Capitolo 13 (Nuovo)

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CAMERON

Avevo lo sguardo puntato sul soffitto bianco della camera da letto, ero immobile, in silenzio e mi godevo la pace che c'era in casa. Sofia dormiva serena. Continuavo a fare fatica a dormire, la mia coscienza mi tormentava sempre quando il buio e il silenzio piombavano nella stanza. Mi diceva di confessare la verità a lei e a tutti, ma io non volevo ascoltarla. Aveva ragione, però. Non lo avevo detto nemmeno a mia madre e non era giusto.

La reazione di Blake mi terrorizzava. Eravamo sempre stati diversi, con vite agli antipodi e caratteri opposti, ma il mio lavoro ci aveva in qualche modo allontanato. Non sapevo in che modo fargli capire che avevo bisogno del mio lavoro come del suo appoggio. Brandon invece era più grande di noi di cinque anni, l'unico che ancora parlava con papà e che aveva cercato di mantenere un rapporto civile con tutti, a lui andava sempre bene qualunque cosa decidessimo di fare purché ci impegnassimo per mantenere la pace. Lo ammiravo, davvero, anche se non avevo mai capito come mai fosse lui l'unico figlio che papà aveva voluto portare nella sua nuova vita.

Dopo il divorzio con la mamma, io e Blake non l'avevamo più visto spesso, fino a quando aveva smesso di venirci a cercare. Mamma aveva spostato J. ed era nato Jared, aveva solo dieci anni in meno di me e ci aveva prestato suo padre, come diceva sempre, perché alla fine era stato lui a crescere me e Blake. I gemelli problematici, ci chiamava, e non si sbagliava per niente.

Da adulti eravamo incasinati esattamente allo stesso modo. Perciò sì, dovevo un bel po' di spiegazioni a un bel po' di gente e avrei fatto meglio a darmi una mossa.

Mi ricordavo bene le cose che avevo visto in Iraq, ma per qualche strana ragione la sana paura che provavo prima di quella partenza non era paragonabile a quella che provavo in quel momento. Pensi di sapere chi sei, quello che vuoi e dove stai andando, poi incontri la persona giusta e il tuo mondo si ferma, rivaluti le priorità e inizi a dubitare delle tue decisioni. Volevo di più.

Quando l'orologio segnò le sei e mezza, mi feci una doccia e indossai la divisa. Avevo chiesto a Jack di incontrarci prima di andare alla base per parlare un po'. Non dovetti aspettare molto per vederlo, appena uscii di casa lo trovai lì fuori, una sigaretta in bocca e lo sguardo puntato sull'asfalto.

«Ehi, non eri tu che dicevi al colonnello di smettere?» lo presi in giro.

Alzò le spalle e fece cadere della cenere vicino al suo stivale. Mi sedetti vicino a lui e mi accesi una sigaretta anch'io.

«Ellie è incinta» esordì, spezzando il silenzio.

Mi girai di scatto verso di lui, imprecando. Ecco, quella era il genere di notizia che un uomo non avrebbe mai voluto ricevere insieme alla convocazione per una missione.

«Merda» sbottai.

«Per questo voleva che lasciassi questa vita, ma cazzo» imprecò, pestando il mozzicone. «Tu lo sai come funziona! Non posso semplicemente dire di no».

«Ti ha chiesto di mollare tutto?».

Non me ne aveva parlato, forse perché la nostra vita era un casino.

«Ultimamente me ne ha parlato spesso, ma lo sai come funziona. È una discussione chiusa in partenza».

«Ellie ha paura, ma non ti chiederebbe mai di scegliere. Sarà uno schifo, ma ce la potete fare».

Lo pensavo davvero. Era quello che era, non si poteva cambiare.

«Davvero? Se i ruoli fossero invertiti, in questo momento sarei davvero incazzato e me la starei facendo sotto all'idea di avere un figlio da solo. Potrei anche non tornare e tu lo sai, Cameron».

Annuii di nuovo, che altro potevo fare? Lo sapevo meglio di lui, quello che era successo in Iraq mi aveva segnato nel profondo, ne portavo ancora i segni.

«Abbiamo ancora tempo. C'è il Ringraziamento, Natale e poi ci penseremo».

Avevamo tempo, era meglio di niente.

«Aggiungi anche un matrimonio, non posso partire senza averla sposata. Dobbiamo anticipare i tempi. Avevamo deciso di rimandare per fare le cose con calma, ma è escluso che io parta in queste condizioni».

Sospirai e restai in silenzio, riflettendo sulla nostra vita. Ma come eravamo ridotti? Non avevamo nemmeno trent'anni ed eravamo lì a discutere di qualcosa che ci stava stretto, di qualcosa che ci eravamo cuciti addosso senza pensare che un domani non ci sarebbe più andato bene. Della morte e della probabilità che ci cogliesse impreparati.

«Tu non gliel'hai detto, invece».

«Non ancora».

Non ne andavo fiero, ma avevo sempre avuto un problema di comunicazione quando c'erano di mezzo sentimenti e confessioni da fare. Il mio cervello si inceppava e io diventavo un idiota senza palle, stava succedendo anche con Sofia.

«L'hai fatta venire qui per questo, lo sapevi».

Trasalii.

«Cazzo, no! Non avevo idea di dove ci avrebbero mandati».

«Ma ci avevano già detto che saremmo partiti, Cameron, e tu l'hai fatta venire qui» mi accusò.

Non replicai, aveva ragione. Non conoscevo ancora la destinazione, ma lo sapevo. E mi ero comportato da bastardo egoista, avevo pensato a me stesso e a quello che desideravo.

«Devi dirglielo, Cam. Se a Ellie scappa qualcosa, è un disastro. Lo deve sapere da te, non da lei. Sono amiche e ad Ellie non sta bene mentire, la conosci».

«Lo so, Jack».

Sapevo che dovevo darmi una mossa, ma ero paralizzato.

«Allora fallo, diglielo. So che L'Iraq...».

Mi schiarii la voce, non volevo parlare di quello che era successo laggiù e avrei fatto qualunque cosa perché il silenzio continuasse a regnare su quella parte della mia vita.

«Glielo dirò, sto aspettando il momento giusto. Il resto è irrilevante, è tutto passato».

«Il momento giusto non ci sarà mai. Se fai passare ancora tempo, la perderai. La perderai, Cameron».

Restai in silenzio. Forse dirlo a Sofia sarebbe stato liberatorio, ma aveva ragione Jack. L'Iraq aveva cambiato tutto e ora della mia vita non sapevo nemmeno più che farmene, ero nelle sabbie mobili e stavo sprofondando.

CON UN BATTITO DI CIGLIAWhere stories live. Discover now