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Brady non aveva mai creduto al destino. Il suo essere così dannatamente cinico, il volere a tutti i costi, tenersi lontano da ogni tipo di sentimento, lo avevano sempre portato a guardare le cose da lontano, senza viverle realmente.

Quindi, quando si ritrovò su un volo diretto a New York, su una comoda poltrona in pelle della prima classe, seduto a fianco all'uomo che, da settimane ormai, teneva occupata la sua mente e che, guarda caso, aveva visto per la prima volta proprio nella Grande Mela, dovette ricredersi perché gli sembrò proprio un classico caso di "scherzo del destino".

Il giorno prima, infatti, come un fulmine a ciel sereno, Mark gli aveva dato la grande notizia: sarebbero partiti per New York, ospiti della Stevenson Inc., avrebbero alloggiato al Plaza e sarebbero rimasti due giorni per partecipare all'annuale party della Stevenson Foundation.

Il giovane, completamente preso alla sprovvista, era tornato a casa molto prima, aveva urlato per l'appartamento alla ricerca di Alexa e, senza fiato, aveva raccontato tutto, mostrando tutta la sua ansia e il suo timore a una Alexa più che divertita.

«E adesso che faccio?!» aveva urlato, gettandosi sul divano con la testa tra le mani.

«Adesso, mio caro, facciamo la valigia.» aveva risposto la ragazza, che aveva passato tutto il pomeriggio, la sera e la notte, cercando di rassicurare il giovane coinquilino.

«Smettila con il lavoro, Braden. Rilassati.» Mark interruppe lo scorrere dei pensieri di Brady. Quest'ultimo, infatti, aveva passato circa un'ora, delle due previste di volo fino a New York, con la testa chinata sulle scartoffie, cercando di concentrarsi senza successo visto che, i suoi pensieri, erano tutti diretti verso l'uomo che gli sedeva accanto e che lo deconcentrava con il suo profumo di sandalo e gli avambracci in bella vista che fuoriuscivano dalle maniche tirate su della morbida maglia in cotone che indossava.

**

«Mi stai ascoltando?» domandò Mark, sorridendo.

Si sentiva strano. Nonostante fuori continuasse a comportarsi come se non fosse successo nulla, come se Brady, completamente ubriaco, non l'avesse baciato, come se non avesse dormito nel suo letto lasciando il suo profumo, in realtà, dentro, era in pieno conflitto: da una parte si sentiva ansioso, non sapeva come avrebbe reagito di fronte a Thomas. Rivederlo, con quei suoi occhi color del cielo, la sua bellezza mozzafiato, probabilmente accanto a Ronald, come suo marito, gli sembrava surreale. Come avrebbe dovuto comportarsi? Lo aveva salutato inventandosi di aver trovato l'amore a Boston. Dall'altra, osservava sottecchi Brady, con quel suo atteggiamento perennemente fiero. Non aveva idea delle richieste esplicite che gli aveva fatto da ubriaco e, anche se da un certo punto di vista, Mark, sentiva di avere il coltello dalla parte del manico, la consapevolezza che Brady non ricordasse nulla lo rendeva nervoso. Come doveva comportarsi, invece, con lui?

«Sì, sì, certo. Hai ragione.» Quando non erano in ufficio, Brady aveva imparato a dargli del tu. Un piccolo passo avanti.

"Si informano i signori passeggeri che, tra dieci minuti, atterreremo al JFK".

La voce nasale dell'hostess di bordo, risuonò nell'abitacolo dell'aeroplano. Brady sistemò i documenti nello zaino, chiuse il portatile e controllò di aver messo tutto al posto giusto. Scattarono le luci che indicavano di allacciare la cintura ma, il giovane, preso dal sistemare tutte le scartoffie che aveva tirato fuori, non si accorse che l'aereo stava proseguendo in discesa. Mark lo osservava, vedeva quanto fosse schematico nei movimenti e poteva distinguerne facilmente, il rossore sulle guance. Si avvicinò con un movimento veloce, prendendolo alla sprovvista, gli passò il braccio attorno ai fianchi stretti e prese con le mani i lembi della cintura, chiudendogliela, con un gesto secco, sul grembo.

Love Made Me Do ItWhere stories live. Discover now