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In mensa c'erano talmente tante persone che ho finito per tardare alla lezione di educazione fisica, spero solo che il professore non se ne accorga.
Faccio del mio meglio per vestirmi in fretta e corro nel campo esterno dove oggi faremo lezione.
Gli altri ragazzi del corso stanno già correndo intorno al campo da rugby, cerco di confondermi con un gruppetto di ragazze che sta più chiacchierando che correndo ma il mio piano non va come avevo sperato.
-Turner, sei in ritardo!- urla il professore.
-Mi scusi- dico abbassando la testa.
-Niente scuse fai cento giri del campo!- non mi lamento e faccio che mi ha detto. In Accademia fa parte dell'addestramento quotidiano la corsa e a me è sempre piaciuta. I miei compagni hanno assistito alla scena e ora mi guardano divertiti, forse pensano che crollerò dopo appena un giro come facevo quattro  anni fa.
Dylan che corre un paio di metri davanti a me si gira in continuazione per osservarmi, il suo sguardo è triste e forse le scuse di stamani erano sincere. No, non devo cedere.
Gli altri dopo un altro paio di giri di campo si riuniscono all'interno di esso e trascorrono il resto dell'ora ad allenarsi a rugby.
Quando gli altri si ritirano negli spogliatoi, io sto ancora correndo. Alcuni dei miei compagni affiancano il coach sbalorditi del fatto che non abbia ancora ceduto.
-Turner, puoi anche smettere adesso!- urla il coach.
-No, mi mancano solo due giri!- urlo di rimando voltando la testa per osservarlo. Mi distraggo un attimo e piego male un piede, la fitta è fortissima e in un attimo cado a terra. Metto le mani davanti a me per proteggermi, prima di cadere a terra come un sacco di patate.
Mi massaggio la caviglia che però fa un male assurdo.
-Stai bene?- Dylan si inginocchia davanti a me e mi alza il piede dolorante con cura.
-Sì, sto bene-
-Turner, tutto apposto?- ci raggiunge anche il coach che preoccupato esamina velocemente la mia caviglia.
-Blaik, portala in infermeria-
Lui annuisce e si avvicina per prendermi in braccio a mo di sposa.
-Non è necessario- cerco di dire al coach ma lui non ne vuole sapere e sprona Dylan a sbrigarsi.
-Era meglio se ti fermavi- mormora Dylan guardandomi preoccupato.
-Mi aveva detto cento giri e io stavo solo eseguendo gli ordini-
-Ordini? Non siamo mica dei soldati!- esclama divertito dal mio linguaggio. Tu forse non sarai un soldato.
-Volevo solo portare a termine ciò che mi era stato detto-
-La prossima volta ci penserai due volte- L'infermeria è dalla parte opposta dei campi da rugby, perciò credo che Dylan dovrà sopportare il mio peso per ancora un po'.
-Non pensavo che avresti resistito così a lungo-
-Perché scusa?- domando un po' infastidita.
-Sì, insomma non è mai stato il tuo forte la ginnastica- Vorrei rispondergli che non sono più quella di una volta, ma mi trattengo. Non ho per niente voglia di litigare con lui.
Il resto del tragitto lo passiamo in silenzio anche se le sue occhiate parlano più delle parole.
L'infermeria è un locale abbastanza piccolo, le pareti sono bianche e al centro ci sono due lettini separati da una tenda.
Seduta a una scrivania colma di documenti e scatole di medicinali, c'è l'infermiera, Becky.
Erano talmente tante le volte che venivo in infermeria che alla fine diventammo amiche ma era tanto che non la vedevo.
-Becky, ti ho portato Alexis, si è fatta male a una caviglia- Becky alza lo sguardo dai documenti e ci fissa, appena mi vede sgrana gli occhi e sorride.
-Alexis! Oddio, quasi non ti riconoscevo- viene verso di noi e mi accarezza una guancia.
-Posala sul lettino- dice a Dylan. Lui fa come gli è stato detto e io mi accomodo meglio sul cuscino così basso che è come se non ci fosse.
Becky dopo avermi chiesto qual è la caviglia interessata,mi sfila una scarpa e il calzino e la osserva meglio.
-Non sembra niente di grave, un po' di ghiaccio e vedrai che andrà tutto bene- mi rassicura.
Dylan appoggiato alla parete tira un sospiro di sollievo e si affretta ad andare nel locale accanto per prendere un po' di ghiaccio.
Becky lo ringrazia e lo poggia sulla caviglia dolorante.
-Quando sei tornata?- mi domanda Becky.
-Una settimana fa circa-
-Ti fermi oppure sei solo di passaggio?- Mi sorride dolcemente, ho sentito molto la sua mancanza, le sue parole di conforto e la sua dolcezza.
-Non lo so ancora dipende tutto da...-
Ancora una volta in un solo giorno stavo per svelare il fatto che uscissi da un addestramento militare.
-Da come mi trovo qui- mento, anche se può essere una scusa plausibile.
-Capisco- lancia un'occhiata truce a Dylan, credo che abbia capito che uno dei motivi per cui ho lasciato questa scuola è lui.
Alla fine le prometto che sarei tornata a trovarla per spiegarle meglio del trasferimento e dopo un abbraccio veloce mi trascino zoppicando fuori dall'infermeria.
Dylan mi segue ovunque e insiste con il volermi prendere in braccio per non farmi affaticare troppo.
-Dai, lascia che ti aiuti- mi posa una mano sul braccio e cerca di fermarmi, ma continuo a zoppicare per il corridoio sorreggendomi agli armadietti.
-Non toccarmi Dylan- sibilo spostando bruscamente la sua mano.
-Prima però non hai fatto molte storie- si sposta davanti a me e poggia le mani su entrambe le braccia per fermarmi.
-Lasciami- mormoro. Non voglio essere toccata da lui, mille brividi si propagano su per la schiena ogni volta ed è una sensazione che odio provare.
-No- rafforza la sua presa e io inizio ad agitarmi.
-Ti ho detto di lasciarmi- ripeto.
-No-
-Lasciami Dylan!- urlo con tutto il fiato che ho.
-No-
-Cazzo Dylan lasciami!- mi libero dalla sua presa e faccio un passo avanti ma non sono poi così veloce perché mi intrappola tra le sue braccia e sbatte le mie spalle agli armadietti.
-Ti ho detto di no!- ora anche lui urla e il suo sguardo mi intimorisce.
-Turner! Blaik!- Dylan si gira di scatto e si blocca alla vista di un uomo alto, le braccia posate sui fianchi e l'espressione truce.
Il preside.
-In presidenza, subito! Tutti e due!-

I need your loveWhere stories live. Discover now