twelve snowflakes

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(12.)

Dakota.

Quella mattina, quando mi alzai, trovai la casa in uno stato di assoluta – e incredibilmente strana- quiete.

“Alexa?” la chiamai, camminando a piccoli passi verso la cucina. Vuota.

Nessun biglietto, nessun avviso. L’ultima possibilità che mi rimaneva era anche quella che ritenevo più remota, ma decisi di controllare lo stesso.

“Alexa?” ripetei, bussando piano alla porta della sua stanza. Nessuna risposta.

Aprii silenziosamente e la trovai raggomitolata tra le coperte.

“Ehi Al, che succede?” chiesi apprensiva, andandomi a sedere sul letto accanto a lei. Solitamente era sempre così attiva, ma negli ultimi giorni avevo notato che era un po’ giù di morale, ma non mi ero preoccupata più di tanto.

“Al?” la scossi delicatamente.

Lei si girò verso di me e mi fissò con occhi vacui. Cominciavo seriamente a preoccuparmi, vedendola ridotta in quelle condizioni.

“Mi vuoi dire che cazzo sta succedendo?” chiesi improvvisamente irritata da quel suo continuo silenzio.

Dai suoi occhi verdi uscì una lacrima, poi un’altra e un’altra ancora.

“N-no, scusami. No-non volevo” Passai un braccio dietro la sua schiena e la avvicinai a me. Lei strizzò gli occhi e continuò a piangere silenziosamente, soffocando i suoi singhiozzi.

“I-io n-no ce la f-faccio” mormorò faticosamente.

“Cosa? Cosa non riesci a fare?” le andai incontro.

Lei si mise seduta e si asciugò le guance rosse con il dorso della mano. “Puoi portarmi qualcosa da bere, per favore?” chiese con voce un po’ roca, cambiando discorso.

“Torno subito” mi affrettai ad alzarmi e andai a prepararle una camomilla.

Mentre l’acqua bolliva sul fuoco, non potei fare a meno di pensare a tutte le orribili cose che potevano esserle accadute, per essersi ridotta così.

“Ecco a te” le posai la tazza calda tra le mani. Lei osservò per un po’ il fumo, bevve un lungo sorso e poi posò la tazza sul comodino.

“Mi dispiace” se ne uscì. “Per…questo” si indicò velocemente.

“Che cosa è successo” scandii bene ogni parola, intenzionata a scoprire il motivo del suo dolore.

“Oggi sono tre anni” iniziò. “Tre anni che mio fratello è in coma” Rimasi a bocca aperta a quella sua confessione. Non trovai alcuna parola da dirle, niente che potesse confortarla, così mi limitai ad abbracciarla, e Alexa si aggrappò a me come una bambina spaventata.

Scossi la testa incredula. Potevo solo immaginare cosa stesse provando, e provai a mettermi nei suoi panni. Pensai al mio, di fratello. Certo, non ci vedevamo o sentivamo spesso, ma gli volevo comunque bene, nonostante tutto. Perderlo per me sarebbe stato… semplicemente impossibile.

Ero curiosa di sapere cosa fosse successo al fratello della mia coinquilina, ma dovetti mordermi il labbro per impedirmi di chiederglielo. L’avrei solo fatta stare peggio.

“Non so che dire. C’è qualcosa che posso fare?” Chiesi stupidamente, ma di solito si fa così, in questi casi.

Alexa tirò su col naso e affondò la testa tra le ginocchia.

“P-potresti” cominciò a dire. Mi avvicinai ancora di più a lei, facendole capire che ero disposta a tutto. Girò leggermente il capo nella mia direzione e mi fissò di sbieco, con i lunghi riccioli biondi che le cadevano davanti al viso.

Breathin' in a snowflake - h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora