Capitolo 33

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Ticchettai le dita sulle mie labbra ormai truccate, le unghie laccate di turchese che si avvicinavano al corallo satinato.

A malapena mi trattenevo dal mangiarle, quelle maledette unghie. Era sempre stato un vizio che mi portavo fin da piccola, per scaricare la tensione, o almeno per illudermi di star scaricando la tensione, e quel giorno ne avrei davvero avuto bisogno. Non sapevo come fosse possibile che restassi ancora in piedi, senza aver subito un esaurimento nervoso da parte del mio cervello, dopo quelle settimane prive di un allenamento costante e, soprattutto, di un costante equilibrio nella mia vita.

Era tutto un sovraccarico di emozioni, di cuori palpitanti - e spezzati -, di battibecchi, litigate, sguardi, baci. Era stato un tumulto che mi aveva travolta dalla testa ai piedi, che non ero riuscita a gestire. Tutto quel traffico, nella mia mente e non, a cui non ero abituata, come tutte quelle fan, tutte quelle attenzioni da parte dei giornalisti, tutte quelle ore in macchina, tutte quelle palazzine grige intorno, tutto quel frastuono. Cose a cui non ero abituata, decisamente.

Come non ero abituata ad essere truccata, smaltata e vestita come una confezione di confetti.

Sentivo il fondotinta pesante sulla pelle, una maschera incollata al mio viso che non voleva staccarsi. Le ciglia impastate nel mascara, i capelli ancora sciolti, prima di essere sottoposta alle abili mani della parrucchiera. Li avrei volentieri legati in una coda e non mi sarei sottoposta a quella tortura, perchè, in ogni caso, sapevo che non avrei partecipato a quell'occasione.

Eppure, in un modo o nell'altro, fino all'ultimo restavo indecisa. Un secondo prima volevo dar retta alle parole che mi aveva ripetuto fino a quella mattina mio padre, al suo sguardo apprensivo e premuroso, spaventato per lo squarcio enorme che mi si apriva nel petto, man a mano che passavo il tempo lì a New York.

Un secondo dopo, mi convincevo di restare fino alla fine, di sentire Harry pronunciare le sue promesse e quel 'sì'. Me lo immaginavo impacciato a tenere il foglio tra le mani, gli occhi verdi che saettavano sulle parole che era sempre stato abile a scrivere, a comporre insieme come se fosse un puzzle perfetto. Avrebbe incantato tutti, avrebbe conquistato ogni cuore in quella maledetta sala. Forse era quello, il motivo per cui sarei voluta essere lì.

Anche se il mio, di cuore, l'aveva conquistato da un pezzo.

Per l'ultima, ultimissima volta, mi sarei crogiolata in quelle parole e le avrei ascoltate come se fossero state dedicate a me stessa, piuttosto che alla sua promessa sposa. Volevo avere l'impressione di poter rivivere le stesse emozioni che avevo provato in quella camera da letto, con Harry insieme a me, mentre condividevamo qualcosa che aveva elevato il nostro rapporto a qualcosa di superiore, qualcosa che sarebbe potuto essere speciale. Ma solo per me.

Non riuscivo a comprendere se fosse una prepotente forma di sadismo nei miei stessi confronti o se volessi impormi di essere coraggiosa e forte, lì, sull'altare, a pochi passi da lui, accanto alle altre damigelle.

Era una forma differente di maschera, rispetto a quella che mi era stata applicata sul viso; non basata sull'apparenza, ma sui sentimenti. Che espressione avrei avuto, durante tutta la cerimonia? Probabilmente non quella che ci si aspetterebbe su una damigella, felice di partecipare a quell'unione.

'Felice' non era esattamente il sentimento che sentivo di potermi appropiare.

'Felice' non lo sarei stata di certo.

Nemmeno felice per lui. Nemmeno felice per lei.

In quanti pezzi si sarebbe sbriciolato ciò che restava del mio cuore?

Ci sarebbe stato qualcuno lì a raccoglierli...?

Temevo di no. E se fosse successo, non ci sarebbe stato chi avrei voluto.

Il matrimonio del mio migliore amicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora