-Peeta- dico con dolcezza. -Durante l'intervista hai detto che hai una cotta per me da sempre. Da sempre quando?
-Oh, vediamo. Credo dal primo giorno di scuola. Avevamo cinque anni. Tu indossavi un vestito rosso scozzese e i tuoi capelli... erano pettinati in due trecce invece di una. Mio padre ti indicò mentre aspettavamo di metterci in fila- dice Peeta.
-Tuo padre? Perché? - domando.
-Mi disse: "vedi quella bambina? Volevo sposare sua madre, ma lei è scappata con un minatore di carbone"- risponde lui.
-Cosa? Te lo stai inventando!- esclamò.
-No, è vero- Mi assicura Peeta -E gli chiesi: "Un minatore di carbone? Perché ha voluto un minatore di carbone se poteva avere te?" Lui rispose: "Perché quando canta... si fermano ad ascoltare perfino gli uccelli"
-Questo è vero, lo fanno. Voglio dire, lo facevano- dico io. Sono sbalordito e sorpresa e commossa, pensando al fornaio che diceva queste parole a Peeta. Mi viene da pensare che la mia riluttanza a cantare, il mio rifiuto della musica, forse non dipendono dal fatto che mi sembrano una perdita di tempo. Forse mi ricordano troppo mio padre.
-Poi quel giorno, alla lezione di musica, la maestra ha domandato chi sapeva la canzone della valle. La tua mano si è alzata di colpo. Lei ti ha messo su uno sgabello e ti ha fatto cantare per noi. E lo giuro, ogni uccello fuori dalle finestre si è zittito- dice Peeta.
-Oh, per favore- protesto io ridendo.
-No, è successo. E appena la canzone è finita, ho capito che ero spacciato, proprio come tua madre- prosegue lui. -Poi, per i successivi dodici anni, ho tentato di trovare il coraggio di parlarti.
-Senza riuscirci- Aggiungo io.
-Senza riuscirci. Quindi, in un certo senso, il fatto che il mio nome sia stato estratto alla mietitura è stato un vero colpo di fortuna- dice Peeta.