Capitolo 16

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Quando rientro a casa, le luci sono ancora spente. Appoggio le chiavi ed i cartoni della pizza sul tavolo, levo la giacca e la lancio sul divano, e mi dirigo verso la stanza di Tyler. Busso, ma non risponde nessuno, quindi dopo poco apro la porta per scoprire che in camera non c'è nessuno.
Deve essere ancora a lavoro, ma ovunque sia, la cosa non mi interessa. Mi dirigo verso il tavolo e prendo i cartoni con la pizza, per poi appoggiarli sul piccolo tavolino in salotto con una bottiglietta di Coca-Cola.
Levo le scarpe e lavo le mani, dopodiché posso finalmente sprofondare sul divano, con il telecomando in una mano, ed un pezzo di pizza nell'altra.

Sono proprio stanca, non posso ancora credere che io abbia appena passato il mio primo giorno di lavoro! Mamma e papà sarebbero molto fieri di me, e anche la nonna.
Sospiro e appoggio la schiena contro lo schienale del divano, finendo la mia pizza e guardando, distrattamente, la TV.
In realtà non mi interessa ciò che stanno trasmettendo, più che altro mi serve per farmi compagnia.
Sospiro e scivolo lungo lo schienale, fino a stendermi, socchiudendo gli occhi.

Chissà cosa starà facendo. Sospiro.
Perché ci pensi ancora?
Ma la mia coscienza perché non tace mai?
Non merita neanche che tu lo pensi.
Non è facile, mi dico.
Già, ma te ne devi fare una ragione. Lui non c'è più, è stato solo un errore.
Non si conta come errore, se ti ha reso felice.
Sbuffo, posandomi una mano sulla fronte. Ogni tanto mi capita di pensarlo, quando arrivo a fine giornata. Non ci penso se sono impegnata a fare qualcosa, ma quando mi rilasso appena appena, è quasi impossibile non pensarci.
Ti passerà, mi ripeto.
Speriamo, sospiro, chiudendo gli occhi.

Tyler

Sono circa le otto di sera, quando qualcuno bussa alla porta del mio ufficio. Sto ancora leggendo, e non mi ero accorto che il cielo si fosse già fatto così buio.
«Avanti», dico, posando il manoscritto sulla scrivania.
La segretaria apre la porta e si affaccia, senza tuttavia entrare nell'ufficio.
«Stiamo chiudendo, hai intenzione di passare la notte qui?» mi domanda ironica, ma sorridente.
«No, finirò a casa» rispondo, scuotendo il capo.
«Caspita, hai preso proprio sul serio questo lavoro!» esclama, ancora ironica.
«Già». Mi alzo, chiudendo il computer e prendendo la mia giacca dall'appendiabiti dietro la porta. Prima di uscire dall'ufficio, prendo il manoscritto che stavo leggendo, dopodiché prendo l'ascensore con la segretaria per raggiungere il pianoterra.
«Non mi sono ancora presentata, sono Amanda» mi dice dopo pochi istanti di silenzio. Io la guardo, inclino il capo di lato, e mi presento a mia volta.
«Tyler», faccio un cenno con il capo, proprio quando le porte dell'ascensore si aprono. Allora usciamo entrambi, in silenzio, e davanti all'uscita dell'edificio ci salutiamo.
«A domani» mi dice.
«Buona serata», le auguro.
«Altrettanto» risponde, prima di allontanarsi.

Quando finalmente raggiungo la porta dell'appartamento, apro con le mie chiavi, evitando di suonare per non disturbare. Non so neanche se Cleo sia già tornata a casa o se stia facendo il turno di sera. Anche se ne dubito, dato che domani ha scuola.
Entro in casa ed un certo calore mi invade, è il calore di casa propria. Come quando dopo una giornata stancante, torni a casa e finalmente ti abbandoni e ti rilassi. Oltre al calore, sento un certo profumino. Mi avvicino alla cucina, ma non c'è nulla sui fornelli. Faccio una smorfia quando, aprendo il frigo, mi accorgo che è vuoto. Non ho ancora cenato, ed il mio stomaco brontola.
Noto che la televisione è accesa, quindi Cleo deve essere di sicuro in casa, ma di lei non c'è traccia. Mi avvicino al tavolino per prendere il telecomando e, dopo aver fatto il giro del divano, la scovo sotto ad una coperta. Ha gli occhi chiusi e respira profondamente. Sorrido lievemente, perché per quanto possa essere stronza, mentre dorme è proprio tenera.
Noto che fra le mani stringe il telecomando, quindi mi avvicino per prenderlo, ma non appena glielo sfilo di mano, lei lo sostituisce con il mio braccio, il quale stringe.
Sussulto a quel gesto, e sono tentato di lasciarla dormire, ma domani ha scuola di sicuro, è il caso di portarla in camera.

«Cleo», cerco di svegliarla, e lei mugola con un'espressione infastidita. «Dai Cleo», insisto, finché schiude gli occhi.
Quando vede che mi sta stringendo il braccio, lo lascia subito andare.
«Scusa» mi dice. Ma perché si scusa?
«Nulla», scuoto il capo. Lei si mette a sedere e sposta la coperta, facendomi posto.
«Ti ho preso la pizza, ma mi sa che si è raffreddata» dice con la voce un po' assonnata.
Sospiro. «E perché me l'hai presa?» le chiedo.
«Per ringraziarti del passaggio di stamattina, ma non ti ci abituare» risponde. Sì, si è decisamente svegliata, è di nuovo stronza.
«Sì certo», annuisco ironico. «Non mi avevi detto che lavoravi in quel bar» le dico, mentre addento un pezzo di pizza.
«Già, non abbiamo parlato molto» mi risponde.
Non so se sappia che Scott è mio zio, ma non voglio dirglielo. O almeno, non ora. Penserà che io sia un raccomandato, che lavora facile. Non è così. E anche se non mi deve importare quello che gli altri pensano sul mio conto, non glielo dico lo stesso.
Sospiro, mangiando la mia pizza.
«Grazie», dico a bassa voce.
«Di cosa?» mi chiede, sempre a bassa voce, come se mi stesse prendendo in giro.
Ci rifletto prima di rispondere, non so per cosa la ringrazio di preciso, quel grazie mi è uscito da solo di bocca. Tiro un morso al pezzo di pizza e rispondo a bocca piena.
«Per la pizza».

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