14.

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Mark aprì l'anta trasparente della doccia, portò una mano tra i capelli bagnati e li frizionò velocemente schizzando piccole gocce d'acqua intorno a sé.

Tastò con la mano alla sua destra, alla ricerca dell'accappatoio blu che, era sicuro, avesse appeso poco prima e, una volta trovato, si asciugò il viso emettendo un sospiro.

Ormai sospirava quasi costantemente, ogni volta che, nella sua mente, apparivano gli occhi smeraldini del suo assistente, le sue labbra corrucciate o quel sorriso che, raramente, concedeva a pochi eletti, tra cui lui.

Passò una mano sullo specchio per togliere la patina di vapore e poté scorgere delle occhiaie ben visibili sotto i suoi occhi già molto scuri.

"Sono un mostro...", pensò, riferendosi al suo aspetto frustrato.

Una volta in camera, aprì l'armadio per prendere un jeans scuro e una maglia di filo nera. Non era assolutamente nel mood adatto per scegliere un abbigliamento più ricercato. L'unica cosa a cui pensava, era quel bacio.

«A trentadue anni suonati, mi aspetto un comportamento diverso...» disse a se stesso, osservandosi attraverso lo specchio dell'armadio.

Una volta in strada, passò dal solito bar all'angolo per un caffè al volo e un muffin ai mirtilli. La barista, una bionda dal sorriso accattivante, ci provava con lui da quando era tornato a Boston e aveva scoperto proprio quel piccolo locale in stile bohémien e, nonostante il moro avesse provato più e più volte a farle intendere che non c'era trippa per gatti, lei continuava, imperterrita, a lasciargli il numero di telefono, scrivendolo sul bicchiere del caffè.

Sorrise, guardando quei numeri scritti in nero mentre camminava verso l'ufficio, la cui grafia tondeggiante, assolutamente femminile, faceva a pugni coi suoi veri desideri e si chiese se, il destino, non lo stesse prendendo in giro.


**


Brady era in ritardo. Di nuovo.

Osservava il suo riflesso attraverso il vetro oscurato della metro che, in quel momento, attraversava un tunnel. I suoi riccioli scompigliati, avevano ancora la forma del cuscino e mancavano ancora due fermate prima di arrivare alla Freedom Trail, dove avrebbe dovuto percorrere solo un altro isolato, prima di arrivare alla Fairfield. Aveva pensato tutta la notte a Mark, alla serata che avevano passato insieme e a quanto si sentisse a suo agio in sua compagnia. Per questo si era svegliato mezz'ora dopo e, a cinque minuti dall'orario di entrata in ufficio, si ritrovava ancora sul treno.

Era strano come, una persona come lui, che era cresciuto perseguendo un obiettivo e facendo di tutto pur di raggiungerlo, mettendo al secondo posto qualsiasi altra cosa come i rapporti interpersonali o l'amore, fosse riuscito a instaurare un rapporto tanto amichevole con l'unica persona con cui avrebbe dovuto mantenere un certo distacco: il suo capo.

E non solo. Ne era profondamente attratto, così tanto da sognarlo, da desiderarlo, da non poter stare in sua compagnia senza avvertirne la costante presenza, senza sentire il sudore nei palmi delle mani e il leggero tremore nella voce.

Cosa gli stava succedendo?

Lui che, da sempre, frapponeva un muro tra sé e gli altri. Lui, che si era ripromesso di mettere, sempre e comunque, al primo posto, la carriera, spodestando, se necessario, chiunque gli si fosse messo tra i piedi, ora, si ritrovava a pensare incessantemente a Mark e non vedeva via d'uscita.

Così, quando arrivò davanti alla Fairfield, si prese qualche secondo prima di entrare nell'ufficio dove, era sicuro, avrebbe trovato il protagonista dei suoi pensieri.


**


Mark era arrivato da pochi minuti, quando, senza neanche bussare, Sammy entrò nel suo ufficio con il suo passo ciondolante e le infradito ai piedi.

«Sorpresa.» disse, con poco entusiasmo.

Mark non l'aveva più sentito da quando, la sera prima, era fuggito dal locale alla ricerca di quel giovane dagli occhi grigi.

Probabilmente non era andata a finire bene perché le occhiaie violacee ben visibili sul volto dell'amico, parlavano da sole. Decise di non prendere il discorso anche perché, se avesse voluto, sarebbe stato proprio Sammy a parlarne, portò lo sguardo sul mucchio di fogli che gli si presentò davanti e iniziò a leggere.

«COSA?!» urlò, alzandosi di scatto dalla poltrona.

«No, no, no. Non ci siamo capiti allora.»

«Devi per forza, in quanto amministratore delegato. Lo sai benissimo.»

Mark si lasciò cadere nuovamente.

Osservò il volto inespressivo dell'amico che, di fronte a lui, si passava una mano tra i capelli castani guardandolo dritto in faccia e si rese conto di quanto, il destino, non solo si prendesse gioco di lui, ma ci provasse proprio gusto a farlo.

Proprio in quel momento, ad avvalorare ancora di più la sua tesi, entrò Brady, il cui aspetto era perfettamente in pendant con quello degli altri due presenti in quella stanza.

«Cosa...cosa succede?» domandò stranito, osservando prima uno, poi l'altro.

Mark lasciò cadere indietro la testa, poggiandola sulla morbida pelle scura della poltrona su cui era seduto. Chiuse gli occhi per qualche secondo e, quando li riaprì, si ritrovò davanti un Brady più confuso del solito.

Un piccolo sorriso si formò sul suo volto e si accorse che, la notizia che poco prima rischiò di fargli saltare un embolo, adesso, sembrava quasi una palla da prendere al balzo.

«Prepara le valigie, Braden. Domani si va a New York.»



Nota Autrice:

Lo sooo il capitolo è piccolo! E' una piccola preview di quello che sta per succedere *_*

Questo pomeriggio aggiorno, I promise! <3


Love Made Me Do ItWhere stories live. Discover now