva. Non poteva essere lesbica. Eppure era così bella, sensuale, con uno sguardo magnetico.
E puntualmente, ogni notte, si diceva di smetterla di pensarla, che tanto era andata. Non avrebbe mai potuto reincontrarla.
Quel giorno si svegliò in uno squallido breads and breakfast. Mangiò qualcosa al volo, e poi tornò per strada.
Era l'ultimo giorno in quella città e si sarebbe dedicata unicamente alla vendita dei disegni, perché non ne aveva venduti abbastanza, almeno secondo le sue idee.
Cambiò strada, scegliendone una più turistica.
Circa ad ora di pranzo, aveva venduto abbastanza e stava pensando di spostarsi, ma si bloccò quando la vide.
Sbattè più volte le palpebre, convinta fosse un miraggio, ma era lì.
Indossava un vestitino rosso con corpetto a cuore tempestato di piccole gemme nero/grigie. Aveva anche quel giorno indossava i tacchi, quella volta neri lucidi. Indossava occhiali da sole neri ed era al cellulare.
Sentì il cuore iniziare a battere all'impazzata.
Era forse un segno del destino?
No. Era inutile si prendesse in giro da sola. Sicuramente era ricca quell'angelo, e poi non era possibile fosse lesbica. E non sapeva nemmeno lei se lo fosse o meno.
Prese un foglio piccolo e disegnò qualcosa per distrarsi, per non pensare che quella ragazza fosse poco distante da lei.
"Ciao. Mi diresti i prezzi dei tuoi disegni? Sono magnifici. E vorrei sapere, disegni anche su ordinazione?", chiese una voce femminile.
Alzò lo sguardo e s'impose di non rimanere incantata quando si accorse che era la ragazza che per mesi le riempiva i pensieri.
"Ehm... I piccoli €7 e i grandi €15. E dipende dal soggetto. Disegno solo quello che m'ispira", rispose perdendosi nell'oceano che erano i suoi occhi.
Aveva tolto gli occhiali da sole, mettendoseli in testa a mo' di cerchietto.
"Ho trovato casa qui. Ed è tutta sui toni del nero, bianco e rosa chiaro. Quindi cerco qualcosa che sia di questi toni".
"Prova a guardare fra questi che già ho. Magari trovi qualcosa. Se poi vuoi qualcosa in particolare devi dirmelo subito e ritirare entro stasera perché domani parto", rispose, pentendosene subito quando si ricordò del suo ritratto.
Cercò di non pensarci, si disse che magari non l'avrebbe visto.
"Dio, ma sei bravissima! Li prenderei davvero tutti!", disse la ragazza dagli occhi blu.
"Se te lo puoi permettere", rispose, anche se era abbastanza ovvio potesse.
La mora non rispose, ma ad un tratto si bloccò completamente quando vide il ritratto che le aveva fatto.
"Ma... Questa sono io... Come hai... Insomma... È sensazionale, ma... Quando me lo avresti fatto... È la prima volta che ci vediamo", disse confusa, ma impressionata.
Quel ritratto le piaceva da morire, era davvero magnifico, ma non capiva come avesse fatto a farglielo.
Guardò quella ragazza afroamericana dalla pelle mulatta e dagli occhi praticamente neri, aspettando una risposta.
"Non sto mai in un posto fisso, sto girando di città in città, amo disegnare, catturare ogni dettaglio, persona, panorama che mi colpisce. A volte è anche un peccato venderli, ma altrimenti non potrei viaggiare. Sono un'immigrata e già è tanto che riesco a sopravvivere così. E credo circa tre mesi fa, ero in una metropolitana e tu sei passata. Mi sei rimasta impressa e subito ho sentito l'impulso di farti questo ritratto".
"Come tu chiami?", chiese la mora all'afroamericana.
"Amaya. E tu?".
"Regina".
"Credo non ci sia nome più indicato per te", disse la mulatta.
"È quasi ora di pranzo. Mi onoreresti della tua presenza a pranzo?", chiese Regina porgendole la mano. "M'incuriosisci, e vorrei conoscerti meglio".
Amaya rimase a bocca aperta, e il suo cuore prese a battere a mille.
"Io... Vorrei... Ma... Cioè... Tu sei così bella, sofisticata, elegante... Io sono una barbona, per nulla curata... Sarebbe vergognoso".
"Va bene. Allora andremo a comprare qualcosa da asporto e andiamo a mangiarlo in spiaggia. Vieni, ho la macchina non tanto lontana da qui".
Ripose tutto nella valigetta, preparò lo zaino e seguì Regina alla macchina. Rimase a bocca aperta vedendo la Porche nera lucida verso cui si diresse.
"Wow...", sussurrò la mulatta.
"Scommetto tu non sia mai salita su una macchina del genere", disse la mora ridendo dolcemente.
"No... Non sono nemmeno mai salita in una macchina", rispose.
"Allora ti porterò dove preferisci in macchina. Così ti faccio vedere com'è bello".
"No, ma non devi preoccuparti per me", disse Amaya a disagio. "E poi dopo pranzo devo assolutamente tornare a vendere".
"Li compro tutti io. Così non hai altre scuse per passare il resto della giornata con me".
L'afroamericana rimase muta, sapendo che Regina aveva ragione.
"Ora passiamo un attimo da casa mia, così mi metto qualcosa di più casual e prendo i teli mare, in modo che la sabbia non ci dia problemi", l'avviso.
"Certo, non ci sono problemi".
Arrivarono in periferia, e cemento e strade lasciarono spazio a prati e villette.
"A che pensi?", chiese Regina.
"A quanto tutto questo sia magnifico", sussurrò la ragazza dagli occhi neri.
"Beh, non è detto che tu non possa vivere di questo, sai?", disse la mora.
"Il fatto è che non so se mi piacerebbe davvero... Insomma, è magnifico, ma passare la vita in un solo posto? Non è per me. Amo viaggiare, catturare tutto in un disegno, vedere che gli altri apprezzano ciò che faccio, capisci?".
Regina annuì tristemente.
"Quindi domani riparti? Lo vuoi davvero?".
"Ho il treno prenotato", disse Amaya.
"Capito. Siamo arrivate. Scendi", disse scendendo dalla macchina.
La mulatta la seguì, confusa.
Entrarono dentro casa e rimase davvero a bocca aperta nel vedere quella casa.
Era immensa, magnifica.
"Vuoi qualcosa da bere? Un po' d'acqua o un po' di champagne?".
"Magari un po' d'acqua, grazie", rispose sentendosi improvvisamente a disagio.
Mai nessuno aveva fatto una cosa del genere per lei, non era mai stata a casa di qualche compratore. Se poi aggiungeva il fatto che quella ragazza le faceva provare strane sensazioni, si capiva facilmente che in quel momento avrebbe preferito essere altrove.
"Vuoi qualcosa da indossare anche tu? Magari qualcosa ho. Potresti aver caldo vestita così giù alla spiaggia. Il sole è forte in questi giorni".
"Grazie, ma sto bene così, davvero".
"Sei tesa", disse Regina lasciando sul tavolo il calice di champagne che si era riempita.
"Non è vero", disse l'afroamericana indietreggiando.
Si ritrovò spalle al muro, con quel diavolo travestito da angelo che la fissava con quei diamanti quali erano i suoi occhi.
Quello sguardo era così intenso che le venne la pelle d'oca.
"Allora perché sei scappata da me? Ti sei allontanata subito".
Amaya fece un passo avanti, avvicinandosi a lei, con aria di sfida.
"Bene. Dicevi?".
Regina sorrise furba.
Si avvicinò ancora più a quella ragazza che stava continuando a stupirla.
"Vedo il tuo sguardo che non resta fermo, mi accorgo che il tuo corpo trema, è scosso da brividi ogni volta che casualmente ti sfioro. C'è qualcosa di te che mi attrae, so che non ti lascio indifferente come tu non lasci indifferente me. Ti farò cambiare idea, dopo questa giornata non potrai più far a meno di me, non partirai", le sussurrò all'orecchio prima di uscire dalla cucina.
Rimase lì, immobile, col cuore a mille.
Aveva tante cose a cui dover pensare su quelle parole, erano tante le emozioni che avrebbe dovuto provare, ma solo il pensiero era che quell'angelo fosse lesbica, l'unico sentimento che le innondava il cuore era la gioia.
Si guardò in giro, e dopo poco fu attratta dal pianoforte nel salone.
Non resistette.
Lo raggiunse e rimase ad ammirarlo, sfiorarlo come se fosse l'oggetto più prezioso del mondo.
"Sai suonare il pianoforte?", chiese Regina da dietro, poggiandole le mani sui fianchi.
"Mi hai fatto prendere un colpo", disse Amaya cercando di regolarizzare il respiro e il battito del cuore.
"Scusa, non volevo. Ma ora rispondi alla mia domanda".
"No, ma mi sarebbe sempre piaciuto imparare", disse la ragazza dagli occhi neri.
"Ti prometto che t'insegnerò, ma ora andiamo".
Passarono il pomeriggio a ridere, scherzare, conoscersi, lanciarsi frecciatine... Sarebbe stato difficile per entrambe lasciarsi, rischiare di perdersi.
Dormirono abbracciate.
Amaya pensava di rimanere, sapeva che non sarebbe riuscita a vivere senza quella ragazza che la stava stringendo forte. Pensava di rinunciare a quella che era la sua natura, smettere di viaggiare e acconsentire a rimanere con lei in quella villa e disegnare qualsiasi cosa per lei, imparare a suonare il pianoforte, scoprire quanto potesse essere bello amare qualcuno, perdersi sempre nei sui occhi, azzurri come il più limpido dei mari e profondi come il fondale più buio dell'oceano.
Regina pensava che si era illusa, non avrebbe mai potuto trattenere un'anima libera come lei, che era giusto lasciarla andare, conservare di lei solo il ricordo, quei disegni magnifici, quel ritratto che la raffigurava alla perfezione.
Entrambe passarono la notte in bianco, piccole gocce, argentate alla luce della luna, cadevano sulle loro guance.
Entrambe continuavano a farsi ipotesi, cercare un modo per non separarsi nonostante le loro vite fossero così opposte.
Entrambe si chiedevano come avrebbero fatto a viver l'una senza l'altra.
La mattina arrivò e Regina l'accompagnò alla stazione, pur di non perdere un secondo con lei.
"Questo è un addio?", le chiese con gli occhi azzurri lucidi e rossi.
"Possibile", disse cercando di rimanere indifferente.
Non poteva rinunciare a quella vita, non poteva rinunciare al suo sogno.
Regina prese un respiro profondo, e senza chiedere, senza dire una parola, le catturò il viso fra le mani e fece scontrare le loro labbra.
Si baciarono con passione, era un bacio urgente, un bacio che parlava al posto della voce, che esprimeva la loro voglia di possedersi, di non perdersi.
Si staccarono, ansimanti.
"Tornerò da te", disse Amaya poggiando la fronte su quella ragazza di fronte a lei.
"Cosa?!", disse Regina sorridendo.
Era un sorriso così dolce, così felice, che la mulatta non potè non sorridere anche lei.
"Tornerò sempre qui, dopo ogni viaggio, tornerò da te, perché non posso perderti".
La ragazza dagli occhi azzurri la baciò ancora, e ancora, sigillando quella promessa, fino a che l'afroamericana non dovette salire sul treno.
"Amaya, ci vediamo qui fra due settimane. Ti aspetto".

Pezzi di cuoreHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin