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Apro la porta, sto uscendo per fare due passi, visto che non riesco ad avere pace. E' passato un mese, da quando io e River abbiamo litigato. Un mese in cui, per scacciare quel qualcosa che avevo dentro, mi sono tuffata a capofitto nel lavoro. Ho preso più clienti di quanti in realtà ne sappia gestire. Infilo la chiave nella toppa, quando l'ascensore,con la sua musichetta, si apre. Me lo trovo davanti, ma non è lo stesso. Sembra invecchiato di 20 anni, in un colpo solo. I capelli stanno insieme alla bell'e meglio, la bocca è stretta in una smorfia sofferente, ma quello che mi raggela, sono gli occhi. Spenti, rossi e provati. C'è il dolore più profondo dentro, quello che ho visto così tante volte nello specchio. Esce dall'ascensore e fa solo pochi passi. Si ferma, guardandomi dritto negli occhi. Un istinto, che non sapevo di avere, mi dice di andare da lui, mettendo da parte tutto. Ma la voce di mia madre, nella mia testa mi ferma. E' lui che si avvicina, mettendo la mano dentro la giacca elegante. Tira fuori il portafogli, estraendone un mazzetto di banconote.

"Non coprono il budget, ma ho bisogno di un'amica stasera" dice soltanto, la sua voce mi spaventa. E' la voce di chi ha perso tutto. La gioia di vivere, un pezzo di cuore. La mamma nella testa, urla più forte. Faccio qualcosa che, non mi sono mai sognata di fare. La schiaffeggio e la butto in un angolo della testa, tappandole la bocca.

Prendo i soldi, il suo portafogli e li rimetto dentro, per poi rinfilare il tutto nella tasca interna della giacca. 

"No. Stavolta no, non voglio i soldi. Qualunque cosa sia successa tra noi, adesso è dimenticata. Vedo che hai bisogno di aiuto, quando ne ho avuto io ci sei stato. Voglio contraccambiare" lo prendo per mano e riapro la porta. Lo tiro dentro, ma resta immobile. 

"Posso baciarti?" chiede sommessamente. Il mio sguardo smarrito ed impaurito, gli fa cambiare idea.

"Non importa, va bene così. Scusa se ho chiesto" risponde, sconsolato. Non posso vederlo così, non è lui. L'uomo che si è dimostrato forte, paziente. Questo è il suo relitto... Lo fronteggio, mettendomi davanti a lui. Non ricordo neppure come si fa, ma non dovrebbe essere difficile. Un po' come andare in bicicletta no? Gli metto le braccia intorno al collo e guardandolo negli occhi, appoggio le labbra sulle sue. Mi stringe, come farebbe un naufrago alla zattera, durante una tempesta. Schiude le mie labbra e mi assaggia. Le gambe mi tremano, si piegano e sento uno stormo di qualcosa, che si agita nello stomaco. Ricambio, con curiosità. Come possa un gesto così piccolo e banale, trasformare una persona? 

Interrompe il bacio, poggiando la sua fronte alla mia. Gli alzo il viso e lo guardo attenta. Deve essere successo qualcosa di grosso. Lo prendo di nuovo per mano e lo porto dentro casa. 

"Vieni, siediti qui. Preparo un tè, credo che ce ne sia bisogno" come se il tè fosse la panacea per tutti i mali.

"Ho bisogno di bere. Se ne hai, vorrei qualcosa di forte" sussurra. Prendo la vodka, che tengo nella vetrina dei liquori. Regalo di Nikolai, dalla Madre Russia. E' fortissima, io non la bevo mai, ma non mi pare il caso di mettersi a fare discussione. Ne verso una generosa dose, accompagnandola a dei cubetti di ghiaccio. Porto con me anche la bottiglia, ho l'impressione che gli serva. Si ubriacherà, ma non importa, starò attenta che non gli succeda nulla. Mi prenderò cura di lui. Le mie ultime parole, mi lasciano basita, ma passo oltre.

"Tieni, è quello che ho di più forte. Vodka Russa, omaggio di Nikolai" mi siedo accanto a lui, che tira giù il contenuto del bicchiere in un sorso. Se ne versa ancora, e ripete il solito rituale. Con il bicchiere in mano, i gomiti sulle ginocchia e la testa china, inizia a piangere. Dapprima, un pianto lieve, per poi trasformarsi in una serie si singhiozzi laceranti, che radono al suolo lo spesso muro che ho costruito dentro. Lo abbraccio, confortandolo, facendogli sentire quel calore, che a me non è mai stato riservato. Mi stringe così forte, che quasi mi spezza le costole, piangendo e sussultando. Lo accarezzo e con voce lieve, gli sussurro che tutto si sistemerà, tutto andrà bene. Non ci credo neppure io, ma non so che altro dire. Non mi sono mai ritrovata in questa situazione. Non sembra far caso alle mie parole, ma stringe la presa ancora di più. Non so in verità, quanto tempo sia trascorso. Alla fine, si sta pian piano calmando, i singhiozzi sono cessati e le lacrime esaurite. Si stacca, imbarazzato da quella che è una dimostrazione di debolezza, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia. Non chiedo nulla, non mi spetta, se vuole mi racconta..

"Grazie, per essermi stata vicina. Grazie per avermi permesso di baciarti, grazie per avermi mostrato calore umano" deglutisce, mentre parla.

"Non c'è bisogno che mi ringrazi. So che mi sono comportata male, ma, non sono un mostro. Ho capito che sei devastato, e credi, sono profondamente dispiaciuta. Sappi che qualunque volta, tu abbia bisogno, sono qui. Per te" e penso ogni singola parola. E' vero, quello che mi ha detto la mamma mi ha messa al riparo. Ma lui non è come gli altri. E' un uomo buono, gentile e dolce. Non merita che lo faccia soffrire. Magari, potremmo essere amici, gioverebbe a tutti e due. Ne abbiamo bisogno, tutti e due.

"Diana, so benissimo che non sei un mostro. So che hai avuto una vita dura, e credimi, tutto volevo fuorché complicartela. Non so come comportarmi, tu mi piaci, vorrei poterti stare accanto ma non sono certo, di poter stare alle regole che hai nella tua vita. Per questo sono sparito, volevo del tempo per riflettere e capire. Forse pecco di presunzione, ma credo di averti capita. Ti vuoi difendere dal mondo, come ti è stato inculcato da piccola, ma provo una sincera pena, nel vederti precludere ogni possibilità di essere felice. Non voglio obbligarti ad essere qualcuno, che visibilmente, non sei pronta ad essere, ma, nonostante questo, voglio che tu sappia che provo un affetto sincero per te e ti sarò vicino, da amico se altro non vuoi, qualora ne avessi bisogno" il suo discorso, mi entra sotto la pelle, si fa strada, schiacciando, in ogni mio altro pensiero. Lo abbraccio stretto lasciandomi andare alla pace e alla bella sensazione, del mio corpo stretto a lui.

"Vada per essere amici. Grazie per le tue parole, purtroppo non posso cambiare ciò che sono. Ci sono cose, dietro al mio essere, che sono insormontabili. Ho una madre a cui dare conto, non accetterebbe mai un cambiamento, ed è l'unica persona che mi è rimasta. Le voglio bene, anche se per te è una donna orribile. Ha sacrificato tanto, per crescermi. Devo ripagarla nell'unico modo che accetta" spiego. Lo vedo irrigidirsi, solo per un secondo, mi sfiora il sospetto che lui, sappia più di ciò che dice. Ma non v'è motivo di crederlo, non avrebbe mai potuto scoprire il mio passato. Non ho amici, con mia madre non credo abbia parlato, per cui la mia complicata vita ed i miei segreti, sono salvi. 

"Adesso è meglio che vada. Sei troppo accattivante, sapendoti vicina ad un letto" scherza. Gli sorrido, di rimando, e lo accompagno alla porta, nonostante la curiosità di sapere, mi stia divorando. Mi saluta, sfiorando la fronte con un bacio e a spalle chine se ne va a casa sua. Quello che mi scatena, quella vista, è come un colpo in pieno stomaco... Abbandono è l'unica parola che, il mio cervello in confusione, riesce a trovare.

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