3.

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Sammy era andato via nella notte, quando ancora il sole non era sorto e la città cercava di dormire. Quando ancora la realtà di un nuovo giorno non aveva avuto la possibilità di farsi avanti e ci si ritrovava quasi in un limbo. Non si era né carne né pesce. Semplicemente, aveva la possibilità di nascondersi nel buio e cercare di celare, ancora una volta, la profonda tristezza e il pentimento, che si erano fatti strada in lui.

Quando rientrò nel suo appartamento, situato a un isolato di distanza dalla sua compagnia, si guardò intorno accendendo tutte le luci, cercando di non pensare a quello che era, ancora una volta, successo. Era stato usato, ne era perfettamente consapevole ma, in fondo, anche lui aveva usato Mark, seppure per fini completamente diversi.

Nonostante non fossero neanche le cinque del mattino, si fiondò nella doccia convinto di poter lavar via, se non i ricordi, almeno gli odori dell'avventura che aveva appena vissuto. Si lavò quasi in maniera maniacale, insistendo in particolare su alcuni punti su cui poteva sentire ancora le dita dell'amante che, nonostante la profonda ubriachezza e la goffaggine nei movimenti, aveva adempiuto ai suoi obblighi in maniera quasi eccellente.

Una volta terminato, si diresse in cucina e preparò una colazione a base di uova e bacon. Era un salutista, amava il cibo biologico e spesso prediligeva per il vegano, ma la colazione, soprattutto dopo una sbronza colossale e una scopata senza sentimenti, doveva essere altamente grassa, nociva e consolante.

Questo era quello che pensava mentre girava con foga le uova in padella, mischiandole con il burro e il grasso del bacon tagliato a strisce.

**

Alle otto, puntuale come un mal di testa dopo una gran quantità di birre, la sveglia di Mark prese a strillare nella stanza. Il moro, ancora in preda ai postumi della sbornia, saltò in aria, letteralmente, per poi toccare lo schermo del suo smartphone e passarsi una mano sul volto cercando di rimettere in sesto i pensieri e ricordare cosa diavolo gli fosse successo nelle ultime ore.

Lentamente, una serie di flash della sera prima si fecero vivi nella sua mente: rimanere in ufficio fino a tardi, cenare con Sammy, le birre, Thomas, la tequila, Thomas, i baci infuocati, Thomas, il petto scolpito dell'amico di una vita, gli occhi tristi, la morbidezza dei suoi ricci, i sospiri e la fine di un amplesso scoordinato ma, non per questo, non riuscito.

Lasciò ricadere la testa con un tonfo sul cuscino, controllò l'orario sul cellulare e poi si voltò verso il posto libero accanto a sé, dove ancora si poteva vedere la sagoma di una testa sul cuscino vuoto.

«Cazzo!» urlò, emettendo un ringhio furioso, per poi dirigersi verso il bagno e iniziare i preparativi per andare al lavoro. Da Sammy.

Arrivato alla Fairfield, non sapeva esattamente come avrebbe dovuto comportarsi. Andare da Sammy, scusarsi e andare oltre o fare proprio finta di niente? Come poteva fingere che non fosse successo nulla? Quando arrivò all'ultimo piano e si diresse davanti all'ufficio dell'amico, rimase con la mano a mezz'aria, incerto se bussare o no, ma dei passi sostenuti, alle sue spalle, lo presero alla sprovvista:

Sammy era dietro di lui, con le braccia conserte, che lo osservava con un sopracciglio alzato e un'espressione indecifrabile.

«Ehi...» disse Mark, schiarendosi la voce.

Sammy gli passò accanto, entrò nel suo ufficio e si sedette dietro la scrivania.

«Volevo...beh volevo salutarti. Sei andato via presto...»

Sammy alzò una mano come per zittirlo.

«Da quanto tempo siamo amici io e te?» Mark rimase in silenzio ad osservarlo. «Molto. Ti conosco come le mie tasche. In questi anni, quante volte siamo andati a letto insieme? Tre, quattro?» Sammy si alzò in piedi.

Love Made Me Do ItWhere stories live. Discover now