Capitolo 61

521 86 60
                                    

Quel ragazzo lasciò andare la presa e io riuscii ad indietreggiare fino alla porta. Poggiai una mano sulla maniglia, ma fui fermata da uno dei ragazzi che si rivelò essere uno di quelli che mi considerava un bocconcino. Afferrò ma maniglia e con essa la mia mano, impedendomi di uscire dalla porta.

《Oh non avere paura. 》Disse lo stesso che mi aveva stretto a sé poco prima.

《Vorremmo solo proporti un affare. 》Spiegò mentre si accendeva una sigaretta.

《Sai avevamo chiamato una puttana prima. 》Disse con una naturalezza da far venire i brividi.

《Ma aimè, non ha nemmeno voluto ascoltare quanto avevamo da offrigli, ma so che a te piace stare con più ragazzi, eh? Te ne sei fatta già due della squadra, adesso perché non aiuti gli altri? 》Camminava avanti e indietro, parlava con una superficialità tale da mettere i brividi. Il mio corpo non si mosse di una virgola o meglio iniziai a tremare come una piuma, avevo paura.

《Oh daii, non tremare. 》Si rese conto della mia reazione volontaria.

《Basterà che ti metta in ginocchio e che faccia a turno un bel lavoretto a tutti noi, nulla di più. 》Si avvicinò a me e mi afferrò il mento, facendomi alzare lo sguardo su di lui. Vidi per la prima volta il suo viso, prima offuscato da quella luce fioca e sicuramente non me lo sarei mai dimenticato per tutta la vita.

《Ti pagheremo bene. 》Sussurrò per poi avvicinare le labbra alle mie e lasciarmi un piccolo bacio su di esse. La voglia di sputarlo in viso crebbe ancora di più, ma sapevo di dover essere più docile, altrimenti non sarei uscita illesa da quel posto.

《Allora? 》 Domandò allontanandosi. I miei occhi erano puntati su Brandon che distolse lo sguardo e cercò in tutti i modi di non osservare dalla mia parte.

《Ci stai? 》Mi richiamò quel mostro in carne e ossa.

Ciò che avvenne fu così veloce che quasi non mi resi conto di ciò che succedeva, di quello che stavo facendo. Sferrai un forte calcio alle parti intime del ragazzo che teneva saldamente la maniglia, mille emozioni si susseguirono nel mio corpo. Un senso di adrenalina prese il sopravvento, non riuscii a fermarmi e questo mi portò alla salvezza.

Abbassai la maniglia e in poco tempo fui fuori di li, fuori da quel luogo, fuori da quell'incubo.

Corsi velocemente, scappavo da qualcosa, qualcosa di orrendo, qualcosa di viscido e di riprovevole. Delle lacrime calde rigavano il mio volto, i singhiozzi riempirono l'aria circostante, le mie gambe si muovevano da sole, una dopo l'altra in modo continuo.

Non fui attenda a dove dover mettere i piedi, caddi rovinando il vestito che indossavo e procurandomi numerosi graffi su tutto il corpo. Mi rialzai e continuai a correre sempre più veloce. Non sentivo dolori. Quei graffi erano nulla in confronto a ciò che mi si spezzò dentro e ciò che colpì il mio animo, il mio equilibrio.

Non vidi una pietra, proprio lì in mezzo ad una strada trafficata. Caddi una seconda volta, procurandomi una forte slogatura che mi spinse a gridare sempre più forte.

"Non era giusto." Era tutto ciò che mi veniva in mente. Mi ritrovai lì ad un angolo, che cercavo di trascinarmi al muro. Mi poggiai su quei mattoni freddi che sostenevano l'intera abitazione. Tirai a me la caviglia, iniziando a stringerla fra le mani e a fare avanti e indietro con il busto, come se potesse sistemare il dolore.

"Non era giusto." Continuai a dire fra me e me, cosa avevo fatto per meritarmi questo? Era tutto così sbagliato, doveva essere la mia estate e invece mi ritrovavo in un luogo di merda, seduta su un marciapiede dove molti animali avevo fatto i loro maledetti bisogni.

Mi rannicchiai a formare un piccolo guscio con il mio corpo, come se fosse capace di difendermi da ciò che sentivo, da ciò che mi circondava, dalle mie paure. La mia estate. Ripesai a tutto ciò che avevo passato in tutta la mia vita, a tutte le sofferenze che avevo dovuto subire stando zitta e rinchiudendomi nella mia stanza, scappando da tutto.

Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era la cosa che desideravo si realizzasse in quel momento. Volevo solo tornare a quei giorni in cui litigavo con i miei genitori e convinta di aver ragione gli sbattevo la porta e senza dar retta a ciò che facevo, mi ritrovavo in camera con la musica ad alto volume per riuscire a coprire i miei singhiozzi. Vorrei ritornare a quando il mio unico pensiero era una maledetta interrogazione o un compito in classe o la piccola fighetta della scuola che mi prendeva in giro. Volevo riavere con me mio padre che mi sgridava, ma che, subito dopo, mi stringeva fra le sue braccia e mi sussurrava "Facciamo pace, amore." Volevo quel momento più che mai. Volevo mettere indietro le lancette e impedire a mio padre di andar via da me, di volare in cielo quando era troppo presto e di rimanere al mio fianco almeno tanto tempo da non dover avere più bisogno di lui.

《Non è possibile. 》Sussurrai piano. Lui non verrà mai più a rincuorarmi dicendo "Non preoccuparti principessina, si risolverà tutto." Lui non poteva più farlo e tutto questo a causa mia, per colpa della mia curiosità. Ero sola, ora più che mai, ero sola e in quel momento nemmeno un raggio di luce mi poteva far pensare che tutto si sarebbe risolto.

Mio padre aveva torto, da quado lui non era con me, non riuscivo a risolvere nulla, ogni cosa, ogni singola decisione mi faceva soffrire, mi impediva di essere felice. Da questo avevo preso da mia madre: dare a tutti seconde chance era la nostra specialità e come sempre, venivamo tradite da chi ci doveva proteggere.

I singhiozzi non cessavano e il mio corpo iniziò a tremare a causa del freddo, a causa della paura. Il viso di quel ragazzo si ripresentò più volte nella mia mente. Non riuscii a pensare ad altro se non a quello che mi stava succedendo, a quello che avevo affrontato fino a pochi secondi fa.

《Oh povera piccola. 》Sentii una voce familiare al mio fianco, aprii gli occhi. Dovetti sbattere le palpebre più volte affinché riconoscessi il mio interlocutore.

Random WalkDove le storie prendono vita. Scoprilo ora