sᴇ ʟᴇ ᴍɪᴇ ᴏssᴀ ғᴏssᴇʀᴏ ᴠᴇᴛʀᴏ ᴛɪ ᴄʜɪᴇᴅᴇʀᴇɪ ᴅɪ ɢᴇᴛᴛᴀʀᴍɪ ᴀ ᴛᴇʀʀᴀ

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...

Yoongi giunge a Seul nel tardo pomeriggio e come appoggia la suola di gomma dei suoi anfibi sul cemento nero d' inquinamento, tutto torna a farsi vivido e riacquisisce stabilità. La testa si ferma e smette di girare. Le foto scorrono rapidamente nella memoria del rullino della macchina fotografica e una sensazione confortante come, quella di un bagno caldo  ribollente di bolle di famigliarità, percorre il suo corpo da capo a piedi, circondato da quei vertiginosi palazzi e lo sfrecciare frenetico e compulsivo delle auto sulle ampie strade che, come fosse arterie, percorrono in profondità, da cima a fondo, quel grande corpo sistemico e perfettamente organizzato che è Seul.
Yoongi finalmente può crogiolarsi nella rassicurante percezione di sè come di un elemento minuscolo e  insignificante. Per un secondo si compiace in quella pace cosmica che gli è assicurata dalla certezza che la sua esistenza è irrilevante, se non un po' patetica, per decidere le sorti dell'Universo. La sua è un'esistenza predestinata, il fato che incombe sulla vicenda personale si manifesta come un filo conduttore di elettricità che circumnaviga l'intero globo, per poi capitare di ritrovarsi sempre li, esattamente nello stesso punto di partenza.
Sembra che, lì a Seul, il tempo si sia fermato molto prima, distorto e attorcigliato su se stesso. Più linee temporali diverse procedevano separate dentro alla bolla immobile del tempo principale. Poi, si è scomposto in pezzi disordinati, lanciati per aria e lasciati cadere al suolo come coriandoli riflettenti di una festa di compleanno di un bambino. le lancette sui quadranti degli orologi girano velocemente ruotando in senso anti-orario. scene quotidiane, volti, discorsi consumati fra i denti, masticati e sputati con rabbia, impegni rispettati e promesse mai mantenute, ritardi accumulati gli sfilano davanti a gli occhi come buffoneschi carri di carnevale.
Ai ricordi luminosi e colorati a festa si contrappone il bianco pungente di un secco pomeriggio di Marzo, come le espressioni ottuse, appiccicate sui volti smorti e decadenti dei passanti.
Le strade sono ricoperte da un sottile manto nevato, grigito e spinto sui bordi dei marciapiedi.
Alza la testa e osserva il cielo senza sole. Si sente intorpidito e senza direttiva. Il bianco di quel cielo gli ferisce gli occhi.

Ora, Yoongi, ha due opzioni: tornare a casa da Namjoon o andare direttamente all'ospedale da Jimin.
Ha sentito Taehyung mentre era sul treno e, non si sa come, è riuscito a tranquillizzarlo riguardo le condizioni di Jimin. Sapere sempre cosa dire  per porsi come figura di riferimento a cui affidarsi nelle situazione più disparate era una prerogativa tipica di taeyhung che Yoongi invidiava molto.
Gli ha detto che ancora non ha ripreso conoscenza ma che è vivo.
Yoongi vorrebbe essere abbastanza forte per riuscire ad affrontare l'immagine di Jimin disteso sul letto d'ospedale e dovrebbe essere capace di accettare le responsabilità che pesano sulle sue spalle come quei kili di neve che rivestono i tetti delle case. Ma Yoongi non è un ragazzo forte, non quanto Jimin, e ha paura è terrorizzato.
Solo l'idea di posare gli occhi sul suo viso cereo gli fa rivoltare lo stomaco. Sa che quello che lo aspetta in quel viso è un confronto, un impietoso specchio rivelatore. Non è ancora pronto ad incontrarsi e a conoscersi così in profondità.
Quindi, volta a sinistra e si incammina verso l'entrata della metropolitana che lo condurrà esattamente a tre isolati da casa sua. Gli fa uno strano effetto rinominarla come "casa sua", ma gli piace come cada dolcemente sul palato, ha un sapore di cioccolata calda che gli avvolge la lingua e gli scalda il petto. Ma, mentre cammina silenzioso e rapido come uno spettro, capisce che qualcosa non rientra perfettamente nello schema generale della sua memoria. È come se gli angoli del suo corpo non combaciassero più con le forme morbide e allungate della silhouette melodiosa della città.  Come se tutto fosse fatto di metallo prezioso e lui fosse economico e fragile vetro opaco.  Le suole delle sue scarpe non marchiano il cemento e non lasciano impronte dimostrative della sua presenza. Più cammina e più si rende conto che è diventato un corpo estraneo, un agente patogeno che si è introdotto non invitato in quell'organismo così pragmatico . Un sinistro presentimento gli fa chiedere tra sè quando il sistema immunitario l'avrebbe espulso. Questa sensazione però si scontra con il ricordo accuratamente riposto tra le pieghe della memoria dei suoi giorni passati a Seul, quando quelle stesse strade erano la rappresentazione movimentata e frenetica della parte più felice della sua vita. Quando la notte era friabile e scura. La città caotica. Nelle sue vene fluiva alcol trasparente. Il suono della sua risata rompeva l'aria e la sua mano stringeva dolcemente quella piccola e paffuta di Jimin. Rideva anche lui, nelle sue vene abbondava lo stesso liquido dal gusto intenso, i suoi occhi arrossati e le sua fronte salata, inumidita da gocce di pioggia fine fine.  erano due ragazzi fra quelle strade dalle pareti vertiginose, disturbanti e irriverenti parassiti di un sistema sprezzante. Erano ambizioni imbottigliati nel soju, ma straripanti, si riversavano su tappeti di tristezza che odoravano di fondi di bottiglia. Lo sguardo correva indipendente sulla superficie delle acque sporche e placide del fiume Han e le menti altrove. Lontane da ogni teoria e percezione di tempo e spazio. Legate assieme l'una all'altra da fili di morbido cotone rosso.

current mood- YoonminWhere stories live. Discover now