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Sento il suo sguardo sulla schiena ma non voglio dargli la soddisfazione di girarmi.
Sembra che non me ne sia mai andata: di nuovo stessa classe, stessi compagni di corso e ancora una volta Dylan si trova nel banco dietro al mio.
Non appena entrata in classe non ho potuto far a meno di sbuffare e ruotare gli occhi vedendolo lì con il sorriso stampato in faccia circondato da tutte quelle ragazze.
La sua attenzione è passata dalle barbie a me non appena varcata la soglia e ancora mi sta fissando.
Il professore ancora non è arrivato e spero che non lo faccia per niente.
Mi sporgo dalla sedia per prendere dallo zaino, che ho poggiato a terra, la bottiglia d'acqua e quando mi rimetto al mio posto noto con dispiacere che Dylan si è accomodato nel banco accanto al mio.
-Sai, è maleducato non rispondere alla gente- mastica rumorosamente una chewing-gum e odio ammetterlo ma è disgustosamente sexy. La sua mascella scolpita e possente cattura il mio sguardo, sbatto furiosamente le ciglia e mi concentro sulla bottiglietta dell'acqua.
-Bellezza? E dai parlami, voglio sentire se la tua voce è tanto bella quanto te- Non mi è mai piaciuta la mia voce: è molto più simile alla voce di un ragazzo in pieno sviluppo che a quella di una donna e in accademia, quando per un periodo portavo i capelli corti, era facile farsi scambiare per un maschio e di certo il mio nome non aiutava.
Vedendo che non continuo a rispondere, posa una mano sulla mia coscia e si sporge verso il mio viso.
Mi accarezza il viso con il dorso della mano e a quel punto non posso evitare di reagire.
-Sposta le tue mani da me. Immediatamente-
Al suono della mia voce ha un attimo di confusione.
-La tua voce...-
Non lo lascio finire e alzo una mano verso di lui. -Lo so ho la voce da uomo. Sai anche se non me lo ripetete ogni santa volta va bene comunque-
Strabuzza gli occhi e alza le mani in segno di difesa -No no no non intendevo questo- scuote la testa con vigore. - Intendevo dire che ho già sentito la tua voce. Ed è strano: una voce bella come la tua ricorderei di averla sentita-
Alzo un sopracciglio, sarei curiosa di scoprire come reagirà quando scoprirà chi sono.
-Allora, sei della zona?-
-Sì, sono tornata da poco-
- E come mai te ne eri andata?- porta entrambe le braccia dietro la nuca e incrocia le mani, i muscoli delle braccia sono tonici e urlano di essere fissati.
-Avevo voglia di cambiare un po' aria-
-Questa non ti piaceva?-
-Continua a non piacermi-
-Non credi che io renda tutto migliore?- ammicca facendomi l'occhiolino.
No! No Dylan perché tu sei il motivo per cui questo posto fa schifo.
Vorrei urlargli questo ma non ho il coraggio. Non ho voglia di rievocare vecchi ricordi.
Una lacrima scende lungo la mia guancia e mi affretto ad asciugarla con il dorso della mano.
-Ehi tutto bene?- mi chiede racchiudendo il mio viso tra le sue mani.
Mi scosto bruscamente e raccolgo da terra la borsa, la metto in spalla e mi precipito verso la porta.
In bagno di libero sfogo alle mie emozioni. Era da tanto che non piangevo e di certo non volevo tornare a farlo.
Mi sciacquo il viso con dell'acqua fredda, appoggio le mani ai lati del lavandino e mi guardo allo specchio.
Vedo riflessa quella ragazzina debole e indifesa, presa in giro per l'essere troppo grassa. Il trucco colato, il naso arrossato, gli occhi velati di lacrime: tutto questo è un dejavu.
La suoneria del mio cellulare si diffonde tra le strette pareti di quel bagno. Mi precipito a cercarlo svuotando gran parte dello zaino, quando finalmente lo trovo mi affretto a rispondere.
-Pronto?- tiro su con il naso e cerco di parlare con voce ferma.
-Alexis tutto bene?- la voce calda e familiare di James mi tranquillizza all'istante. Prima che lo trasferissero a una base distante chilometri dalla mia era il mio migliore amico, la spalla su cui piangere.
-Sì, tranquillo. Dimmi pure-
-Sicura?-
-James dimmi o riattacco- Prendo un fazzoletto e lo inumidisco con un po' d'acqua per cercare di eliminare il trucco.
-Va bene, va bene. Mi hanno dato una settimana di permesso. Ti chiamavo per dirti che ti raggiungo alla base-
La mia mano si interrompe a mezz'aria quando sento quelle parole.
Avrei voluto aspettare ancora un po' per comunicargli del mio congedo.
-In realtà non sono alla base- mi gratto nervosamente la nuca colpevole di non avergli detto una cosa di tale peso.
-E dove sei?-
-Sono a Galveston-
-Sei anche tu in permesso?-
-No. No, in realtà io sono in congedo- parlo talmente veloce che dubito mi abbia sentito.
-In congedo?- la sua voce è stranamente tranquilla e le paure scivolano via di dosso.
-Sì, vedi mio padre ha parlato con il generale e ha insistito affinché avessi un congedo per sai... Riflettere se questo è realmente ciò che voglio-
-Tuo padre pensa che tu non sia convinta di voler essere un militare? Sul serio? Secondo lui tu avresti speso quattro anni in accademia per niente?-
- Non è questo, è che quando ho scelto la vita militare avevo solo quattordici anni e non sapevo cosa fare-
-Perché non me lo hai detto prima?-
-Pensavo che ti saresti arrabbiato- appoggio la schiena al lavandino e mordicchio l'unghia del mignolo.
-Come potrei arrabbiarmi. Sai che puoi dirmi tutto-
-Grazie James-
-Di niente. Allora a questo punto salta la settimana di permesso- dice con un sospiro.
-No perché? Vieni da me-
-Sul serio?-
-Certo. Mio padre è alla base e mia madre è a New York con mia sorella per un congresso- rimetto nello zaino che prima avevo sparso per il bagno e sposto il telefono tra la guancia e la spalla.
-I vantaggi di avere una famiglia di militari-
-Io non li chiamerei vantaggi-
-Hai ragione. Scusa-
-Se vuoi scusarti davvero vieni a Galveston. Ti aspetto-
Chiudo la chiamata prima che possa contestare e con lo zaino in spalla e un volto che non nasconde il fatto che abbia pianto mi affretto ad andare nell'aula dell'ora successiva.

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