Prologue.

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Prologue.
2:00 a.m.

La vita sembrava volesse scivolarmi via dalle mani, vedevo il mondo procedere e svilupparsi, mentre io rimanevo a terra bloccata da quel senso di vuoto e colpevolezza continua. Guardavo giù dalla balconata e sentivo la mancanza di qualcosa o di qualcuno che mi era sempre stato accanto fin dal primo respiro e che avrei voluto avere fino all'ultimo.

Composi il numero sul cellulare mentre i miei piedi penzolavano fuori dal balcone, nessuno rispondeva, nessuna segreteria, solo l'estremo silenzio.

Chiusi gli occhi alzandomi in piedi, protesi le braccia in aria così da potermi reggere alla sporgenza, desideravo un miracolo, ne avevo un estremo bisogno, stavo impazzendo era come vedere il suo volto su ogni persona nonostante fossi così distante da loro. Provai a richiamarlo e ancora una volta non rispose, un tuono interruppe ogni pensiero silenzioso, ogni tormento sibilato e dimenticai la mia pazzia mentre il lampo squarciava il cielo.

La mia esistenza sembrava forzata, come un riflesso della vita di qualcun altro che viveva appieno la sua esistenza, ma nel modo sbagliato, mi sentivo il burattino di un disegno più grande in cui non ero contemplata; come una comparsa nei film che nessuno guardava.

Lasciai scivolare il cellulare dalle mani in modo che cadesse per dieci piano fino al suolo e si frantumasse in modo che una delle cose che mi arrecava sofferenza cessasse di farlo per mio volere, non mi sarei più fatta dominare dall'angoscia, dalla tristezza come se fosse l'unica ragione di vita. Avevo bisogno di lui mentre decidevo del mio destino, perché non riuscivo a farcela da sola.

«Siamo alla resa dei conti » risi in modo isterico; stavo parlando da sola, come una svitata, avevo perso la testa.

Le ginocchia mi tremavano, tutto rallentava visibilmente, mentre l'orologio muoveva le sue lancette avvicinandosi all'ora designata, non volevo deluderlo, avevo fatto di tutto per dargli quel pizzico di felicità che chiedeva, ma lui mi aveva delusa ancora, come i precedenti 730 giorni. Mancavano solo due minuti le stelle erano sparite, i tuoni e i lampi facevano presumere ad una imminente pioggia, come ormai accadeva da tre anni in quel giorno, come se il cielo volesse prendersi gioco di me. Guardai al mio fianco e non vidi nessuno.

«Sei su quel cornicione da mezz'ora, ti decidi o devo chiamare rinforzi?» la sua voce profonda mi fece venire i brividi mentre la mia presa aumentò sulla sporgenza e il vento mi spinse leggermente in avanti.

«Sta zitto, sta zitto adesso» ripetei a denti stretti, mentre stringevo il più forte possibile gli occhi per non guardarlo, mi sentivo pazza, anzi lo ero, perché era tutto irreale, lui non era reale.

«Io non posso stare zitto» cantilenò. Sentii i suoi passi sul marmo e in seguito un piccolo salto che mi fece intuire fosse salito anche lui sul cornicione con me; potevo sentire il suo respiro sul mio collo, potevo vederlo nonostante avessi gli occhi chiusi. «Sono nella tua testa » rise.

«Devo farti smettere» sibilai aprendo lentamente gli occhi. Lasciai la sporgenza, sentendo il sangue fluire di nuovo nelle dita fredde, stavo abbandonando anche l'ultima fibra di sanità che mi era rimasta, l'ultima speranza era morta con il mio ultimo sorriso.

Avrei messo fine alle mie delusioni.

Diedi le spalle al vuoto e aprii le braccia mettendo i piedi uno sull'altro, feci un respiro profondo, ascoltai i batti del mio cuore ed eliminai ogni rumore dalla mia mente.

L'orologio suonò indicando l'inizio di un altro giorno passato ad invecchiare e diventare grande senza uno scopo preciso. Aprii di scatto gli occhi e solo a quel punto... Mi lasciai andare.

Sweater Weather || Shawn Mendes (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora