Chapter eight. • Last Star Avenue. •

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Non sono molto brava a spiegare le strade, le uniche persone con la quale vado in macchina sono i miei migliori amici e loro San Diego la conoscono come le proprie tasche. Eppure Ethan sembra aver capito come arrivare a Last Star Avenue, nonostante le mie indicazioni disastrose ed il suo essere un forestiero. Non giro mai con le sigarette, in realtà non fumo tabacco. Johnny è l'unico fumatore tra di noi e, quando capita, mi lascia fare qualche tiro. Non so quando ho iniziato a fumare erba, ricordo solo che con me c'erano Rhett e Camryn. Non ricordo se volevo farlo davvero, in realtà tutt'oggi non so perché continuo a farlo e se lo faccio perché lo voglio. Non crea dipendenza, ma è qualcosa che non so spiegare, mi fa sentire leggera e senza preoccupazioni. Ho sempre la sensazione di star volando senza cadere e, per chi di cadute ne ha prese tante, è una sensazione fantastica. Rhett dice che Johnny che fuma sta messo peggio di noi, che le sigarette fanno anche più male. Ma Rhett non dice mai nulla di affidabile. Quando la macchina di Ethan si fa spazio lungo la strada deserta, io ero concentrata sulla puzza di fumo che impestava i miei vestiti e la sua maglietta. La sua maglietta! Lo avevo quasi scordato, sono uscita da casa con la sua maglietta e lui ora è a pochi passi da me, nella sua auto, con i finestrini sollevati. Anche se non lo vedo, so che è lui. La sua auto è nera e sembra quasi nuova. Il modello? Non ne ho idea, non sono brava con queste cose. So solo che è una di quelle macchine abbastanza belle da far fermare la gente a darci un'occhiata, ma non abbastanza per comparire nelle pubblicità in TV o su YouTube. Ethan spegne l'auto ed apre la portiera quando non mi avvicino, restando ferma contro il muro. Quando esce dalla vettura, la sua altezza e la sua postura levano il fiato. Indossa un'altra maglia, con i soliti jeans neri, e si avvicina a me con sguardo serio. «Hazel.» Ho come la sensazione che voglia rimproverarmi, ma non lo fa, non subito almeno. Lo sento sospirare e battere le spalle accano a me, piegando una gamba, con la suola dello scarpa sinistra contro la parete. Non mi chiede perché sono qui, o perché non mi sono mossa, fa tutto ciò che non mi aspettavo. «La pazzia è relativa, chi stabilisce la normalità?» Prima che possa fermarmi a riflettere sulle sue parole, lui aggiunge un nome: «Charles Bukowski.» Fisso le mie scarpe consumate, poi le sue ben curate con i lacci sistemati all'interno. «La pazzia ha così tante sfumature, per questo è facile distinguerla dalla normalità. O siamo tutti normali, o siamo cento sfumature di follia.» Ethan mi ascolta, poi mi guarda incuriosito. «E la tua sfumatura quale sarebbe?» Ho paura a dirgli che non lo so, che non l'ho mai saputo e che ho paura che, probabilmente, non lo saprò mai. «Lo vedi questo quartiere? Last Star Avenue non è il suo vero nome, nessuno ricorda più quale sia. L'hanno chiamato ultima stella perché, in un cielo bello come quello di San Diego, è l'ultima che viene notata.» Inizio a camminare lungo il marciapiede, Ethan mi segue silenziosamente. «Ti sei mai sentito una Last Star?» Lui si morde il labbro inferiore, sollevando ironicamente gli occhi al cielo stellato. «Ma non sono tante ultime stelle a fare una costellazione? A questo punto siamo tutti una Last Star Avenue, Hazel» mormora. Accenno una risata, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Sapevo non avresti capito.» Lui si ferma, stringendomi un polso affinché faccia lo stesso. «Spiegamelo.» «No» rispondo, scuoto la testa e lo guardo. «Non è una cosa che si può spiegare, lo devi vivere per capirlo. Tu non lo hai mai vissuto, te lo si legge in faccia.» Improvvisamente il suo sguardo gentile diventa più oscuro, come se lo avessi ferito. «Pensi che io non possa capire cosa significa sentirsi una Last Star?» «Non ti sto offendendo, Ethan» replico. «Mettiamola su questo piano: la tua sfumatura di follia non è come la mia. Io sono un'ultima stella, mentre tu sei come il Sole, una di quelle stelle che ha l'attenzione su di sé. Siamo fatti della stessa sostanza, abbiamo due nomi differenti, quantità distinte. Io accanto a te non luccico nemmeno la metà. Tu sei un Balboa Park, io una Murder House e.. » Ethan scuote la testa, guardandomi con un cipiglio sulla fronte. «Balboa Park? Murder House? L'unica cosa che so, è che tu sei fuori di testa, Hazel.» Abbasso lo sguardo, consapevole. «E questa cosa mi piace» lo sento aggiungere. Gli sorrido, sollevando gli occhi nei suoi. Ethan non trattiene a lungo il mio sguardo, si guarda intorno ed aggrotta la fronte. «Non è tanto male come quartiere, mi piacciono le cose caotiche. Perché non mi fai fare un tour?» Corrugo la fronte. «Vuoi fare un giro? Qui?» Lui annuisce serio, portando le mani in tasca ed aspettando paziente. «Okay, ma non puoi lasciare l'auto qui o al ritorno non ne troverai di certo due.» Ethan scoppia a ridere, annuisce e mi fa cenno di seguirlo all'auto. «C'è un posto sicuro dove parcheggiarla?» «No» rispondo, il più sincera possibile. Lo vedo pressare le labbra, prima di annuire confuso. «Credo che saremo costretti a fare il nostro tour in auto, allora. È un problema per te?» Quando entra in auto, faccio lo stesso. Lui si allaccia la cintura e lo imito, mostrandomi stranamente impacciata. «Sarà un po' strano, ma possiamo farlo. La zona è molto grande, ma ci vivono pochissime persone.» Ethan gira la chiave nell'accensione, piegandosi leggermente in avanti e fissando la strada buia. «E tu eri qui da sola?» La domanda da un milione di dollari. Arriccio il naso, fissando fuori dal mio finestrino. «Ero con amici, quindi più o meno.» «Ti hanno lasciata qui? Si sono fottuti il..» Giro la testa verso di lui, negando. «Ho chiesto io di lasciarmi qui.» Ethan sembra ancora più confuso, ma avvia comunque il motore ed inizia a guidare. «Fa sempre parte del tuo essere fuori di testa?» Annuisco. «Proprio così.» Ethan guida lentamente, in modo da soffermare gli occhi su ogni locale e casa malandata in cui ci imbattiamo. «Hai mai la sensazione di essere legato ad un posto? Come se esistesse apposta per te, e tu apposta per lui.» Ho gli occhi che mi brillano mentre fisso ogni imperfezione dinanzi a me, ritrovandomi in ogni angolo della città. «Pensi di essere così?» «Non lo penso, lo so.» «Non mi dai quest'impressione.» Ridacchio, fintamente, affondando le spalle nel sedile ed abbassando le palpebre. «Sandy oggi ha distrutto le mie cuffie preferite, non posso nemmeno arrabbiarmi con lei.» Non mi chiede chi è Sandy. «Comprane delle altre, no?» «Sì» mugolo, corrucciandomi. Non posso permettermi di spendere dei soldi per me, devo tenere d'occhio tutti i conti in casa. Ovviamente Sandy non sa nemmeno cosa sia una bolletta, quindi tocca a me dividere i soldi per il cibo da quelli per la casa: raramente avanza qualcosa per me e, quando capita, li metto da parte per la scuola. Fisso Ethan, la sua bella macchina, la sua maglia nuova con una scritta buffa sul davanti. Ha un aspetto deciso, mi guarda curioso, impassibile, senza far trasparire una sola emozione. «Hazel, non devi.» Scuoto la testa tornando al presente, Ethan mi sta ancora guardando ed io sono altamente confusa. «Non devo?» «I tuoi occhi mi guardano come se mi stessi pregando di non scoprire quale segreto stai nascondendo, e no, non devi pensare che io voglia a tutti i costi sapere questo segreto. Chiaro?» Annuisco, questa volta lentamente. «Ah, comunque.. Bella maglia, ne avevo una simile.» Sento il viso andar letteralmente a fuoco e, d'istinto, mi stringo la braccia come a voler nascondere la maglia. O proteggerla, come lei fa con me. «Non devi vergognarti, in fondo ti sta bene, anche se è tre taglie più grande.» Non riesco a non sorridere quando lo fa lui, sciolgo le braccia intorno al mio corpo e mi rilasso appena. «Ho un'idea: possiamo andare alla sala giochi.» Ethan mi guarda, corruga la fronte ed ingrana la marcia successiva. «C'è una sala giochi qui vicino?» «È dietro al Vin's, un posto in cui ti danno da bere anche se non hai l'età giusta, dato che la maggior parte dei clienti ai ventuno non ci arriva.» «Ma la polizia sa di questo buco?» Ethan ha la fronte corrucciata. Accenno una risata, guardandolo di sfuggita. «E anche se fosse? Dai, ti spiego come arrivarci, è proprio dietro quell'angolo.» Lui annuisce e segue le mie poche indicazioni, fino a rallentare di fronte all'insegna luminosa. Il Vin's in realtà nasce come il Vincent's, ma le lettere c, e, n e t si sono fulminate sette ore dopo essere state agganciate. Davvero molto triste, ma ormai nessuno lo chiama più così. Probabilmente nessuno lo ha mai fatto, perché nessuno ha mai visto l'insegna completa. Quando scendiamo dall'auto, Ethan fissa l'insegna più volte, come a voler leggere le lettere spente per conoscerne il nome. Lo afferro coraggiosamente per un polso e lo spingo all'interno del locale, lasciando che la puzza di sudore e birra alla spina ci invada. Il Vin's mi ricorda uno di quei vecchi film western, è tutto in nero e Vin, il proprietario, è sempre dietro al bancone che pulisce i suoi adorati bicchieri di vetro come se fosse un gesto automatico. Non versa mai da bere a nessuno, ci sono i suoi nipoti che lo fanno, che lavorano per lui. Loro tre vivono qui, in questo quartiere, e non hanno mai pensato di andarsene. Il locale è bello pieno, ci sono alcuni signori abitudinari seduti accanto alla porta del bagno a sorseggiare vino e fumare. Ci sono ragazzi della mia scuola, qualche ubriacone che piange e dà di matto, ed una puttana che cerca di attirare l'attenzione cambiandosi gli slip dietro la porta. Questo è il Vin's, questa è Last Star Avenue. Ethan non si smuove minimamente, ed io che pensavo che sarebbe corso via a gambe levate. Si avvicina al bancone e mi guarda. «Vuoi prima bere qualcosa?» Scuoto la testa, Vin mi guarda e poi guarda il forestiero. Vin è un vecchio, molto vecchio, afroamericano con la testa piena di dreadlock grigi ed un occhio di vetro. Non parla quasi mai, fa solo dei cenni e scrolla le spalle. Sono abbastanza coraggiosa da farmi sempre avanti con lui, di fatti piego le braccia sul bancone ed allungo una mano verso di lui. «Possiamo andare nella sala giochi?» Vin mi guarda, allunga una mano sotto al bancone e fissa Ethan. «Non ci sono i tuoi amici?» Al Vin's non ci vado mai da sola, sempre con la mia combriccola. «Sono alla Murder, ho preferito venir qui a far compagnia ai tuoi giochi. Possiamo? Siamo solo noi due.» Vin tira su col naso, mi passa una vecchia chiave arrugginita e torna a pulire uno dei tanti bicchieri. Ethan sobbalza quando sente una porta sbattere, ci voltiamo verso l'entrata e vediamo Jace Cristopher col suo sorriso stronzo sulla faccia che si fa avanti, con sicurezza. I suoi occhi azzurri, o celesti, ma comunque chiari, si fermano su di noi. Più precisamente su di me. Serro la mascella, lui sorride e si fa avanti, pronto a rovinarmi la serata.

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Secondo voi, cosa succederà adesso? 🌙

BLOWBACK | Dylan O'Brien |Where stories live. Discover now