Capitolo 12 (Nuovo)

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SOFIA

Avevo passato la giornata sul divano con il computer sulle gambe a battere i polpastrelli sulla tastiera.

Vivere con Cameron aveva avuto degli effetti più che positivi sui miei studi. Dovevo laurearmi presto, ma per qualche mese avevo perso di vista l'obiettivo principale a causa di un ufficiale dell'Aeronautica Militare che mi aveva fatto perdere la testa.

La storia mia e di Cam sembrava uscita da un perfetto romanzo rosa, ci eravamo incontrati grazie al suo intervento che aveva impedito la mia aggressione e non eravamo più riusciti a separarci. Forse aveva ragione Ellie, mi ero fissata con lui e tra di noi era nato un sentimento morboso, solo che più il tempo passava e più quella teoria si rivelava sbagliata.

Stavo scrivendo l'ultima frase quando Cameron entrò in casa, sollevai lo sguardo e incontrai i suoi occhi. Indossava la sua divisa e aveva un'espressione che non gli avevo mai visto in viso. Sembrava stravolto, come se il peso del mondo intero gli gravasse sulle spalle. Negli ultimi giorni era tornato a casa sempre stanco e silenzioso, a volte nervoso, ma non volevo dargli il tormento.

Si sarebbe chiuso ancora di più in sé stesso e non avrei ottenuto niente se non un muro. Il mio ufficiale da un metro e novanta e dai magnetici occhi verdi era un uomo tutto d'un pezzo, introverso e poco incline alle chiacchiere. Così, mi ero rassegnata all'idea di dover aspettare che fosse lui a farsi avanti.

«Ehi» esclamai, chiudendo il computer.

Cam abbozzò un sorriso e si sedette sul divano, posò una mano sulla mia coscia e appoggiò la testa allo schienale, la reclinò verso il soffitto e chiuse gli occhi.

«Tutto bene?».

«Certo, perché non dovrebbe?» borbottò sempre ad occhi chiusi.

Alzai le spalle e spostai i piedi sulle sue gambe.

«Perché sembri esausto».

Iniziò a massaggiarmi i polpacci con movimenti lenti e circolari e aprì gli occhi, si voltò verso di me e sorrise cercando di essere convincente. Quanto gli riusciva male fingere...

«Sono solo stanco, non ti preoccupare. Com'è andata la tua giornata?».

«Noiosa, ma produttiva».

«Noiosa?».

«Essere la compagna di un militare non è così entusiasmante come vogliono far credere, sai? Io te l'avevo detto, Ellie deve essersi fatta manipolare da quel covo di serpi con cui esce da quando vive qui».

Scoppiò a ridere e scosse la testa, ricordandomi che ero troppo severa verso di loro. Sollevai le spalle e allungai una mano per afferrare la sua, intrecciai le nostre dita e lasciai che mi trascinasse sulle sue gambe.

«Baciami» sussurrò.

Il suo respiro lambiva le mie labbra, mentre i suoi occhi erano inchiodati ai miei. Avvertii la solita familiare sensazione alla bocca dello stomaco e non me lo feci ripetere due volte, posai le mie labbra sulle sue e lo baciai mentre le sue mani giocavano con i miei capelli e si perdevano ad accarezzare la mia schiena. Mi allontanai e lo guardai negli occhi. Erano scuri, un velo di malinconia a tenerli lontani da me. Mi era bastato uno sguardo per conoscere la risposta alle mie domande: stava mentendo.

«Dimmi cos'è successo».

Scosse la testa e mi attirò al suo petto, stringendomi a sé e lasciandomi un bacio tra i capelli.

«Non è successo niente. Non devi preoccuparti, tesoro» bisbigliò.

Rabbrividii a quella parola e chiusi gli occhi, sentivo il suo cuore battere all'impazzata sotto il tessuto pesante dell'uniforme.

Mi allontanai e cercai di togliergli quella maledetta uniforme di dosso, mi aveva sempre dato fastidio nonostante sapessi quanto fosse importante per lui. Avevo un rivale contro il quale non potevo combattere, un rivale pericoloso che avrebbe potuto separarci per sempre.

Sapevo di essere piuttosto melodrammatica, ma i suoi ideali erano completamente diversi dai miei e spesso faticavo a farglielo capire. Ne avevo parlato anche con Ellie e lei mi aveva rassicurata dicendomi che erano pensieri normali per una donna alle prese con diverse prime volte di una vita come quella, quindi ci stavo lavorando su. La differenza tra me e lei era che quelle per me non erano delle vere prime volte, io ci ero già passata.

Avevo già visto come funzionavano quelle relazioni e sapevo anche quanto alto fosse il prezzo da pagare.

«Mi stai spogliando per approfittare di me? Sei proprio una ragazzaccia».

Scoppiai a ridere.

«Togliti questa roba di dosso, per favore» sussurrai, slacciando i primi bottoni della giacca.

Cam annuì e si tolse anche le scarpe e i pantaloni, poi si stese sul divano solo con la maglietta e i boxer.

«Che succede ora?» farfugliai.

Quel comportamento mi stava preoccupando e volevo che sputasse fuori quale fosse il problema.

«Niente. Mi abbracci?».

Sospirai e lo strinsi tra le mie braccia, così forte che lo sentii sussultare. Qualunque fosse il problema, sperai che quell'abbraccio potesse risolverlo. Ero sempre stata piuttosto ingenua.

«Sofia».

«Dimmi cosa succede, sei strano ultimamente. Mi stai facendo preoccupare».

«Va tutto bene, sono solo molto stanco».

Mi allontanai e cercai di non far sembrare la mia domanda troppo patetica. C'era quel dubbio che mi stava torturando da giorni e forse era giunto il momento di toglierselo.

«Se ci fosse un problema tra di noi, me ne parleresti, vero?» mormorai.

Annuì e cercò di sorridere. «Certo».

«Se volessi chiudere con me, me lo diresti? Perché se sei pentito di questa cosa, va bene. La possiamo chiudere quando vuoi, non è che adesso siamo legati per sempre».

Mi allontanai e puntai lo sguardo nel suo.

«Sofia, voglio che tu sappia che qualunque cosa succeda io voglio esattamente questo, okay? Perciò cancella quei pensieri oscuri da lì dentro» sussurrò, indicandomi la fronte con l'indice.

«Cosa dovrebbe succedere?».

«Tu ricordatelo sempre» mugugnò, la voce impastata dal sonno.

Annuii in silenzio. Cosa volesse dirmi proprio non lo sapevo, ma avrei ricordato le sue parole per molto, molto tempo e ne avrei capito il senso solo dopo aver creduto di essere riuscita a dimenticarmele. Come se la verità arrivasse sempre al momento giusto. Quello in cui sapeva fare più male.

CON UN BATTITO DI CIGLIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora