two snowflakes

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(2.)

Dakota pov.

Erano passati due giorni da quel strano incontro, ed ero quasi riuscita a smettere di pensarci.

Non ne ho parlato con le mie amiche, non l’ho detto a nessuno e sono convinta che sia stata la cosa giusta da fare.

“Buongiorno” due occhioni verdi mi scrutarono assonnati.

“Buongiorno a te, Alexa” risposi alla mia coinquilina.

Tolsi velocemente la caffettiera dal fuoco e versai il liquido bollente in due tazze.

“Caffè?” chiesi porgendole una delle due tazze.

“Mmh” mugugnò afferrandola e sedendosi scompostamente sulla sedia del tavolo.

Sospirai, anche quel giorno sarei dovuta andare a lavorare di turno alla biblioteca della signora Black.

“Non credi che sia ora di cercarti un lavoro?” continuai rivolta verso Alexa.

“E perché?” borbottò prendendo un sorso di caffè. Una smorfia le si dipinse sul viso, e subito dopo esclamò “Uh, è amaro”.

“Perché” le passai la boccetta di zucchero “Non possiamo continuare a vivere in questo appartamento solo col mio stipendio da bibliotecaria e, beh, ciò che ti passa tuo padre ogni mese” dissi rivolgendole uno sguardo accusatorio.

Non avevo litigato con i miei genitori per mesi e mesi sulla mia indipendenza, dopo il liceo, per vivere a spese di un altro adulto.

“Ma-“ provò a ribattere. Le puntai il dito contro e si ammutolì.

Non che non volessi bene ad Alexa, ma era cresciuta in un ambiente in cui le veniva accontentato ogni capriccio, e all’alba dei suoi ventidue anni avrebbe almeno dovuto iniziare a prendersi le sue responsabilità.

“Oggi sei di turno?” chiese cambiando discorso.

“Già” buttai una veloce occhiata all’ orologio. Segnava le dieci e quaranta, quindi mi sarei dovuta sbrigare per arrivare a lavoro per le undici.

Mi lavai e vestii in fretta, rinunciando, almeno per quella mattina, a mettere le lenti a contatto. Infilai velocemente le scarpe, inforcai i miei odiati occhiali da vista, mi avvolsi la sciarpona rossa intorno al collo e uscii  velocemente di casa.

Solo una volta fuori mi accorsi che, fino alla biblioteca, sarei stata accompagnata da piccoli fiocchi bianchi e freddi.

                                ***

Il ticchettio del vecchio orologio a pendolo e il rumore della gomma masticata sotto i denti di Jenna erano gli unici suoni che riempivano il negozio, quel giorno.

“ Nessuno neanche oggi” affermò ovvia la mia collega.

Alzai gli occhi al cielo per l’ennesima volta.

“Ripetimi un po’ perché lavoriamo ancora in questo posto polveroso” chiese guardandosi intorno con aria schifata.

“Perché questo era l’unico posto, anche se polveroso, che si poteva permettere di assumere due ragazze senza esperienza e a corto di soldi come noi” alzai le sopracciglia. Già la situazione era triste di per sé, non serviva ripeterlo ad alta voce.

“Giusto” acconsentì, arricciandosi una ciocca di capelli scuri tra le dita.

Ci fissammo per qualche istante e prima che potessi dire qualcosa, lei mi precedette “Oggi tocca a te”.

Ecco, oggi toccava a me andare a prendere il pranzo, oggi toccava a me lavorare, oggi toccava a me cucinare una volta tornata a casa.

Con uno sbuffo di frustrazione, mi alzai dalla sedia e mi infilai nel cappottino, pronta –o quasi- ad affrontare nuovamente il tagliente clima londinese.

Solo una volta fuori mi accorsi che aveva smesso di nevicare. In effetti la biblioteca era dotata solamente di piccolo finestrelle strategiche, che servivano solo a far circolare un po’ d’aria.

Mi mossi a passi veloci in mezzo al traffico di persone, fino a raggiungere ‘ Miskin ‘, il cosiddetto ‘’luogo del pranzo’’. Non era molto famoso, e a dire il vero neanche il cibo era dei migliori, però avevo nel tempo avevo fatto amicizia con i ragazzi che ci lavoravano ed era quindi diventata una abitudine.

Spinsi la porta del locale e un lieve campanellio avvertì della mia presenza.

Intravidi un caschetto biondo cenere  raggiungermi.

“Ehi Tris” la salutai con un sorriso tirato. Non ero proprio in vena di chiacchierate.

“Ehi bellezza, ti porto il solito?” chiese gentile. In tutta risposta alzai le spalle e la guardai con sguardo sconsolato.

Lei scrisse qualcosa sul suo blocchetto, mi fece un occhiolino e mi liquidò con un “Credo che oggi ti toccherà aspettare un po’, bellezza”.

In effetti oggi c’era qualche persona in più al locale, ma dubitavo seriamente che avrei dovuto aspettare.

Il caldo cominciava a farsi sentire lì dentro, ma non ero intenzionata a scoprirmi, visto che fra  poco sarei di nuovo uscita.

Così mi attaccai al vetro freddo che dava sull’esterno. I miei occhi si posarono su ogni passante, e  improvvisamente mi sembrava di essere ritornata a due giorni fa.

Un gruppo di ragazzine passò davanti alla vetrina, e mi oscurarono la vista per qualche secondo.

Ad un tratto scorsi, dall’ altra parte della strada, un cappellino verde.

-Oh, andiamo!- pensai, mentalmente frustrata.

Il ragazzo si stava muovendo velocemente e se non mi sbrigavo, beh…

Ma c’era Jenna, e il pranzo e il lavoro e... Al diavolo tutto. Uscii come una furia, intenzionata e spinta dall’istinto a rivedere quel ragazzo.

Breathin' in a snowflake - h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora