18 - Axel

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Sbatto gli occhi sbalordito e corrugo la fronte offeso. Ma che gli prende a Maxon?

«Ti ho detto che devi andartene subito Axel. Come ci sei arrivato qui?» sbotta mio fratello intanto che mi alzo e mi pulisco il fondoschiena dalla polvere. Gli rivolgo un'occhiataccia e sbuffo arrabbiato: «Ma che modi sono. Guarda che io volevo solo giocare con te, sai? Ieri ti ho seguito e ho visto che sei venuto qui. Chi è quella bambina?» domando indicando la bimba alle sue spalle, ancora intenta a giocare. Sarà ad una decina di metri da noi, però mi stupisce che non si sia accorta della caciara che stiamo facendo io e Maxon. Mio fratello sgrana gli occhi incredulo e apre la bocca, come se gli avessi appena tirato un pugno. Non che ci piaccia giocare alla lotta; tendenzialmente preferiamo di più le macchinine, i giochi d'avventura in giardino, o provare a fare due tiri sul canestro che papà ci ha installato sopra il garage.

«Mi hai seguito? Ma sei impazzito? Te ne devi andare immediatamente. Questo è il mio posto» borbotta infastidito e mi spintona nuovamente. «Ehi.» aggrotto la fronte offeso, mentre retrocedo di un altro passo dietro al cespuglio. Adesso non riesco più a vedere la bambina... «Smettila Maxon. Mi farai cadere di nuovo, scemo.» so che la mamma dice sempre che non dobbiamo dire questa parola, insieme ad "idiota" e "imbecille", ma lei e papà le usano sempre. Perché noi non possiamo?

«Va bene, ma ora te ne devi andare»

«Ma io voglio giocare con te. Mi annoio tutto il giorno da solo. Se la bambina è una tua amica, posso giocare anche con lei... Ti ho anche portato una caramella al limone.» ricordo illuminandomi, poi infilo la mano nei pantaloncini blu scuro, e ne tiro fuori la caramella e il cioccolatino. «Se la tua amica vuole, le regalo il mio cioccolatino» aggiungo poi, mentre mio fratello controlla che la piccola dai codini neri non si sia ancora accorta di niente. «Non è una mia amica. Io non gioco con le bambine.» chiarisce immediatamente mio fratello, volgendo nuovamente lo sguardo su di me.

Solo mamma e papà riescono a distinguerci, gli altri faticano tantissimo. Ma chi ci conosce abbastanza bene sa che in realtà siamo molto diversi. Come quest'antipatia inspiegabile verso le bambine che ha Maxon; proprio non lo capisco. Scuoto il capo confuso e gli rivolgo un'occhiataccia. «E allora cosa ci fa qui?» gli domando. Se non vuole giocare con lei, allora perché mi sta cacciando? Cacciasse lei. Io sono suo fratello.

«Non lo so, ma adesso mando via anche lei. Questo è il mio posto.» ripete annuendo fermamente. Lo guardo scettico, poi abbasso gli occhi sulla caramella e il cioccolatino che ancora tengo in mano: «E questi? Cosa me ne faccio adesso?». Maxon afferra la caramella al limone e se la mette in tasca, poi prende il cioccolatino e lo scarta, gli dà un morso, e mi porge l'altra metà che guardo leggermente stupito. «Ecco fatto, puoi mangiare la tua metà. Ora, però, per favore vai via Axel. Quando tu vuoi giocare da solo a basket non ti disturbo mai.» si lagna mettendo su il broncio.

Uffa però. Io volevo solo giocare con lui, che pizza... «E va bene... adesso me ne vado...» borbotto sconsolato. E cosa dico alla mamma se mi vede rientrare così presto? Lancio un'occhiataccia a mio fratello, che mi sorride grato, poi mangio la mia metà di cioccolatino. «AH. Non dire alla mamma di questo posto. Sai che si preoccupa sempre per niente.» mi istruisce annuendo gravosamente. Mia madre, in realtà, ce l'ha solo con lui: non sta mai fermo; si caccia in situazioni stupide (come quella volta che era rimasto incastrato nel condotto dell'aria condizionata della casa), e prontamente si ammala più di me.

«Certo...» sbotto scorbutico. Abbraccio la mia palla da basket e mi volto iniziando a ripercorrere il sentiero per tornare indietro. Che pizza... non ho nemmeno preso il mio quaderno dei disegni. E non posso nemmeno giocare con Emily. Che noia di vacanza; non vedo l'ora di tornarmene a New York.

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